|
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
|
Nella
porzione biblica, che sarà letta nelle sinagoghe di tutto il mondo
questa settimana, troviamo lapidario il divieto di violenza da parte di
un soldato nei confronti della prigioniera di guerra. La Torà con un
tono preciso e perentorio afferma: “Quando andrai alla guerra contro i
tuoi nemici e l’Eterno, il tuo Dio, te li avrà dati nelle mani e tu
avrai fatto de’ prigionieri, se vedrai tra i prigionieri un donna bella
d’aspetto, e le porrai affezione e vorrai prendertela per moglie, la
porterai in casa tua; ella si raderà il capo, si taglierà le unghie, si
leverà il vestito che portava quando fu presa, dimorerà in casa tua, e
piangerà suo padre e sua madre per un mese intero; poi entrerai da lei,
e tu sarai suo marito, ed ella tua moglie.” Deuteronomio 21, 10-14.
La donna prigioniera di guerra che, suo malgrado si trova ad essere
nelle mani del nemico, non è una preda, non è un sollazzo e se il
soldato vuole che sia la sua compagna deve sposarla e deve darle il
tempo di un percorso rituale che le ridoni la propria dignità di
persona. Ovviamente non possiamo e dobbiamo giudicare questa norma con
gli occhi di noi moderni ed acculturati cittadini protetti dal Diritto,
dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e da tanta strada morale
compiuta da tremila anni a questa parte, più o meno gli anni
dell’esistenza della Torà. Forse queste parole possono essere
straordinariamente moderne per il mediatore culturale Abid Jee di
Crotone, ma di origini pakistane.
|
|
Leggi
|
Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
|
Il
documento che riafferma la centralità del dialogo con la Chiesa
cattolica firmato dai massimi rappresentanti del rabbinato mondiale
sembra rappresentare una tappa fondamentale che avrà conseguenze anche
politiche importanti. Il dialogo e non lo scontro, parlarsi mantenendo
una propria visione teologica, disponibile tuttavia all’ascolto
dell’altro. È una visione rivoluzionaria di questi tempi, che va
perseguita con convinzione. Una pratica che tuttavia non può limitarsi
a documenti firmati dai Maestri, ma che deve diventare parte di un
programma educativo diffuso, che istruisca un po’ tutti a pensare in
una prospettiva di apertura e disponibilità, di moderazione e di
incontro.
|
|
|
Il Dialogo va avanti
|
Forte
attenzione sulla stampa cattolica per l’incontro in Vaticano tra
Bergoglio e una delegazione della Conferenza dei rabbini europei, del
Rabbinato centrale d’Israele e del Consiglio rabbinico d’America
(delegazione di cui ha fatto parte anche il rabbino capo di Roma rav
Riccardo Di Segni). Al centro dell’incontro la consegna al papa di un
documento congiunto relativo ai progressi nel Dialogo a partire dalla
Nostra Aetate. Un documento storico, come abbiamo spiegato ieri sui
nostri notiziari: per la prima volta infatti il rabbinato ortodosso
internazionale ha dato un risposta unitaria su questo tema.
L’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede, pubblica
l’intervento tenuto da Bergoglio nel corso dell’incontro a Santa Marta.
Cattolici ed ebrei, il suo messaggio, sono chiamati a “collaborare più
strettamente oggi e in futuro nella ricerca ricerca comune di un mondo
migliore che possa godere di pace, giustizia sociale e sicurezza”.
Un documento rilevante, perché espressione autorevole della componente
ortodossa del mondo ebraico che riconosce il cammino positivo
intrapreso dalla Chiesa negli ultimi 50 anni. Questa la valutazione che
monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale
Cei per l’ecumenismo e il dialogo, offre ad Avvenire.
Suscita intanto curiosità la rivelazione, contenuta in un
libro-intervista del politologo francese Dominique Wolton, che all’età
di 42 anni l’allora direttore della Compagnia di Gesù in Argentina
Jorge Bergoglio si rivolse per sei mesi a una psicanalista ebrea.
“Del periodo relativo all’analisi è difficile capire, perché Bergoglio
non lo spiega, quali fossero i suoi problemi, se legati a nevrosi, o ad
uno stato di ansia oppure ad una lieve depressione passeggera.
Impossibile sapere se le sedute avvenissero sul classico lettino.
Bergoglio – scrive il Messaggero – aggiunge solo che da questa terapia
ha tratto grande beneficio”.
| |
Leggi
|
|
|
|
|
|
|
|
radio radicale insieme a pagine ebraiche
Il sionismo a 120 anni da Basilea
“Se
lo vorrete non sarà un sogno”. Dal 29 al 31 agosto del 1897, su
iniziativa di Theodor Herzl, si svolse a Basilea il primo Congresso
Mondiale Sionista. A 120 anni da quella storica giornata Radio
Radicale, in collaborazione con la redazione di Pagine Ebraiche, ha
organizzato uno speciale approfondimento su significato, sfide e
orizzonti del sionismo ospitato all’interno del programma serale Spazio
Transnazionale.
Clicca qui per ascoltare la puntata.
|
CONCLUSA LA MISSIONE DI ORLOWSKI Polonia, l'ambasciatore ai saluti
'Rafforzato impegno di Memoria'
“In
occasione della conclusione della sua missione in Italia, e di congedo
da tutti noi, le significo il profondo apprezzamento di tutte le
Comunità ebraiche e mio personale per quanto ha promosso in questi
anni. Il suo contributo e dedizione ai temi della Memoria e alla lucida
analisi della storia appena recente, e il suo impegno attivo e fattivo
nel favorire incontri, conoscenza e socializzazione di studenti,
rappresentanti istituzionali e della società civile, dei due nostri
Paesi, in un momento così rilevante per il futuro dell’Europa, è di
grande ispirazione e insegnamento a noi tutti”.
È quanto scrive la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Noemi Di Segni in un messaggio inviato all’ambasciatore
uscente di Polonia Tomasz Orlowski. Tra i vari incontri del suo
mandato, appena pochi mesi fa il diplomatico era stato ospite di un
evento specificamente dedicato al suo paese svoltosi presso il Centro
Bibliografico UCEI (nell'immagine).
“Un’occasione davvero unica per parlare del mio paese – rifletteva
allora Orlowski – e in una cornice dalla forte valenza simbolica.
Vorrei che partissimo da là, dall’orrore della Shoah, per dirci tutto
con franchezza. Vorrei inoltre che a partire da questo incontro
potessero essere superate alcune incomprensioni e alcuni stereotipi che
ci riguardano. Vorrei infine rappresentare quello che è il nostro
sforzo di Memoria oggi”.
Leggi
|
Diritto di carbonara
|
La
vicenda della bambina inglese che era stata affidata a una famiglia
musulmana fa pensare. Ovviamente non ci interessa il caso in sé (su cui
peraltro sono state dette un mare di inesattezze) ma il modo in cui è
stato raccontato e la mentalità comune che ne emerge. Tra i terribili
soprusi patiti dalla piccola, è stato detto, c’era il divieto di
mangiare il suo piatto preferito, gli spaghetti alla carbonara, poiché
contiene pancetta. Quanti bambini adottati in famiglie ebraiche hanno
subito gli stessi terribili soprusi? Temo che prima o poi qualcuno si
farà questa domanda, con conseguenze inquietanti. E se il divieto del
maiale fosse usato contro uno dei genitori nelle cause di separazione o
divorzio? Ma no, qualcuno risponderà, nel caso specifico si trattava di
affidamento, non di adozione. Una situazione temporanea. D’accordo, ma
una famiglia che osserva determinate regole alimentari può consentire a
un’ospite temporanea di introdurre in casa cibi proibiti? Ovviamente
no. Molti ebrei anche non osservanti (e io sono tra questi) mai e poi
mai e poi mai ammetterebbero la pancetta in casa loro, neppure se fosse
solo ad uso e consumo di un ospite, anzi, troverebbero (giustamente)
molto offensivo se l’ospite chiedesse di introdurla. Può darsi che in
quella situazione specifica ci siano stati inopportuni tentativi di
indottrinamento, ma in generale non vedo cosa ci sia di male se una
bambina viene educata a rispettare la casa che la ospita rassegnandosi
a mangiare la carbonara altrove.
Anna Segre, insegnante
Leggi
|
Fobia e scontro di civiltà
|
Il
pensiero ebraico insegna il concetto di “kol Israel arevim ze ba ze”,
ovvero “ogni ebreo è responsabile/garante dell’altro”, il singolo ebreo
dunque deve comportarsi onestamente e nel modo più giusto, in modo che
la sua colpa non ricada iniquamente sulla collettività ebraica, per la
quale egli è responsabile. Estendendo questo principio dovremmo trarre
che chiunque commette un crimine oltre a fare del male egoisticamente
sull’altro e su se stesso, lede e infanga in primis il nome dei propri
famigliari, antenati, e discendenti, di tutto il suo gruppo e
dell’umanità in generale. Un criminale invece di essere accumulato come
paradigma della propria nazione dovrebbe essere percepito come uno dei
suoi principali nemici.
La serie di violenze avvenute la scorsa settimana sulla riviera
romagnola s’inserisce in un contesto di scempio e di orrore delineante
un paese allo sbaraglio, vessato da angherie, intolleranza e odio.
L’efferatezza di certi gesti ha pochi eguali, e rara è stata anche la
strumentalizzazione politica che ne è seguita – riprendendo le stesse
parole di una delle vittime, laddove il suo invito alla ragione
dovrebbe essere d’esempio.
Francesco Moises Bassano
Leggi
|
|
|