Pagine Ebraiche, il dossier Sicilia
Una storia senza eguali nel mondo

La Giornata Europea della Cultura Ebraica in programma il prossimo 10 settembre protagonista del numero di settembre di Pagine Ebraiche in distribuzione, che tra i vari temi approfondisce sfide e scenari dell’ormai tradizionale appuntamento di fine estate. Incontri e linee guida della Giornata trovano collocazione in diverse pagine del mensile, in continuità con i diversi spazi di approfondimento aperti nello scorso numero attraverso le pagine dello speciale dossier “Sicilia ebraica”, curato da Ada Treves.
Tra i protagonisti del dossier l’architetto David Cassuto, membro illustre della comunità degli Italkim (gli italiani di Israele).

“Ho iniziato a interessarmi della storia della Sicilia ebraica verso la fine degli anni Ottanta. Mi capitò di leggere degli scritti di Obadia Da Bertinoro sulla sinagoga di Palermo, e da lì cominciai a studiare la questione”. David Cassuto, architetto, vicesindaco di Gerusalemme tra il 1993 e il 1998 – periodo in cui si dedicò in particolare allo sviluppo culturale e urbanistico della città – ripercorre parlando con Pagine Ebraiche gli approfondimenti compiuti sulle vicende della comunità dell’isola. Proprio a partire dallo scritto che suscitò in lui la curiosità di capire cosa fosse, e cosa è rimasto. “La sinagoga di Palermo non ha eguali nel mondo per il suo grande pregio. Essa ha un cortile esterno con piante di viti che si arrampicano su pilastri di pietra. Io non ho visto mai simili viti, delle quali una, misurata da me, aveva lo spessore di cinque palmi. Si scende quindi per mezzo di gradini di pietra nell’atrio della corte che è dinanzi la sinagoga; essa è cinta da tre lati da una esedra dove se ne sta la gente che per qualsivoglia ragione non vuole entrare nella sinagoga. In detta corte c’è un bel ed elegante pozzo. Nel quarto lato si apre la porta della sinagoga, il cui edificio è un quadrato, lungo quaranta cubiti e largo quaranta”. Così Obadia, grande rabbino italiano particolarmente noto per il suo commentario alla Mishnà, testo fondante della Torah orale, parla del suo soggiorno nel capoluogo siculo in una lettera del 1488 destinata al padre che abitava a Città di Castello. Lo studioso si fermò in città per tre mesi nel corso del lungo viaggio che dall’omonimo centro d’origine, Bertinoro appunto – oggi in provincia di Forlì-Cesena – lo portò a trasferirsi a Gerusalemme, dove divenne un pilastro della comunità locale. Solo pochi anni dopo, gli ebrei sarebbero stati espulsi dalla Spagna e da tutti i suoi possedimenti, dunque anche il Meridione d’Italia, scrivendo la parola fine alla vita di una comunità numerosa e attiva, che in quei luoghi aveva prosperato per secoli. Dalle sue parole inizia anche il viaggio in Sicilia di Cassuto, sul piano fisico e su quello intellettuale, in entrambi i casi spesso accompagnato da Margherita De Simone, allora preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo, e poi dalla professoressa Rosalia La Franca e da Nicolò Bucaria, autore di molti scritti scientifici sull’argomento. “Qualche anno fa mi si presentò l’occasione di visitare Palermo, colsi questa opportunità con grande entusiasmo; mi incuriosivano in quegli anni la storia di questa città ed in modo speciale le sue vicende ebraiche – si legge nelle prime righe di uno dei saggi firmati da Cassuto – La mia sorpresa fu enorme, arrivando a Palermo nel giugno 1992, nel trovare già espletata una vasta ricerca di più di sessanta giudaiche siciliane”. Tra i punti focali delle sue indagini l’identificazione dell’esatta ubicazione della sinagoga descritta da Bertinoro, utilizzando non soltanto la lettera del Maestro, ma anche l’atto di vendita della stessa, del complesso che comprendeva un mikveh (bagno rituale) e un ricovero per malati, bisognosi e viaggiatori e addirittura dell’intero quartiere, redatto quando gli ebrei dovettero disfarsi dei loro beni in fretta e furia cacciati dall’editto dei sovrani di Spagna. Autore ne è Abraam De Orefice: nel documento si parla di oltre 40 case e botteghe, del macello, del cortile “con le pergole, gli alberi di citrangoli e di limoni, pilastri e pozzi e la fonte dell’acqua”. La prova più tangibile a testimoniare dove la sinagoga si trovasse è il nome della piazza situata nell’area dell’antico quartiere ebraico, un nome sopravvissuto fino a oggi: “Meschita”, il termine con cui veniva appunto chiamata la sinagoga. In Piazza Meschita oggi ha sede tra l’altro l’Archivio storico di Palermo (oltre che la Congregazione Madonna del Sabato, che qualche mese fa ha concesso in comodato d’uso il suo oratorio agli ebrei della città). Per avere conferma però l’architetto studia le piante d’epoca della città, e si reca di persona nei vari luoghi. “Gli esperti dell’Archivio mi hanno permesso di visitare sotterranei e cantine. Sono andato a parlare con l’Autorità che gestisce la rete fognaria per sapere se scavando avevamo trovato qualcosa in quella zona, e mi fu risposto che in effetti erano state rinvenute delle panche di pietra. Da lì ho capito dove fossero il cortile e la sinagoga. Fu una grande emozione” sottolinea Cassuto. Particolare è la storia del termine “Meschita”, una latinizzazione del termine arabo che indica una moschea, e suggerirebbe forse che la struttura fosse in origine proprio un luogo di culto musulmano, poi divenuto ebraico, oppure che il dialetto locale mantenne una parola araba per indicare edifici religiosi diversi dalle Chiese. Gli studi di Cassuto sulla Sicilia ebraica si sono concentrati anche su vari altri soggetti dentro e fuori Palermo, portando a ulteriori scoperte importanti, come il rinvenimento di un bagno rituale a Siracusa. “La Sicilia era la terra di approdo delle persone che partivano dall’oriente per l’Italia, un luogo fondamentale – conclude Cassuto – Penso che cercando sia negli archivi sia archeologicamente si possa trovare molto di più. È un lavoro da farsi”.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche settembre 2017

(1 settembre 2017)