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31 Ottobre 2017 - 11 Cheshvan 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Roberto
Della Rocca,
rabbino
Se oggi si facesse un sondaggio tra gli ebrei italiani su che tipo di comunità si vorrebbe l’aggettivo più gettonato sarebbe probabilmente "accogliente".
Ancor più di una comunità viva culturalmente e religiosamente, solidale e portatrice di valori nella società in cui viviamo, la parola “accoglienza” sembra essere diventata il requisito primario a cui dovrebbe uniformarsi una leadership comunitaria. In molti nostri dibattiti si sente invocare l’“accoglienza” come se la comunità fosse un hotel con i suoi anfitrioni addetti ad accogliere gli ospiti, e come se l'“accoglienza” non fosse, piuttosto, un dovere primario di ciascun ebreo.
 
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
“Weal tadin eth chaverekhah ‘ad shetaghia’ limqomò”: ‘e non giudicare il tuo prossimo finché tu non sia giunto al suo posto’, ammonisce la Mishnà. E forse non significa solo ‘non giudicare perché non ti trovi al suo posto (e quindi non sei in grado di capire)’, ma anche ‘non giudicare fino a che non ti troverai (necessariamente) nella sua situazione’, e un giorno, vedrai, potrà capitare anche a te di trovartici. Quindi, è opportuno che tu sospenda il giudizio.
 
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18enne arrestato a Roma,
in casa simboli fascisti
Simboli neo-fascisti a casa del 18enne arrestato a Roma per il pestaggio razzista ai danni di un cittadino bengalese. Sua la posizione più grave nel branco che ha colpito in piazza Cairoli, a due passi dal Portico d’Ottavia. Gli agenti intanto, riferisce Repubblica, continuano a cercare di chiarire i rapporti degli aggressori con la curva giallorossa e indagano anche per capire se qualcun altro ha partecipato al pestaggio.

Il cimitero Maggiore di Milano oggi e domani sarà sorvegliato speciale per impedire che il Campo 10 diventi ancora teatro di saluti romani e parate nere. Il rischio c’è, ha spiegato ieri il sindaco Beppe Sala, ed è per questo – riporta il dorso locale di Repubblica – che ha parlato con la prefetta chiedendole “di sorvegliare il cimitero affinché non ci siano segni, bandiere e apologia di qualcosa di terribile come il fascismo” e augurandosi che “questa capacità di vigilare ci sia”.

Scrive la Gazzetta dello Sport: “Un filo nero percorre l’Europa con l’immagine di Anna Frank”. In Germania, a Düsseldorf, sono infatti apparsi fotomontaggi, con la maglia dello Schalke, dell’autrice del celebre Diario uccisa dai nazisti. Una triste imitazione, viene spiegato, “del precedente di Roma di poco più di una settimana fa”.

Cinque morti, 15 feriti e almeno 14 dispersi: è il bilancio della distruzione da parte di Israele di un tunnel nascosto in una scuola di Gaza e che doveva sbucare in territorio israeliano con l’obiettivo di realizzarvi azioni terroristiche. L’interrogativo, scrive La Stampa in una breve, è cosa facessero 40 uomini nel tunnel. I preparativi per un blitz o forse una maxi esercitazione?
 
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  davar
su pagine ebraiche di novembre
Capolavori depredati in mostra,
Bonn e Berna fanno luce

(August Macke, Nel giardino del castello di Oberhofen, 1914
Acquarello su carta - Kunstmuseum Bern, Lascito Cornelius Gurlitt, 2014)

"Gurlitt: Status Report", un titolo che accomuna due mostre straordinarie, aperte quasi in contemporanea. Due esposizioni fortemente volute da due grandi musei europei che molto hanno lavorato per organizzarle, sostenuti dai rispettivi governi. Due Paesi che hanno deciso di collaborare su un argomento difficile.
Dal 2 novembre il Kunstmuseum di Berna con “Degenerate Art – confiscated and sold" ("Arte degenerata - confiscata e venduta") e dal giorno successivo la Bundeskunsthalle di Bonn con Nazi Art Theft and its Consequences ("Il furto d'arte per mano nazista e le sue conseguenze") mostrano per la prima volta al pubblico opere d'arte tenute nascoste per decenni.
(Emil Nolde, Paesaggio con le nuvole - Acquarello su carta giapponese - Kunstmuseum Bern, Lascito Cornelius Gurlitt, 2014)

E mentre a Berna il focus è sull'arte considerata "degenerata", con una mostra curata da Nina Zimmer e Matthias Frehner con l'aiuto di Georg Kreis, a Bonn il percorso espositivo, curato da Rein Wolfs e Agnieszka Lulinska, parte dalle opere d'arte rubate durante le persecuzioni naziste e da quelle la cui provenienza ancora non è stata chiarita per fare luce sul destino dei perseguitati, principalmente collezionisti o anche mercanti d'arte ebrei, in contrapposizione con le storie individuali dei persecutori nazisti.
È la prima volta che viene mostrato al pubblico il tesoro conservato per decenni da Cornelius Gurlitt in un vecchio appartamento di Monaco di Baviera, dove era stato sequestrato a fine febbraio 2012. Un patrimonio incredibile, buona parte del quale era creduto perduto, e a cui la polizia è arrivata solo dopo che nel 2010, durante un controllo casuale effettuato su un treno su cui viaggiava di ritorno dalla Svizzera, erano state trovate addosso a Gurlitt, già quasi ottantenne, diverse migliaia di euro.
(A sinistra: Otto Dix, Leonie, 1923 - Litografia a colori su carta. A destra: Otto Dix, Il soldato del reggimento di fanteria - Pastelli e gesso nero su carta da pacchi. Entrambe le opere al Kunstmuseum Bern, Lascito Cornelius Gurlitt, 2014)

Nella casa di Schwabing, quartiere residenziale della città, tra montagne di immondizia, era nascosta una collezione di capolavori: da Picasso a Matisse, da Beck a Chagall, da Monet a Otto Dix. Opere nascoste per mezzo secolo, cui se ne sono in seguito andate ad aggiungere altre, quadri, disegni e sculture recuperati in una casa a Salisburgo, in Austria, anch'esse ereditate dal padre, Hildebrand, che era stato uno dei mercanti d’arte più famosi della Germania nazista. Un personaggio controverso, che alla fine della guerra aveva dichiarato che il suo tesoro di opere d'arte era andato distrutto durante il bombardamento di Dresda. Le opere, sottratte agli ebrei, acquistate al ribasso, o sequestrate nei musei come “arte degenerata” erano invece ancora in suo possesso. Ma quando gli americani lo avevano interrogato si era definito "un mezzosangue che non ha mai collaborato con il regime". Affermazione solo parzialmente vera: effettivamente aveva dovuto lasciare la direzione del König Albert museum di Zwickau - che già gli era stata contestata quando aveva ripetutamente esposto artisti contemporanei - perché i nazisti avevano scoperto che la sua nonna paterna era ebrea (era una Lewald di Königsberg). Ma aveva poi lavorato ad Amburgo, e poi ricevuto un'offerta dal ministro della Propaganda del Terzo Reich. Göbbels gli aveva proposto di usare la sua rete di contatti per vendere le opere di quell'arte contemporanea che Hitler considerava "degenerata". Degenerata, ma capace di fruttare enormi somme di denaro. Hildebrand Gurlitt si era messo a viaggiare per trovare "arte degenerata" da vendere, e contemporaneamente procurarsi capolavori per il museo che il Führer voleva costruire a Linz.

Di fatto, come dimostrano molti documenti, divenne coordinatore dei furti agli
ebrei e agli oppositori del regime, accantonando una fortuna, e raccogliendo opere per sé. Alla fine della guerra, dopo aver convinto le autorità americane e tedesche che buona parte delle tele in suo possesso erano andate distrutte, era riuscito anche a farsi riconoscere come "vittima del nazismo", e a farsi rendere le oltre cento opere che gli erano state sequestrate. Aveva così continuato a fare il mercante d'arte fino alla morte, avvenuta per un incidente d'auto nel 1956. Cornelius, al contrario, aveva dichiarato di non aver mai comprato nulla, e di essersi limitato a salvare la collezione, come già aveva aiutato a fare da ragazzo, prima del bombardamento di Dresda, quando i quadri erano stati portati prima in una fattoria fuori città e poi nel sud della Germania. Sconvolto dal sequestro delle opere in mezzo a cui era cresciuto, Cornelius Gurlitt ha sempre sostenuto che i quadri erano stati acquisiti dal padre legalmente, e combattuto per farsi rendere l'immensa collezione. Cosa che aveva ottenuto poco prima di morire, in cambio della sua collaborazione con la task force che doveva trovare i legittimi proprietari dei quadri, o i loro eredi, e la disponibilità e renderli ai legittimi proprietari. Alla sua morte, nel 2014, si scoprì che aveva fatto testamento, lasciando tutta la collezione al Kunstmuseum di Berna che, dopo aver vinto alcune battaglie legali, si è ancora preso sei mesi di tempo per decidere se accettare un lascito carico di conseguenze complesse da gestire, come le lunghe e costose cause di restituzione.
È stato necessario un accordo tra Stato federale tedesco, Baviera e Svizzera per trovare una soluzione accettabile: Christoph Schäublin, direttore del museo di Berna, ha dichiarato di accettare l'eredità, ma specificando che "nessuna opera d'arte razziata varcherà la soglia del museo o toccherà il suolo elvetico". È la Germania che deve farsi carico delle ricerche sulla provenienza delle opere e dei relativi costi e mentre le opere riconosciute come razziate verranno restituite, le altre potranno essere esposte a Berna e prestate ad altri musei. E nonostante siano passati più di settant'anni, la Germania ancora non ha una legge sulla restituzione di ciò che fu sottratto durante il nazismo.

Ada Treves twitter @ada3ves, Pagine Ebraiche Novembre 2017
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qui roma
Memoria, in viaggio con i giovani
“Dobbiamo tenere viva la memoria storica perché senza di essa non vi è futuro. Serve tramandarla alle nuove generazioni perché quanto successo passato non accada mai più. Offriamo la possibilità ai ragazzi di partecipare ad un progetto formativo di alto valore educativo oltre che culturale”.
È quanto dichiarato questa mattina dalla sindaca di Roma Virginia Raggi in occasione della conferenza stampa da presentazione del Viaggio della Memoria organizzato assieme da amministrazione comunale e Comunità ebraica romana che nei prossimi giorni porterà docenti e studenti di numerose scuole del territorio in Polonia. A presentare l’iniziativa e a contestualizzarla nel quadro attuale, assieme alla sindaca Raggi, la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello, il presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, l’assessore comunale Laura Baldassarre e il Testimone Sami Modiano.
Negli scorsi giorni, la Fondazione aveva collaborato con la Regione Lazio all’interno di un viaggio rivolto ai docenti.
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pilpul
Anna Frank in campo
Il linguista Lorenzo Tomasin ha scritto in un tweet il 25 ottobre: “Sbaglierò, ma a me pare che mettere la maglia di QUALSIASI squadra di calcio addosso ad Anna Frank sia offensivo”. E poi c’è chi dice che non bastano 140 caratteri a esprimere un pensiero, a dire qualcosa. Ora ripartiamo pure con gli editoriali. 

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Storie - Fascismo visto dagli Usa
Almeno in una prima fase il fascismo e Mussolini furono mitizzati dai corrispondenti americani. Il duce venne ritratto come un dittatore buono, l’uomo che aveva salvato l’Italia dal bolscevismo e che era capace di inserirla nel flusso storico della modernità. È quanto racconta il saggio La scoperta dell’Italia di Mauro Canali (Marsilio, pp. 494), appena uscito in libreria.
L’avvento del fascismo in Italia si rivelò un enigma difficile da decifrare e narrare ai lettori d'oltreoceano. Già profondamente scossi dalle lotte sociali del Biennio Rosso, che agli occhi degli americani erano veri e propri moti eversivi di derivazione russa, di fronte al sorgere del movimento mussoliniano i corrispondenti dei giornali Usa manifestarono reazioni diverse. Alcuni, abbandonandosi a illusioni e pregiudizi, azzardarono audaci analogie tra il capo del fascismo e i protagonisti dell'epopea a stelle e strisce.


Mario Avagliano
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La luce dietro la siepe
Tal Flicker ha appena vinto un oro nella sua categoria nel Grande Slam di judo, svoltosi in Abu Dahbi, un emirato facente parte degli Emirati Arabi Uniti. Quando Flicker ha vinto, non è stata issata la sua bandiera né si è suonato l’inno di Israele. Dimostrando, però, che l’autarchia aveva qualche cosa di buono, se l’è cantato da solo. Il codice morale del judo, opera del fondatore di questo sport, Jigoro Kano, prevede degli obblighi etici che incoraggiano l’amicizia, il coraggio e l’onore e, anche ad un approfondito esame, non sembra che contenga codicilli o postille che, a un dipresso, recitino una previsione del tipo: “naturalmente sono esclusi gli ebrei e gli israeliani”.

Emanuele Calò
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