Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Se
oggi si facesse un sondaggio tra gli ebrei italiani su che tipo di
comunità si vorrebbe l’aggettivo più gettonato sarebbe probabilmente
"accogliente".
Ancor più di una comunità viva culturalmente e religiosamente, solidale
e portatrice di valori nella società in cui viviamo, la parola
“accoglienza” sembra essere diventata il requisito primario a cui
dovrebbe uniformarsi una leadership comunitaria. In molti nostri
dibattiti si sente invocare l’“accoglienza” come se la comunità fosse
un hotel con i suoi anfitrioni addetti ad accogliere gli ospiti, e come
se l'“accoglienza” non fosse, piuttosto, un dovere primario di ciascun
ebreo.
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
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“Weal
tadin eth chaverekhah ‘ad shetaghia’ limqomò”: ‘e non giudicare il tuo
prossimo finché tu non sia giunto al suo posto’, ammonisce la Mishnà. E
forse non significa solo ‘non giudicare perché non ti trovi al suo
posto (e quindi non sei in grado di capire)’, ma anche ‘non giudicare
fino a che non ti troverai (necessariamente) nella sua situazione’, e
un giorno, vedrai, potrà capitare anche a te di trovartici. Quindi, è
opportuno che tu sospenda il giudizio.
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18enne arrestato a Roma,
in casa simboli fascisti
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Simboli
neo-fascisti a casa del 18enne arrestato a Roma per il pestaggio
razzista ai danni di un cittadino bengalese. Sua la posizione più grave
nel branco che ha colpito in piazza Cairoli, a due passi dal Portico
d’Ottavia. Gli agenti intanto, riferisce Repubblica, continuano a
cercare di chiarire i rapporti degli aggressori con la curva
giallorossa e indagano anche per capire se qualcun altro ha partecipato
al pestaggio.
Il cimitero Maggiore di Milano oggi e domani sarà sorvegliato speciale
per impedire che il Campo 10 diventi ancora teatro di saluti romani e
parate nere. Il rischio c’è, ha spiegato ieri il sindaco Beppe Sala, ed
è per questo – riporta il dorso locale di Repubblica – che ha parlato
con la prefetta chiedendole “di sorvegliare il cimitero affinché non ci
siano segni, bandiere e apologia di qualcosa di terribile come il
fascismo” e augurandosi che “questa capacità di vigilare ci sia”.
Scrive la Gazzetta dello Sport: “Un filo nero percorre l’Europa con
l’immagine di Anna Frank”. In Germania, a Düsseldorf, sono infatti
apparsi fotomontaggi, con la maglia dello Schalke, dell’autrice del
celebre Diario uccisa dai nazisti. Una triste imitazione, viene
spiegato, “del precedente di Roma di poco più di una settimana fa”.
Cinque morti, 15 feriti e almeno 14 dispersi: è il bilancio della
distruzione da parte di Israele di un tunnel nascosto in una scuola di
Gaza e che doveva sbucare in territorio israeliano con l’obiettivo di
realizzarvi azioni terroristiche. L’interrogativo, scrive La Stampa in
una breve, è cosa facessero 40 uomini nel tunnel. I preparativi per un
blitz o forse una maxi esercitazione?
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su pagine ebraiche di novembre
Capolavori depredati in mostra,
Bonn e Berna fanno luce
(August Macke, Nel giardino del castello di Oberhofen, 1914
Acquarello su carta - Kunstmuseum Bern, Lascito Cornelius Gurlitt, 2014)
"Gurlitt:
Status Report", un titolo che accomuna due mostre straordinarie, aperte
quasi in contemporanea. Due esposizioni fortemente volute da due grandi
musei europei che molto hanno lavorato per organizzarle, sostenuti dai
rispettivi governi. Due Paesi che hanno deciso di collaborare su un
argomento difficile.
Dal 2 novembre il Kunstmuseum di Berna con “Degenerate Art –
confiscated and sold" ("Arte degenerata - confiscata e venduta") e dal
giorno successivo la Bundeskunsthalle di Bonn con Nazi Art Theft and
its Consequences ("Il furto d'arte per mano nazista e le sue
conseguenze") mostrano per la prima volta al pubblico opere d'arte
tenute nascoste per decenni. (Emil Nolde, Paesaggio con le nuvole - Acquarello su carta giapponese - Kunstmuseum Bern, Lascito Cornelius Gurlitt, 2014)
E mentre a Berna il focus è sull'arte considerata "degenerata", con una
mostra curata da Nina Zimmer e Matthias Frehner con l'aiuto di Georg
Kreis, a Bonn il percorso espositivo, curato da Rein Wolfs e Agnieszka
Lulinska, parte dalle opere d'arte rubate durante le persecuzioni
naziste e da quelle la cui provenienza ancora non è stata chiarita per
fare luce sul destino dei perseguitati, principalmente collezionisti o
anche mercanti d'arte ebrei, in contrapposizione con le storie
individuali dei persecutori nazisti.
È la prima volta che viene mostrato al pubblico il tesoro conservato
per decenni da Cornelius Gurlitt in un vecchio appartamento di Monaco
di Baviera, dove era stato sequestrato a fine febbraio 2012. Un
patrimonio incredibile, buona parte del quale era creduto perduto, e a
cui la polizia è arrivata solo dopo che nel 2010, durante un controllo
casuale effettuato su un treno su cui viaggiava di ritorno dalla
Svizzera, erano state trovate addosso a Gurlitt, già quasi ottantenne,
diverse migliaia di euro. (A sinistra: Otto Dix, Leonie, 1923 - Litografia a colori su carta. A destra: Otto Dix, Il soldato del reggimento di fanteria - Pastelli e gesso nero su carta da pacchi. Entrambe le opere al Kunstmuseum Bern, Lascito Cornelius Gurlitt, 2014)
Nella casa di Schwabing, quartiere residenziale della città, tra
montagne di immondizia, era nascosta una collezione di capolavori: da
Picasso a Matisse, da Beck a Chagall, da Monet a Otto Dix. Opere
nascoste per mezzo secolo, cui se ne sono in seguito andate ad
aggiungere altre, quadri, disegni e sculture recuperati in una casa a
Salisburgo, in Austria, anch'esse ereditate dal padre, Hildebrand, che
era stato uno dei mercanti d’arte più famosi della Germania nazista. Un
personaggio controverso, che alla fine della guerra aveva dichiarato
che il suo tesoro di opere d'arte era andato distrutto durante il
bombardamento di Dresda. Le opere, sottratte agli ebrei, acquistate al
ribasso, o sequestrate nei musei come “arte degenerata” erano invece
ancora in suo possesso. Ma quando gli americani lo avevano interrogato
si era definito "un mezzosangue che non ha mai collaborato con il
regime". Affermazione solo parzialmente vera: effettivamente aveva
dovuto lasciare la direzione del König Albert museum di Zwickau - che
già gli era stata contestata quando aveva ripetutamente esposto artisti
contemporanei - perché i nazisti avevano scoperto che la sua nonna
paterna era ebrea (era una Lewald di Königsberg). Ma aveva poi lavorato
ad Amburgo, e poi ricevuto un'offerta dal ministro della Propaganda del
Terzo Reich. Göbbels gli aveva proposto di usare la sua rete di
contatti per vendere le opere di quell'arte contemporanea che Hitler
considerava "degenerata". Degenerata, ma capace di fruttare enormi
somme di denaro. Hildebrand Gurlitt si era messo a viaggiare per
trovare "arte degenerata" da vendere, e contemporaneamente procurarsi
capolavori per il museo che il Führer voleva costruire a Linz.
Di
fatto, come dimostrano molti documenti, divenne coordinatore dei furti
agli ebrei e agli oppositori del regime, accantonando una fortuna, e
raccogliendo opere per sé. Alla fine della guerra, dopo aver convinto
le autorità americane e tedesche che buona parte delle tele in suo
possesso erano andate distrutte, era riuscito anche a farsi riconoscere
come "vittima del nazismo", e a farsi rendere le oltre cento opere che
gli erano state sequestrate. Aveva così continuato a fare il mercante
d'arte fino alla morte, avvenuta per un incidente d'auto nel 1956.
Cornelius, al contrario, aveva dichiarato di non aver mai comprato
nulla, e di essersi limitato a salvare la collezione, come già aveva
aiutato a fare da ragazzo, prima del bombardamento di Dresda, quando i
quadri erano stati portati prima in una fattoria fuori città e poi nel
sud della Germania. Sconvolto dal sequestro delle opere in mezzo a cui
era cresciuto, Cornelius Gurlitt ha sempre sostenuto che i quadri erano
stati acquisiti dal padre legalmente, e combattuto per farsi rendere
l'immensa collezione. Cosa che aveva ottenuto poco prima di morire, in
cambio della sua collaborazione con la task force che doveva trovare i
legittimi proprietari dei quadri, o i loro eredi, e la disponibilità e
renderli ai legittimi proprietari. Alla sua morte, nel 2014, si scoprì
che aveva fatto testamento, lasciando tutta la collezione al
Kunstmuseum di Berna che, dopo aver vinto alcune battaglie legali, si è
ancora preso sei mesi di tempo per decidere se accettare un lascito
carico di conseguenze complesse da gestire, come le lunghe e costose
cause di restituzione.
È stato necessario un accordo tra Stato federale
tedesco, Baviera e Svizzera per trovare una soluzione accettabile:
Christoph Schäublin, direttore del museo di Berna, ha dichiarato di
accettare l'eredità, ma specificando che "nessuna opera d'arte razziata
varcherà la soglia del museo o toccherà il suolo elvetico". È la
Germania che deve farsi carico delle ricerche sulla provenienza delle
opere e dei relativi costi e mentre le opere riconosciute come razziate
verranno restituite, le altre potranno essere esposte a Berna e
prestate ad altri musei. E nonostante siano passati più di
settant'anni, la Germania ancora non ha una legge sulla restituzione di
ciò che fu sottratto durante il nazismo.
Ada Treves twitter @ada3ves, Pagine Ebraiche Novembre 2017 Leggi
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Anna Frank in campo |
Il
linguista Lorenzo Tomasin ha scritto in un tweet il 25 ottobre:
“Sbaglierò, ma a me pare che mettere la maglia di QUALSIASI squadra di
calcio addosso ad Anna Frank sia offensivo”. E poi c’è chi dice che non
bastano 140 caratteri a esprimere un pensiero, a dire qualcosa. Ora
ripartiamo pure con gli editoriali.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Storie - Fascismo visto dagli Usa
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Almeno
in una prima fase il fascismo e Mussolini furono mitizzati dai
corrispondenti americani. Il duce venne ritratto come un dittatore
buono, l’uomo che aveva salvato l’Italia dal bolscevismo e che era
capace di inserirla nel flusso storico della modernità. È quanto
racconta il saggio La scoperta dell’Italia di Mauro Canali (Marsilio, pp. 494), appena uscito in libreria.
L’avvento del fascismo in Italia si rivelò un enigma difficile da
decifrare e narrare ai lettori d'oltreoceano. Già profondamente scossi
dalle lotte sociali del Biennio Rosso, che agli occhi degli americani
erano veri e propri moti eversivi di derivazione russa, di fronte al
sorgere del movimento mussoliniano i corrispondenti dei giornali Usa
manifestarono reazioni diverse. Alcuni, abbandonandosi a illusioni e
pregiudizi, azzardarono audaci analogie tra il capo del fascismo e i
protagonisti dell'epopea a stelle e strisce.
Mario Avagliano
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La luce dietro la siepe |
Tal
Flicker ha appena vinto un oro nella sua categoria nel Grande Slam di
judo, svoltosi in Abu Dahbi, un emirato facente parte degli Emirati
Arabi Uniti. Quando Flicker ha vinto, non è stata issata la sua
bandiera né si è suonato l’inno di Israele. Dimostrando, però, che
l’autarchia aveva qualche cosa di buono, se l’è cantato da solo. Il
codice morale del judo, opera del fondatore di questo sport, Jigoro
Kano, prevede degli obblighi etici che incoraggiano l’amicizia, il
coraggio e l’onore e, anche ad un approfondito esame, non sembra che
contenga codicilli o postille che, a un dipresso, recitino una
previsione del tipo: “naturalmente sono esclusi gli ebrei e gli
israeliani”.
Emanuele Calò
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