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12 novembre 2017 - 21 Cheshvan 5778
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israele non vuole il conflitto con beirut ma avvisa hezbollah e iran

Gerusalemme, occhi puntati sul Libano
L'insabilità porta venti di guerra

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“Per la prima volta nella mia vita, molti altri stati della regione riconoscono che Israele non è il loro nemico. Riconoscono che Israele è il loro alleato. I nostri nemici comuni sono l’Iran e l’Isis. I nostri obiettivi comuni sono la sicurezza, la prosperità e la pace. Credo che nei prossimi anni lavoreremo insieme per raggiungere questi obiettivi e collaborare apertamente”. Nel suo discorso di un anno fa alle Nazioni Unite, il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (nell’immagine durante una conferenza stampa tenuta la scorsa settimana a Londra in merito alla minaccia iraniana) aveva già chiarito che gli equilibri in Medio Oriente stavano cambiando e nuove alleanze, seppur sotto traccia, si stavano delineando. La notizia del dispaccio inviato dal ministero degli Esteri israeliano alle ambasciate del Paese nel mondo è una conferma di come il quadro stia cambiando: nella direttiva di Gerusalemme, l’indicazione di iniziare una campagna diplomatica contro Iran e Hezbollah, includendo il sostegno alle affermazioni dell’Arabia Saudita che ha indicato i due alleati sciiti come responsabili dell’attacco missilistico lanciato contro Riad nel fine settimana scorso (a far partire il razzo, abbattuto, il movimento yemenita Huthi, che gode del sostegno proprio dell’Iran). La missiva diplomatica, stando a quanto risulta al canale 10 israeliano che per primo ha riportato la notizia, è stata inviata domenica scorsa, il giorno dopo che l’ ex primo ministro libanese Saad Hariri ha annunciato – sorprendendo molti – le sue dimissioni dalla presidenza. Una decisione resa nota durante la sua visita in Arabia Saudita. Nell’occasione, Hariri ha detto di temere per la sua vita, sostenendo che vi sia un complotto per ucciderlo, e ha aspramente criticato l’influenza di Hezbollah e Iran sul suo paese. “Gli eventi in Libano e il missile balistico lanciato dagli Huthi contro l’aeroporto internazionale di Riyad dovrebbero indurre [il mondo] ad aumentare la pressione su Iran e Hezbollah su una serie di questioni, dalla produzione di missili balistici ai suoi sforzi di sovvertire l’ordine regionale”, si legge nella nota del ministero degli Esteri. “Su richiesta del direttore generale, vi viene chiesto di contattare urgentemente i ministeri degli Esteri e altre entità pertinenti a livello governativo e di sottolineare che le dimissioni di Hariri e i suoi commenti sulle ragioni che lo hanno portato a dimettersi dimostrano ancora una volta il carattere distruttivo dell’Iran e di Hezbollah e come costituiscano un pericolo per la stabilità del Libano e dei paesi della regione”.

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le israeliane da tempo usano i social per denunciare le molestie

#MeToo, donne unite contro la violenza

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Il caso delle molestie sessuali di cui è stato accusato il produttore americano Harvey Weinstein ha prodotto una imponente campagna sui social network: migliaia di donne hanno condiviso su Twitter, Facebook, Istagram le proprie storie utilizzando l'hashtag #MeToo, e in Italia #quellavoltache. Un modo per far sentire la propria voce di fronte ad abusi e violenze subite nei luoghi di lavoro e nella quotidianità dagli uomini che non ha però trovato solo empatia. Una buona sintesi di chi ha criticato il movimento #MeToo sono le parole del parlamentare israeliano Bezalel Smotrich del partito di governo HaBayt HaYehudi. “La verità deve essere detta: la campagna #MeToo è falsa, faziosa e pericolosa, ideata per dipingere tutti gli uomini come molestatori e stupratori, e tutte le donne come vittime”. Una presa di posizione legata alla pubblicazione sul popolare giornale israeliano Yedioth Ahronoth di alcune testimonianze di attrici e giornaliste locali che hanno raccontato le proprie traumatiche esperienze (in ebraico il trend sui social era ינא םג, gam ani, anch'io) in Israele. Dopo essere stato duramente contestato, Smotrich ha poi cercato di precisare la sua posizione: “Sia chiaro: il fenomeno della molestia sessuale è un fenomeno sociale terribile e diffuso che deve essere limitato: con l'istruzione e l'intensificazione delle pene, e non con una guerra tra i sessi”.

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ex capi del mossad e dello shin bet considerano positiva l'intesa

Voci israeliane per l’accordo nucleare iraniano

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A metà ottobre il Presidente Usa Donald Trump si è rifiutato di “certificare” l’accordo sul nucleare iraniano, decisione che potrebbe preludere a una revoca vera e propria del trattato a meno di un voto del Congresso americano, entro 90 giorni, in cui questo dichiara che l’Iran sta rispettando gli impegni presi. L’annuncio di Trump ha creato subbuglio e preoccupazione non solo in Europa, dove come era prevedibile vi è preoccupazione per le possibili ripercussioni militari e quelle commerciali, ma inaspettatamente anche in ambienti militari negli Stati Uniti e in Israele.
Gli interessi dell’Europa per una continuazione dell’accordo sono abbastanza chiari. Da un lato la vicinanza geografica con l’Iran e col Medio Oriente fa sì che una eventuale escalation militare tra Iran e Israele arriverebbe a toccare i confini dell’Unione europea. Dall’altro lato gli interessi economici: da quando un anno fa è stato stipulato l’accordo con l’Iran, diversi colossi industriali francesi e tedeschi (tra questi Airbus, Total, Peugeot e Siemens) hanno effettuato massicci investimenti in Iran. Peraltro, anche l’industria americana non ha resistito alla “tentazione” e la Boeing di Seattle si è impegnata a vendere all’Iran ben 110 aeromobili. Ovviamente una disdetta dell’accordo e una ripresa delle sanzioni contro l’Iran costringerebbe queste aziende europee e americane ad abbandonare i loro progetti e comporterebbe pesanti perdite. Un sostegno inaspettato, e in linea di massima “disinteressato”, all’accordo con l’Iran è stato invece fornito dall’establishment di sicurezza e militare statunitense e israeliano.

Aviram Levy, economista

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tel aviv - l'accelleratore americano, ricetta per il successo

Viaggio nel cuore del fintech mondiale

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Al decimo piano dell'ufficio di Citigroup, ormai nota come Citi, a Tel Aviv, Assaf Frenkel mostra le funzionalità della società di cui è vicepresidente. CallVu è una delle 60 startup passate dall'acceleratore che la banca americana ha lanciato alla fine del 2013 nella città israeliana. Il primo nel Paese dedicato interamente al fintech, il settore che mette insieme innovazione tecnologica e finanza, catalizzatore di crescenti interessi da parte del mondo bancario. L'applicazione di Assaf promette di rivoluzionare l'assistenza clienti per molte società, istituti di credito compresi. Una normale chiamata a un call center fa scattare la ricezione di un messaggio con un link. Chi vuole, può proseguire direttamente online, interagendo quindi soltanto con un computer e non più con un essere umano in carne e ossa. Si può persino chiedere un mutuo, compilando il form in tempo reale e scattando la foto da allegare alla domanda. Sorge un dubbio: non è che così l'algoritmo è in grado di misurare la mia affidabilità creditizia sulla base dei tratti somatici? Assaf è categorico, non coglie fino in fondo lo spirito della provocazione: "No, niente del genere". Non c'è neanche il tempo di sorridere che punta il dito poco distante, indicando un collega dall'altra parte della sala: "La sua startup però fa qualcosa del genere".

Flavio Bini, Repubblica

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