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20 novembre 2017 - 29 Cheshvan 5778
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l'annuale celebrazione della festività degli ebrei etiopi

A Gerusalemme il Sigd dà voce ai Beta Israel
L'ebraismo etiope in festa nella Capitale

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“Migliaia di ebrei etiopi si sono radunati giovedì scorso a Gerusalemme (sulla Tayelet Haas che guarda la città vecchia) per la festività Sigd (nella lingua gheez, Prostrazione), che celebra il rinnovo dell'alleanza tra il popolo ebraico, Dio e la Torah. Per secoli questo giorno era l'occasione per gli ebrei etiopi, noti anche come Beta Israel, di ricordare il sogno di tornare un giorno a Gerusalemme, diventato nella seconda metà dello scorso secolo realtà. “Questa festività è riuscita a preservarci nei secoli, ad alimentare in noi il desiderio di tornare nella nostra terra, ad unirci e non mischiarci, a sognare e pregare nonostante le difficoltà. Ed eccoci qui", ha raccontato in passato rav Sharon Shalom al Portale dell'ebraismo italiano.
Sono passati più di 40 anni da quando la comunità etiope è arrivata in Israele per la prima volta, ma Sigd è stata dichiarata festa nazionale solo nel 2008. La storia dell’emigrazione in Israele dei Beta Israel – letteralmente ‘casa d’Israele’, nome con cui si indicano gli ebrei etiopi – è iniziata alla fine degli anni ’70, quando minacciati da carestie e dalle repressioni del governo etiope cominciarono a lasciare il paese, dove vivevano sparsi in centinaia di piccoli villaggi per lo più al nord, per dirigersi verso il Sudan, a maggioranza musulmana e ostile nei loro confronti.
img headerDopo alcune discussioni di tipo costituzionale e anche halachico, queste ultime legate alle commistioni con la cultura etiope presenti nell’ebraismo dei Beta Israel e al fatto di essere stati costretti a professare il proprio culto di nascosto – molti di loro si convertirono forzatamente al cristianesimo, e sono chiamati Falash Mura – nel 1977 il governo israeliano decise di applicare la Legge del ritorno anche agli ebrei etiopi. I Beta Israel vennero trasportati in territorio israeliano in maniera massiccia attraverso un ponte aereo, con tre diverse operazioni che si susseguirono negli anni ’80. L’Operazione Mosè e l’operazione Giosuè partirono dal Sudan, mentre nel 1991 l’Operazione Salomone partì dalla capitale etiope Addis Abeba, e così pur con gravi perdite nei tragitti vennero trasferiti più dei tre quarti della comunità.

(Immagine in basso di Alessandro Camillo)

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la decisione del presidente d'israele sul discusso caso di hebron

Rivlin: "No alla grazia per il soldato Azaria,
darebbe un messaggio sbagliato alla nazione"

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Il Presidente israeliano Reuven Rivlin ha respinto oggi la grazia per Elor Azaria, condannato a 18 mesi di reclusione per aver sparato alla testa e ucciso un terrorista palestinese, dopo che lo stesso era già stato reso inoffensivo da un altro soldato israeliano. Alcuni mesi fa il capo di Stato maggiore Gadi Eizenkot aveva ridotto la pena a 14 mesi, ma il ministro della Difesa Avigdor Lieberman si era dissociato, sostenendo che il soldato meritava il perdono presidenziale e la liberazione immediata dal carcere militare dove è recluso. Rivlin ha invece appoggiato Eisenkot: ha sostenuto che un ulteriore gesto di clemenza potrebbe essere mal interpretato ed avere in definitiva effetti nocivi sullo spirito dei soldati di Israele. Dalla presidenza, in una nota diffusa alla stampa, viene poi sottolineato che Azaria dovrà comunque ancora comparire davanti a una commissione che prenderà in considerazione il suo possibile rilascio in altri tre mesi (Azaria ha iniziato a scontare la pena detentiva il 9 agosto scorso). Secondo i giudici che hanno comminato la sentenza lo scorso febbraio, Azaria ha violato le regole d'ingaggio dell'esercito israeliano e il suo codice etico (Tohar HaNeshek). “Sappiamo che questo non è stato un giorno facile per l'accusato e per la sua famiglia ma serviva giustizia e giustizia è stata fatta”, ha dichiarato il procuratore capo, il colonnello Nadav Weisman dopo la sentenza che però ha diviso l'opinione pubblica e la politica israeliana.

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alcuni esempi per capire la forza economica del paese

Economia israeliana spiegata in macrodati:
perché il Pil continua a crescere

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L'economia israeliana è cresciuta, negli ultimi cinque anni, ad un ritmo medio annuale del 3%. Al momento dell’ultima rilevazione a consuntivo, secondo il Central Bureau of Statistics di Gerusalemme, la crescita del Prodotto interno lordo nel 2016 è stata del 4,3%, sostenuta dall’incremento dei consumi privati (aumentati del 6,3% rispetto all’anno precedente), dal miglioramento del potere d’acquisto delle famiglie e da una generalizzata tendenza all’incremento degli investimenti (con una maggiorazione dell’11%). I fattori legati a quest’ultimo risultato, in sé sorprendente per le sue notevoli dimensioni, sono da ricercarsi nell’oramai costante crescita del settore delle nuove tecnologie, oltre al riconoscimento che gli operatori economici hanno tributato alle autorità politiche ed istituzionali rispetto alla creazione e al mantenimento di un habitat favorevole allo sviluppo, alla ricerca e all’implementazione dei processi di innovazione. Alla fine di quest’anno la crescita dovrebbe comunque assestarsi intorno al 3% del Pil, per una capacità procapite di 36.500 dollari. Israele è visto come un paese stabile e promettente. Nell’anno trascorso, gli investimenti esteri hanno superato i cento miliardi di dollari, incidendo per oltre il 36% nella formazione della ricchezza nazionale. Un quarto di questi sono di origine statunitense. Denso è il processo di acquisizione delle start-up, con un giro di affari intorno ai dieci miliardi di dollari annui.

Claudio Vercelli

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l'intervista del capo di stato maggiore a un giornale saudita

Gerusalemme a Riad: "Pronti a collaborare
per fermare la minaccia iraniana"

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Israele è pronta a scambiare informazioni, comprese quelle d'intelligence, con i Paesi arabi moderati per affrontare l'Iran. Ci sono molti interessi condivisi tra noi e l'Arabia Saudita". Ad annunciare l'apertura storica verso Riad è il capo di Stato maggiore dell'esercito israeliano, il generale Gadi Eisenkot, in un'intervista al quotidiano saudita Elaph.
La convergenza di vedute tra i due Paesi è dettata dalle mire espansionistiche della repubblica islamica iraniana. "L'Iran progetta di controllare il Medio Oriente con due 'mezzelune sciite': la prima parte dall'Iran e, attraverso l'Iraq, arriva fino in Siria e in Libano. La seconda - spiega Eisenkot - muove dal Bahrein e, attraverso lo Yemen, giunge fino al mar Rosso. Su questa faccenda noi e il regno dell'Arabia Saudita, che non è mai stato nostro nemico e con cui non abbiamo mai combattuto, concordiamo completamente".

Claudio Cucciatti, Repubblica

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