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17 Dicembre 2017 - 29 Kislev 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Jonathan Sacks, rabbino
Le luci di Chanukkah sono il simbolo del rifiuto dell’ebraismo di abbandonare i suoi valori per il fascino e il prestigio di una cultura secolare, allora come oggi. Una candela di speranza può sembrare una cosa piccola, ma su di essa può dipendere la stessa sopravvivenza di una civiltà.
 
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Da ieri occorrerà guardare con attenzione a ciò che accade a Vienna. È iniziata una stagione radicalmente modificata dell’identità dell’Europa così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi settant’anni, fondata su tre attori, due politici e uno sociale: il mondo politico del cattolicesimo democratico o popolare; la socialdemocrazia, il volontariato. In mezzo, per ora sottotraccia, c’è anche una certa dose di antisemitismo.
 
Vittorio Emanuele III,
colpe incancellabili
È in arrivo a Vicoforte, in Piemonte, la salma di Vittorio Emanuele III. Il penultimo re d’Italia, che nel settembre del 1938 pose la propria firma sulle Leggi Razziste, riposerà al fianco della moglie Elena. Una decisione presa per “motivi umanitari” da parte del presidente Mattarella, che ha però respinto con forza la richiesta di una traslazione al Pantheon formulata da alcuni familiari. Un omaggio ritenuto fuori luogo per chi fu responsabile di molte pagine buie italiane nel ventennio fascista. Su questo punto, a quanto si apprende, la posizione del Quirinale è stata di assoluta intransigenza.
Sul Corriere, Antonio Carioti spiega come dalla Marcia su Roma in poi il suo regno fu un susseguirsi di cedimenti e complicità: “Cedimenti alle pretese del fascismo, che si arrogò il diritto di interloquire anche sulla successione al trono. Complicità con le mosse di Mussolini per trasformare l’Italia in uno Stato totalitario. Anche quando il delitto Matteotti mise in luce la vocazione violenta dei fascisti, il re rimase inerte. Poi avallò le misure liberticide, le leggi razziali, le guerre di aggressione”. Dichiara lo storico Gianni Oliva a Repubblica: “Portare al Pantheon Vittorio Emanuele III è semplicemente impossibile. I motivi sono tre: la scelta di Vittorio Emanuele III di non togliere l’incarico di primo ministro a Benito Mussolini dopo il delitto Matteotti, trasformando così il fascismo in regime; aver trattato per 40 giorni con gli alleati la sopravvivenza della monarchia dopo il 25 luglio, così consentendo l’invasione tedesca della Penisola. Infine la scelta più grave: aver sottoscritto le leggi razziali del 1938. Non credo proprio che si possa seppellire al Pantheon, uno dei luoghi di memoria condivisa della nazione, un personaggio così”. Concorda su La Stampa lo storico Giovanni Sabbatucci, secondo cui ricordare le responsabilità del re “non significa negare la possibilità di un trasferimento delle spoglie di Vittorio Emanuele III in una sede meno lontana di Alessandria d’Egitto, e comunque dentro i confini della patria”. Ma questo luogo, sottolinea, “non può essere il Pantheon: un nome che evoca non solo un famoso monumento, ma anche un luogo ideale in cui raccogliere e onorare le riconosciute glorie nazionali”.
Ma c’è anche chi la pensa diversamente. Francesco Perfetti, lo storico che si è prestato lo scorso anno all’operazione editoriale sul Mein Kampf, sostiene sul Giornale che la monarchia rappresentò “un argine alla deriva totalitaria del fascismo”.
 
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  davar
vittorio emanuele III, il ritorno della salma
"Leggi Razziste, quella firma

una vergogna incancellabile"
La Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni afferma:
“In un’epoca segnata dal progressivo smarrimento di Memoria e valori fondamentali il rientro della salma del re Vittorio Emanuele III in Italia non può che generare profonda inquietudine. Anche perché giunge alla vigilia di un anno segnato da molti anniversari, i 70 anni della Costituzione che nacque nel solco del referendum attraverso cui l’Italia scelse di abrogare la monarchia ma anche gli 80 anni dalla firma delle Leggi Razziste che per primo proprio il sovrano di casa Savoia avallò nella tenuta di San Rossore a Pisa. Era il 5 settembre del 1938, pochi giorni ancora e Mussolini le avrebbe annunciate alla folla entusiasta radunatasi in Piazza Unità d’Italia a Trieste. Bisogna che lo si dica chiaramente, in ogni sede: Vittorio Emanuele III fu complice di quel regime fascista di cui non ostacolò mai l’ascesa e la violenza apertamente manifestatasi sin dai primi mesi del Ventennio. Nessun tribunale ebbe mai modo di processarlo, per quelle gravi colpe. Cercheremo di colmare questo vuoto con una specifica iniziativa, nel prossimo mese di gennaio. Per chi oggi vuole farne un eroe o un martire della Storia, per chi ancora chiede una sua solenne traslazione al Pantheon, non può che esserci una risposta: nessun onore pubblico per chi porta il peso di decisioni che hanno gettato discredito e vergogna su tutto il paese. L’Italia non può e non deve dimenticare”.

vittorio emanuele iii - l'opinione degli storici
"Pantheon? Nessuna possibilità"
“Bisogna che una volta per tutte le dispute interne a Casa Savoia restino confinate nelle riviste di gossip, cui molto hanno dato da lavorare in questi anni. Anche il Grande Fratello, sul versante televisivo, potrebbe essere uno spazio di confronto adeguato…”.
Anna Foa, storica e tra le curatrici dell’allestimento sui primi mille anni di vita ebraica in Italia in esposizione al Meis di Ferrara, la butta sull’ironia. “Il trasferimento di questa salma, contrapposizioni familiari annesse, non mi appassiona più di tanto. Sarebbe stato meglio si svolgesse con meno clamore mediatico, poco ma sicuro, ma non vedo un grande pericolo all’orizzonte per il nostro paese. Anche perché la linea del Quirinale è stata di assoluta fermezza: niente Pantheon, per evidenti responsabilità storiche del sovrano durante il Ventennio”.
Molto improbabile, prosegue Foa, che il nuovo luogo di sepoltura possa diventare teatro di adunate nostalgiche. “A differenza dei neofascisti, una minaccia sempre più reale e significativa, i monarchici oggi appartengono soltanto alla sfera del folklore. Non darei per questo troppo peso a quanto sta avvenendo in queste ore”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Gadi Luzzatto Voghera, storico e direttore della Fondazione Cdec di Milano. “La mia riflessione, molto breve, è che la vicenda di Vittorio Emanuele III sovrano d’Italia esula dalla vicenda del suo corpo. Questo non è affare che ci riguarda, ma è di competenza della sua litigiosa discendenza. Personalmente – afferma Luzzatto Voghera – per me non ha alcun interesse”. Tenendo fermo comunque un punto: e cioè il fatto che, in ragione delle sue responsabilità, “il Pantheon non potrà mai essere il luogo deputato ad accoglierlo”.
Per Marcello Pezzetti, curatore della mostra sulle Leggi del ’38 inaugurata in ottobre alla Fondazione Museo della Shoah di Roma, quello che sta accadendo è la controprova “che in Italia non c’è stata presa di coscienza del passato”. Una presa di coscienza che altrove è invece avvenuta approfonditamente: “In Germania innanzitutto, e in misura minore anche in Francia, mentre vediamo che in Austria viene abortita proprio in queste ore. In Italia invece non è mai iniziata”. Pezzetti riflette attorno a una domanda: quanti oggi, soprattutto tra i giovani, sono a conoscenza delle colpe del re? “Quasi nessuno” si risponde da solo lo storico. Eppure i documenti parlano chiaro. Come quelli conservati alla mostra in corso alla Casina dei Vallati. Tra cui il documento, firmato dal re, che diede avvio alla stagione persecutoria degli ebrei italiani.


Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
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pilpul

Il nesso di continuità
Come non è vero che il fascismo-regime possa ripresentarsi dietro l’angolo, quasi fosse un farmaco indigesto che si può usare in tutte le situazioni di malessere, così ha ben poca sostanza l’atteggiamento che a tutti i costi riduce le manifestazioni di reviviscenza del neofascismo (che è in sé altra cosa dall’esperienza del ventennio mussoliniano) a puri fenomeni “folcloristici”. Non serve a nulla urlare, concorrendo in tale modo ad amplificare lo spazio mediatico di gruppi e gruppuscoli della destra radicale, già da adesso del tutto sproporzionato rispetto alla loro effettiva consistenza. Ma ancora meno funge il dirsi, con falsa rassicurazione, che quel che è stato non tornerà mai più, in alcuna forma. E che quindi è bene non curarsi dei suoi eventuali rigurgiti. Se nel primo caso si fa del gratuito allarmismo, nel secondo ci si auto-inganna. Lo si dovrebbe avere oramai pienamente inteso: la storia non si ripete mai in quanto tale ma alcuni elementi possono a volte ripresentarsi, soprattutto quando il meccanismo di funzionamento delle società si inceppa o si fa più farraginoso. Ha quindi ancora meno senso, a tale riguardo, affermare che il vero ed esclusivo nemico delle società democratiche sia il solo fondamentalismo islamista, laddove questo avrebbe soppiantato, in tutto e per tutto, i fanatismi trascorsi, questi ultimi anacronistici per la loro matrice più strettamente politica.

Claudio Vercelli
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La guerra dei simboli
È in corso, ormai tradizionale in questo periodo dell’anno, la guerra dei simboli religiosi‎ che poi tornerà in soffitta fino al periodo pasquale. Da liberale vedo la soluzione nella neutralità della sfera pubblica rispetto a quella religiosa, di qualsivoglia espressione, ma pragmaticamente mi rendo conto che l’Italia è ancora lontana dal sano concetto di separatismo, nel reciproco rispetto, cavouriano.
E allora trovo incomprensibile il vietare un simbolo per “non offendere” altre fedi, perché un simbolo religioso che non si cerchi di imporre ‎al prossimo non è certamente ostile.
Rimando però al mittente quel goffo tentativo, peraltro lesivo del valore stesso di quei simboli per i relativi credenti, di “giustificarne” l’esposizione conferendo loro un valore “universale” unilateralmente definito tale erga omnes.
La sfera pubblica, la scuola in particolare, educhi quindi alla conoscenza‎ delle varie fedi, rispettando anche chi non crede, e al concetto di rispetto reciproco che ne deve conseguire.
Di presunte pezze che sono peggiori del buco ne abbiamo viste ormai abbastanza.


Gadi Polacco
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