Jonathan Sacks, rabbino | Le
luci di Chanukkah sono il simbolo del rifiuto dell’ebraismo di
abbandonare i suoi valori per il fascino e il prestigio di una cultura
secolare, allora come oggi. Una candela di speranza può sembrare una
cosa piccola, ma su di essa può dipendere la stessa sopravvivenza di
una civiltà.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee | Da
ieri occorrerà guardare con attenzione a ciò che accade a Vienna. È
iniziata una stagione radicalmente modificata dell’identità dell’Europa
così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi settant’anni, fondata su
tre attori, due politici e uno sociale: il mondo politico del
cattolicesimo democratico o popolare; la socialdemocrazia, il
volontariato. In mezzo, per ora sottotraccia, c’è anche una certa dose
di antisemitismo.
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Vittorio Emanuele III,
colpe incancellabili
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È
in arrivo a Vicoforte, in Piemonte, la salma di Vittorio Emanuele III.
Il penultimo re d’Italia, che nel settembre del 1938 pose la propria
firma sulle Leggi Razziste, riposerà al fianco della moglie Elena. Una
decisione presa per “motivi umanitari” da parte del presidente
Mattarella, che ha però respinto con forza la richiesta di una
traslazione al Pantheon formulata da alcuni familiari. Un omaggio
ritenuto fuori luogo per chi fu responsabile di molte pagine buie
italiane nel ventennio fascista. Su questo punto, a quanto si apprende,
la posizione del Quirinale è stata di assoluta intransigenza.
Sul Corriere, Antonio Carioti spiega come dalla Marcia su Roma in poi
il suo regno fu un susseguirsi di cedimenti e complicità: “Cedimenti
alle pretese del fascismo, che si arrogò il diritto di interloquire
anche sulla successione al trono. Complicità con le mosse di Mussolini
per trasformare l’Italia in uno Stato totalitario. Anche quando il
delitto Matteotti mise in luce la vocazione violenta dei fascisti, il
re rimase inerte. Poi avallò le misure liberticide, le leggi razziali,
le guerre di aggressione”. Dichiara lo storico Gianni Oliva a
Repubblica: “Portare al Pantheon Vittorio Emanuele III è semplicemente
impossibile. I motivi sono tre: la scelta di Vittorio Emanuele III di
non togliere l’incarico di primo ministro a Benito Mussolini dopo il
delitto Matteotti, trasformando così il fascismo in regime; aver
trattato per 40 giorni con gli alleati la sopravvivenza della monarchia
dopo il 25 luglio, così consentendo l’invasione tedesca della Penisola.
Infine la scelta più grave: aver sottoscritto le leggi razziali del
1938. Non credo proprio che si possa seppellire al Pantheon, uno dei
luoghi di memoria condivisa della nazione, un personaggio così”.
Concorda su La Stampa lo storico Giovanni Sabbatucci, secondo cui
ricordare le responsabilità del re “non significa negare la possibilità
di un trasferimento delle spoglie di Vittorio Emanuele III in una sede
meno lontana di Alessandria d’Egitto, e comunque dentro i confini della
patria”. Ma questo luogo, sottolinea, “non può essere il Pantheon: un
nome che evoca non solo un famoso monumento, ma anche un luogo ideale
in cui raccogliere e onorare le riconosciute glorie nazionali”.
Ma c’è anche chi la pensa diversamente. Francesco Perfetti, lo storico
che si è prestato lo scorso anno all’operazione editoriale sul Mein
Kampf, sostiene sul Giornale che la monarchia rappresentò “un argine
alla deriva totalitaria del fascismo”.
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vittorio emanuele iii - l'opinione degli storici "Pantheon? Nessuna possibilità"
“Bisogna
che una volta per tutte le dispute interne a Casa Savoia restino
confinate nelle riviste di gossip, cui molto hanno dato da lavorare in
questi anni. Anche il Grande Fratello, sul versante televisivo,
potrebbe essere uno spazio di confronto adeguato…”.
Anna Foa, storica e tra le curatrici dell’allestimento sui primi mille
anni di vita ebraica in Italia in esposizione al Meis di Ferrara, la
butta sull’ironia. “Il trasferimento di questa salma, contrapposizioni
familiari annesse, non mi appassiona più di tanto. Sarebbe stato meglio
si svolgesse con meno clamore mediatico, poco ma sicuro, ma non vedo un
grande pericolo all’orizzonte per il nostro paese. Anche perché la
linea del Quirinale è stata di assoluta fermezza: niente Pantheon, per
evidenti responsabilità storiche del sovrano durante il Ventennio”.
Molto improbabile, prosegue Foa, che il nuovo luogo di sepoltura possa
diventare teatro di adunate nostalgiche. “A differenza dei neofascisti,
una minaccia sempre più reale e significativa, i monarchici oggi
appartengono soltanto alla sfera del folklore. Non darei per questo
troppo peso a quanto sta avvenendo in queste ore”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Gadi Luzzatto Voghera, storico e
direttore della Fondazione Cdec di Milano. “La mia riflessione, molto
breve, è che la vicenda di Vittorio Emanuele III sovrano d’Italia esula
dalla vicenda del suo corpo. Questo non è affare che ci riguarda, ma è
di competenza della sua litigiosa discendenza. Personalmente – afferma
Luzzatto Voghera – per me non ha alcun interesse”. Tenendo fermo
comunque un punto: e cioè il fatto che, in ragione delle sue
responsabilità, “il Pantheon non potrà mai essere il luogo deputato ad
accoglierlo”.
Per Marcello Pezzetti, curatore della mostra sulle Leggi del ’38
inaugurata in ottobre alla Fondazione Museo della Shoah di Roma, quello
che sta accadendo è la controprova “che in Italia non c’è stata presa
di coscienza del passato”. Una presa di coscienza che altrove è invece
avvenuta approfonditamente: “In Germania innanzitutto, e in misura
minore anche in Francia, mentre vediamo che in Austria viene abortita
proprio in queste ore. In Italia invece non è mai iniziata”. Pezzetti
riflette attorno a una domanda: quanti oggi, soprattutto tra i giovani,
sono a conoscenza delle colpe del re? “Quasi nessuno” si risponde da
solo lo storico. Eppure i documenti parlano chiaro. Come quelli
conservati alla mostra in corso alla Casina dei Vallati. Tra cui il
documento, firmato dal re, che diede avvio alla stagione persecutoria
degli ebrei italiani.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked Leggi
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Il nesso di continuità
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Come
non è vero che il fascismo-regime possa ripresentarsi dietro l’angolo,
quasi fosse un farmaco indigesto che si può usare in tutte le
situazioni di malessere, così ha ben poca sostanza l’atteggiamento che
a tutti i costi riduce le manifestazioni di reviviscenza del
neofascismo (che è in sé altra cosa dall’esperienza del ventennio
mussoliniano) a puri fenomeni “folcloristici”. Non serve a nulla
urlare, concorrendo in tale modo ad amplificare lo spazio mediatico di
gruppi e gruppuscoli della destra radicale, già da adesso del tutto
sproporzionato rispetto alla loro effettiva consistenza. Ma ancora meno
funge il dirsi, con falsa rassicurazione, che quel che è stato non
tornerà mai più, in alcuna forma. E che quindi è bene non curarsi dei
suoi eventuali rigurgiti. Se nel primo caso si fa del gratuito
allarmismo, nel secondo ci si auto-inganna. Lo si dovrebbe avere oramai
pienamente inteso: la storia non si ripete mai in quanto tale ma alcuni
elementi possono a volte ripresentarsi, soprattutto quando il
meccanismo di funzionamento delle società si inceppa o si fa più
farraginoso. Ha quindi ancora meno senso, a tale riguardo, affermare
che il vero ed esclusivo nemico delle società democratiche sia il solo
fondamentalismo islamista, laddove questo avrebbe soppiantato, in tutto
e per tutto, i fanatismi trascorsi, questi ultimi anacronistici per la
loro matrice più strettamente politica.
Claudio Vercelli
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La guerra dei simboli
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È
in corso, ormai tradizionale in questo periodo dell’anno, la guerra dei
simboli religiosi che poi tornerà in soffitta fino al periodo
pasquale. Da liberale vedo la soluzione nella neutralità della sfera
pubblica rispetto a quella religiosa, di qualsivoglia espressione, ma
pragmaticamente mi rendo conto che l’Italia è ancora lontana dal sano
concetto di separatismo, nel reciproco rispetto, cavouriano.
E allora trovo incomprensibile il vietare un simbolo per “non
offendere” altre fedi, perché un simbolo religioso che non si cerchi di
imporre al prossimo non è certamente ostile.
Rimando però al mittente quel goffo tentativo, peraltro lesivo del
valore stesso di quei simboli per i relativi credenti, di
“giustificarne” l’esposizione conferendo loro un valore “universale”
unilateralmente definito tale erga omnes.
La sfera pubblica, la scuola in particolare, educhi quindi alla
conoscenza delle varie fedi, rispettando anche chi non crede, e al
concetto di rispetto reciproco che ne deve conseguire.
Di presunte pezze che sono peggiori del buco ne abbiamo viste ormai abbastanza.
Gadi Polacco
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