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17 dicembre 2017 - 29 Kislev 5778
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migliaia di persone oggi in piazza contro i licenziamenti annunciati

Teva taglia, ma i lavoratori non ci stanno
Un colosso farmaceutico in crisi

img headerEra una delle storie di successo dell'economia israeliana, poi la Teva, il gigante della farmaceutica, ha iniziato a perdere terreno. Diversi i campanelli d'allarme suonati nel corso del tempo con licenziamenti progressivi di personale, fino all'annuncio di giovedì scorso: un taglio molto più significativo, 14000 posti in tutto il mondo, 1700 in Israele dove l'azienda è uno dei principali datori di lavoro del settore privato. La ristrutturazione annunciata ridimensionerebbe di molto questo ruolo mettendo in difficoltà migliaia di famiglie. “Chiudere Teva è un attacco allo Stato d'Israele”, si leggeva sui cartelli delle diverse manifestazioni organizzate dai lavoratori e dal sindacato dell'Histadrut, con la partecipazione di decine di migliaia di persone. Uffici e stabilimenti in tutto il paese sono rimasti chiusi fino alle 12:00 oggi in segno di solidarietà, compresi ministeri, uffici di autorità locali, tribunali e la Procura della Repubblica, la borsa valori, banche, servizi pubblici, cliniche sanitarie, i porti di Ashdod e Haifa. I voli mattutini programmati all'aeroporto di Ben Gurion hanno subito ritardi e cancellazioni. Questo vuol dire toccare Teva in Israele.
img headerL'azienda è stata duramente colpita dalla scadenza dei brevetti sul suo farmaco dal maggior successo commerciale, il Copaxone, dall'aumento dei competitor rispetto ai farmaci generici e dal dover far fronte a un debito di 35 miliardi di dollari. L'obiettivo dei tagli è ridurre i costi di 3 miliardi di dollari entro la fine del 2019, rispetto ai 16,1 miliardi di dollari stimati per quest‘anno. 

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il servizio online per turisti rende difficile il mercato degli affitti

Perché a Tel Aviv i giovani non vogliono Airbnb

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Nel 2017 il noto portale Airbnb, che consente di scegliere e prenotare un bed and breakfast in tutto il mondo, ha stabilito in Israele, dove è in rapida espansione, un record ineguagliato: si stima che il 50% dei turisti che hanno soggiornato a Tel Aviv abbia alloggiato presso abitazioni prenotate tramite Airbnb. Questi risultati stanno però creando polemiche e una sollevazione da parte dei residenti della città. Quali sono i motivi del successo del portale e quali i motivi delle proteste? Premesso che Airbnb si sta espandendo rapidamente in quasi tutti i paesi dove è autorizzato, il motivo del primato stabilito a Tel Aviv è da ricercare principalmente nel fatto che in questa città mancano notoriamente alberghi di fascia intermedia (due o tre stelle) con standard qualitativi adeguati mentre quelli di fascia alta (4 o 5 stelle) hanno prezzi stratosferici, come molti lettori avranno sperimentato.
Un'altra caratteristica del mercato di Airbnb a Tel Aviv è rappresentato dal fatto che il portale offre 8.000 alloggi, che rappresentano una quota non piccola (il 5%) del numero complessivo di alloggi esistenti in città; inoltre circa due terzi di questi 8.000 alloggi è gestito da agenzie e non dai diretti proprietari. Questi due dati hanno una importante implicazione: il servizio online può avere un impatto sui prezzi di tutto il mercato immobiliare della città.

Aviram Levy, economista

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l'azione discriminatoria di kuwait airways contro un israeliano

Discriminazioni ad alta quota

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Può un Paese europeo, una democrazia occidentale, consentire a una compagnia che, per quanto straniera, operi sul suo territorio di discriminare attivamente i cittadini israeliani? Parrebbe di sì. Qualche tempo fa un tizio, un cittadino israeliano residente in Germania, ha comperato un biglietto Francoforte-Bangkok. Quando s’è presentato all’imbarco però non l’hanno fatto salire. Il perché? Il volo era di Kuwait Airways e lui era israeliano. Il Kuwait, infatti, non solo ha rapporti diplomatici con Israele ma proibisce anche, con una legge ad hoc, alle sue compagnia di interagire con gli israeliani. Il tizio ha portato la faccenda a una corte tedesca: era un evidente caso di discriminazione. I giudici però hanno dato ragione a Kuwait Airways. La motivazione era che la società rispondeva a una legge straniera. Ora, quello che rende questa faccenda un precedente gravissimo non è che il Kuwait abbia una legge che impone di discriminare i cittadini israeliani. La cosa grave è che una democrazia occidentale permetta che questa legge venga applicata sul suo suolo. Centra anche poco la questione dei boicottaggi a Israele: questo non era un boicottaggio economico, era la discriminazione di un cliente, qualcosa che non dovrebbe essere tollerato in una democrazia. Qualcuno ha provato a dire che non si tratta di antisemitismo perché era una discriminazione di una nazionalità e non di un gruppo etnico-religioso. Primo, la cosa continua puzzare di antisemitismo.

Anna Momigliano

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il problema delle diseguaglianze si sta accentuando anche in israele

Un Paese che corre a due velocità

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In economia nulla è assicurato una volta per sempre. Allo stato attuale delle cose, Israele attira circa il 15% degli investimenti planetari di venture capital nel settore della sicurezza e dell’innovazione informatica. Altri settori estremamente promettenti sono quelli della tecnologia agricola e idrica, i servizi sanitari digitalizzati e la tecnologia finanziaria. Insieme alla Silicon Valley (che potrebbe tranquillamente secessionare dagli Usa, per quanto riguarda le sue dinamiche di evoluzione, essendo un soggetto a sé rispetto al resto del Paese), il distretto industriale e tecnologico di Tel Aviv costituisce il secondo ecosistema dell’innovazione più dinamico al mondo. Lo testimoniano i voli diretti tra San Francisco e Tel Aviv. Eppure, poco più di trent’anni fa le cose non stavano per nulla in questo modo. Ancora negli anni Ottanta il rischio di un default delle finanze pubbliche era immediatamente dietro l’angolo. Dopo la guerra di Yom Kippur la spesa per la difesa era salita al 30% del Prodotto interno lordo. Nel 1984 il debito pubblico ammontava a circa il 300% del Pil mentre il tasso inflattivo aveva raggiunto il livello record del 450% l’anno. Roba da rimanere strozzati con le proprie stesse mani. Nell’ultimo decennio il debito si è assestato fisiologicamente al 62% del Pil, l’economia cresce ad un tasso medio tra il 3 e il 4% annuo, la disoccupazione viaggia intorno al 4,3%, la bilancia dei pagamenti è in attivo, la moneta nazionale si è rivalutata in due anni del 13%. Israele non ha subito nessuna fase recessiva (due trimestri consecutivi di produzione in calo) dal 2000 in poi.

Claudio Vercelli

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