Se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui

  31 Gennaio 2018 - 15 Shevat 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Giuseppe Momigliano,
rabbino
La Torah ci racconta come Itrò, suocero di Mosè, venuto a conoscenza della miracolosa liberazione dei figli d’Israele, venisse di persona per incontrare questo popolo accampato nel deserto, di fronte al Monte Sinai, per felicitarsi con Mosè e Aronne e per esprimere la profonda impressione tratta da quegli eventi
 
Leggi
Davide
Assael,
ricercatore
Bene ha fatto Netanyahu a protestare contro il governo polacco per l’assurda legge che punirebbe col carcere chi associa la Polonia ai campi di sterminio. È certamente vero che i polacchi hanno subito l’indicibile dai nazisti, ma lo è altrettanto che pogrom come quello di Kielce sono avvenuti dopo il 1945 e sono stati opera della popolazione locale. Non sfugge a nessuno, inoltre, come queste leggi strizzino l’occhio ai gruppi antisemiti e nazionalisti, che si sono fatti sentire anche in recenti manifestazioni pubbliche. Una presa di posizione, quella del governo israeliano, che dovrebbe far pensare anche chi, fra gli ebrei europei, si felicita dell’avanzare di forze populiste e xenofobe in funzione anti islamica. Purtroppo, in Europa vige ancora la vecchia regola: chi se la prende con gli stranieri, finisce col prendersela anche con gli ebrei.
 
L'annuncio di Trump
Il presidente Usa Donald Trump ha tenuto nella notte il discorso sullo Stato dell’Unione al Congresso degli Stati Uniti. Trump ha parlato a lungo di immigrazione, energia, “ma soprattutto di ‘nemici’ che minacciano gli Usa, – scrive Repubblica – sia sul piano commerciale che su quello strettamente militare. Così, alla fine, ha chiesto al Congresso il via libera anche per un riarmo nucleare degli Stati Uniti”. “Mosca e Pechino stanno minacciando ora la nostra economia, i nostri interessi e i nostri valori. Per questo – ha detto Trump- dobbiamo rendere più forti le nostre Forze armate per dissuadere chiunque da qualsiasi aggressione contro l’America”. Il presidente Usa ha poi citato il voto Onu contro la sua decisione di riconoscere Gerusalemme Capitale d’Israele: “I Paesi che ci hanno votato contro – ha dichiarato – ricevono da noi venti miliardi di dollari di aiuti l’anno. Chiedo che il Congresso passi una legge che assicuri che i soldi in futuro vadano solo ai nostri amici, non ai nemici”. Al Congresso ha inoltre domandato di “correggere il terribile accordo nucleare iraniano”. Sulla Corea del Nord ha infine ribadito che gli Stati Uniti sono impegnati in una “campagna di massima pressione” per scongiurare il pericolo di suoi arsenali atomici.

Israele-Russia, il vertice. “Promuovere la sicurezza e la stabilità attraverso una mutua cooperazione tra Israele e la Russia”. Questo l’obiettivo che è stato al centro del colloquio, ieri a Mosca, tra il presidente russo, Vladimir Putin, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Sul tavolo, le massime questioni internazionali, dalla crisi in Siria alla lotta al terrorismo globale, nonché i progetti di cooperazione in ambito economico, tecnologico e commerciale. Uno dei punti più delicati del confronto tra i due uomini di stato – in base alle ricostruzioni della France Presse – è stato il dossier nucleare iraniano, con Netanyahu che è tornato ad attaccare duramente Teheran. La Russia fa parte del gruppo di paesi che hanno sostenuto l’accordo internazionale, fortemente contestato da Netanyahu e di recente criticato anche dal presidente statunitense Donald Trump. “L’Iran – ha detto Netanyahu – ha intenzione di distruggerci” (Osservatore Romano).
 
Leggi
  davar
pagine ebraiche - fra spettacolo e stereotipi
Romanzo famigliare o il ritorno

dell'ebreo da feuilleton
Sugli schermi televisivi in Italia è abbastanza insolito vedere personaggi ebraici inseriti in un contesto che non riguardi le persecuzioni della seconda guerra mondiale. Infatti se già nel cinema si contano sulle dita della mano i lungometraggi fiction che fanno riferimento all’attuale esistenza di comunità ebraiche in Italia, gli ebrei nelle soap operas nostrane sono addirittura delle mosche bianche, ad eccezione di alcuni personaggi secondari come quel David Savona (Giacomo Piperno) della popolare serie Un medico in famiglia (1998-2011). La scelta della Rai 1 di esordire in prima serata, a partire dell’otto gennaio 2018, con una serie televisiva di dodici puntate incentrata sulle vicende di una famiglia ebraica nella Livorno di oggi è quindi di per se un evento degno di nota, che sembra peraltro essere stato ricompensato da elevati indici d’ascolto, pari a quelli raccolti dal film, record di incassi 2016, Quo Vado? di Gennaro Nunziante, trasmesso nella stessa fascia oraria dal concorrente Canale 5.
Lo sceneggiato, ideato e diretto da Francesca Archibugi, ha per protagonisti i membri di tre generazioni di una dinastia ebraica livornese, i Liegi. La più giovane, la sedicenne Micòl (Fotinì Peluso), clarinettista di talento, è alle prese con una gravidanza precoce e con i problemi legati al trasferimento del padre Agostino Pagnotta (Guido Caprino), capitano di corvetta della marina italiana, da Roma all’accademia navale di Livorno. Queste circostanze portano Emma (Vittoria Puccini), la madre di Micòl, a fare i conti con il suo passato in una città da cui era fuggita da ragazza, ancora minorenne e in cinta di Micòl, e dove incombe la tentacolare presenza del suo genitore, il cavaliere Gian Pietro (Giancarlo Nannini), alla testa di un vasto impero finanziario ma ormai affetto da un incipiente Alzheimer, col quale i rapporti della figlia sono a dir poco turbolenti.
Non è la prima volta che Francesca Archibugi porta allo schermo personaggi ebraici. Già nel 2007 nel suo Lezioni di volo aveva descritto il viaggio di iniziazione e di scoperta identitaria di Apollonio Sermoneta, soprannominato “Pollo”, e del suo compagno detto “Curry”, due ragazzi romani di buona famiglia partiti per l’India. Come in Lezioni di volo anche in Romanzo famigliare la regista ha cercato di non attribuire all’identità ebraica dei suoi personaggi un qualsiasi statuto di eccezionalità, rendendo del tutto anodino e circostanziale, non sempre con successo, il fatto che essi appartengano o meno a una determinata comunità. In ogni caso, in Romanzo famigliare la condizione ebraica di alcuni protagonisti – tutto sommato piuttosto assimilati, sposati a non ebrei e amanti del buon prosciutto -, non sembra avere un gran peso nelle loro scelte esistenziali. Inoltre, la serie affronta con maggiore attenzione altre tematiche, ben più centrali nella cinematografia di Archibugi che non quella ebraica, come i rapporti di coppia, le tensioni intergenerazionali o i problemi legati all’adolescenza.
È da segnalare comunque come un fatto positivo che gli ebrei vengano rappresentanti come persone dotate di vizi e virtù alla stregua di ogni altro essere umano. Pertanto, il fatto che il personaggio di Gian Pietro Liegi sia caratterizzato da tratti a dir poco negativi – rapace, manipolatore, autoritario – non va necessariamente considerato come l’espressione di un pregiudizio nei confronti degli ebrei in quanto collettività, ma sembra a prima vista essere soltanto un elemento della sua difficile personalità, tanto più che la sua figura appare controbilanciata dalla presenza di altri personaggi ebraici, Emma e Micòl, con la cui umanità è più facile identificarsi.
Da questo punto di vista il lavoro dell’Archibugi non si distingue dal modo in cui il cinema internazionale degli ultimi anni ha affrontato la caratterizzazione di ebrei “canaglie”, come il falsario Salomon Sorowitsch nel film The Counterfeiters di Stefan Ruzowitzky, del 2007, i fratelli Bielski in Defiance di Edward Zwick del 2008 o ancora la squadra di ebrei in un’immaginaria missione militare per uccidere il Führer a Parigi in Inglorious Basterds di Quentin Tarentino del 2009, film peraltro che concorreva per l’audience su Italia 1 con la mandata in onda del primo episodio di Romanzo famigliare. Alla loro uscita la critica aveva generalmente salutato questi film per avere rotto con una tradizione cinematografica in cui l’ebreo era prevalentemente presentato nella sua condizione di vittima sacrificale e quindi come personaggio passivo e privo di una propria autonomia morale, condannato a essere oggetto quintessenziale di pietà o di obbrobrio, a seconda dell’atteggiamento anti o filo-semita dell’autore.
Tuttavia se la volontà da parte dell’Archibugi di “normalizzare” la rappresentazione degli ebrei sullo schermo è indubbiamente lodevole, inserendo le loro vicissitudini come parte integrante di una Livorno al tempo stesso provinciale e multietnica, proletaria e borghese, resta la domanda se sia possibile condurre una tale operazione senza fare i conti con l’incidenza degli stereotipi ancora correnti nella cultura popolare riguardanti l’ebraismo. La questione emerge in tutta la sua problematicità nella scelta di attribuire ai suoi personaggi ebraici quelle caratteristiche a cui ancora si associa pregiudizialmente il nome di ebreo, cioè la ricchezza, l’avidità di potere e il sentimento di una distante superiorità.
La dinastia dei Liegi, ancorché confrontata con una difficile congiuntura economica, è infatti estremamente facoltosa, proprietaria di una holding che controlla decine di società internazionali impegnate in settori che vanno dai cantieri navali all’alta finanza. Ma è al petrolio e in particolare alla paraffina che si deve il successo dell’impresa familiare costruita sotto il fascismo e in stretta collaborazione col regime, almeno sino alle leggi razziali, come sottolinea Gian Carlo in una rivelazione alla figlia Emma nel settimo episodio, e il cui marchio “Lucifero”, rappresentato da un diavoletto rampante su delle fiammelle, troneggia incorniciato nei saloni di villa Liegi. Il carattere satanico del vecchio Liegi appare ulteriormente rafforzato dall’immenso pitone che egli tiene in ufficio e a cui è immensamente affezionato. Il serpente, di nome Mosè, stritola e ingoia quotidianamente piccoli topini con una freddezza e un’indifferenza che sono l’immagine speculare di quelle del cavaliere. Infine sul piano dell’enunciazione visiva non può non turbare la messa in scena, nella sala di ricevimento di villa Liegi, di una Menorah, davanti a un libro di preghiera di rito sefardita “Ish Matzliach” (Uomo di successo), posta proprio sotto il quadro di Lucifero e accanto a una statuetta di un grande vitello, quasi a simboleggiare il culto dell’oro del suo proprietario.
Per Gian Carlo tutto si compra con il denaro, prevaricando senza scrupoli la deontologia professionale di medici, avvocati e autorità statali. La prepotenza e l’aridità sentimentale del magnate sono il risultato di questa sua gretta filosofia, che non indietreggia davanti ad alcuna truffa, menzogna e tradimento. La sceneggiatura di Romanzo famigliare sottolinea ripetutamente l’incolmabile diversità tra il mondo dei Liegi e quello degli altri personaggi non ebrei. Agostino nel sesto episodio si sfoga con la sua amante, nel corso di un’occasionale avventura extraconiugale, sentenziando sui Liegi che “si sentono di una razza superiore”, sentimento ribadito dallo stesso Gian Pietro quando in un altro episodio afferma seccamente “noi siamo diversi”, rifiutando così la solidarietà del genero, che per la prima volta afferma di potersi immedesimare nella sofferenza dell’odiato suocero, dovendo confrontarsi a sua volta a distanza di vent’anni con la gravidanza precoce di una figlia minorenne.
Che queste qualità non siano solo l’appannaggio del particolare temperamento spocchioso di Gian Carlo ma costituiscano una vera e propria tara familiare emerge in modo paradigmatico nel rapporto conflittuale con la figlia. La tragedia della nevrotica Emma deriva infatti dalla consapevolezza di subire il condizionamento del sangue – il marito le rinfaccia spesso di “essere sempre e comunque una Liegi” – nonostante tutti gli sforzi da lei investiti per tagliare ogni ponte coll’universo isolato e corrotto del padre. Emma si trova al crocicchio di due mondi diametralmente opposti e incompatibili l’uno con l’altro: quello della vita, della riproduzione e di una sessualità disinibita, rappresentato da Micòl, cresciuta nell’ignoranza della proprie origini ebraiche, e quello della morte proprio del chiuso e asfittico circolo familiare dei Liegi, segnato dalla precoce scomparsa per una leucemia della madre di Emma, Micòl Chayes, e manifesto nella progressiva demenza del vecchio Gian Pietro e nella degenerazione psichica di Jacopo, figlio parassita e cocainomane. Non a caso l’unico spazio dove Emma si trova confrontata alle proprie origini è il cimitero ebraico di Livorno, dove sono riprese alcune delle pochissime immagini a forte connotazione ebraica di tutta la serie. Solo con la morte del patriarca, rimasto intrappolato in un congelatore – luogo che gli riporta alla mente ormai offuscata il ricordo della fuga in Svizzera durante la guerra -, e quindi simbolicamente solo con l’obliterazione della memoria traumatica, i suoi discendenti riescono a liberarsi dall’ingombrante legato familiare. Emma scopre allora di essere in cinta e Micòl può finalmente partorire.
Ci si può peraltro domandare sino a che punto la stessa Micòl, ebrea per metà, riesca ad eludere completamente il legame atavico del sangue. Non solo la sua generosa e tollerante ginecologa, impersonata da Anna Galiena, ricorda alla sua giovane paziente che “il patrimonio genetico conta ben più di quello immobiliare”, frase che ritorna come un leitmotiv in varie altre circostanze, ma l’ingenuo entusiasmo di Micòl, scoprendo il proprio retaggio ebraico in casa Liegi si accompagna immediatamente all’introiezione di atteggiamenti di comando e di sopruso nei confronti dei collaboratori del nonno, primo fra tutti il factotum e custode dei segreti di famiglia, Vanni (Marco Messeri).
La rappresentazione della villa Liegi, circondata da altissime mura e protetta da invalicabili cancelli, come metafora di un universo stantio e ripiegato su se stesso, ha il suo più riconoscibile antecedente nel Giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica del 1970, ispirato all’omonimo romanzo di Giorgio Bassani, e innesca inevitabili reminiscenze cinematografiche anche con la sinistra proprietà dei Luzzatti a Volterra nel film di Luchino Visconti, Le Vaghe stelle dell’orsa, del 1965, dimora dove si consuma l’incestuoso amore tra i due figli del professore ebreo deportato e ucciso ad Auschwitz.
I larvati pregiudizi di stampo antisemita della piccola borghesia provinciale di Livorno sono certo rintuzzati da una risentita Emma, che fino ad allora aveva cercato di cancellare i suoi natali adoperando solo il cognome Pagnotta del marito meridionale, nel corso di una cena in cui i commensali fanno dei commenti denigratori sugli ebrei. Questa è la prima e l’unica volta in cui Emma rivendica l’appartenenza a una casta di banchieri sefarditi istallati a Livorno fin dal Cinquecento (anche se contrariamente a quanto appare nel dialogo le livornine non furono promulgate da Cosimo I de Medici nel 1548 bensì dal figlio Ferdinando nel 1591). Inoltre numerosi sono i rimandi intertestuali nella serie televisiva ad opere di autori ebrei della letteratura italiana del Novecento, da Natalia Ginzburg, a cui si riprende la particolare grafia dell’aggettivo con la g del titolo Lessico famigliare, sino alla scelta dei nomi dei personaggi, come quello di Micòl di bassaniana memoria o il cognome Liegi, ispirato all’anagramma, Ulvi Liegi (1858-1939), usato dal pittore livornese Luigi Levi per firmare i suoi quadri. Ma questo non basta per rendere del tutto credibile la caratterizzazione dei suoi personaggi ebraici.
Nelle interviste promozionali di Romanzo famigliare, Francesca Archibugi ha insistito sul suo desiderio di rifarsi alla grande tradizione del feuilleton ottocentesco italiano. La serie RAI da lei diretta attinge effettivamente a piene mani al repertorio di immagini e di situazioni di questo genere letterario, sfruttandone con talento i pregi melodrammatici. Tuttavia è un peccato che accanto alla rivalutazione dell’importanza culturale del feuilleton, in Romanzo famigliare si recuperi con scarsa sensibilità critica anche una certa deleteria stereotipia dell’ebreo plutocrate, avido e calcolatore, veicolata per l’appunto nei romanzi d’appendice di una Carolina Invernizio o di un abate Bresciani e che sarebbe invece giunta l’ora di lasciarsi definitivamente alle spalle.

Asher Salah, Accademia Bezalel – Gerusalemme


(Pagine Ebraiche febbraio 2018)

la scomparsa del grande poeta
Haim Gouri (1923-2018)
“Haim Gouri, poeta nazionale, scrittore, giornalista al processo Eichmann, regista documentarista, professore di letteratura francese all’Università ebraica di Gerusalemme, attivista per la pace, compagno di viaggio di Yitzhak Rabin, veterano del Palmach nella guerra d’indipendenza, ci ha lasciato oggi all’età di 94 anni. Era il mio vicino di casa a Gerusalemme. Alla fine di una lotta per la vita, e la sua vita era una lotta, avrebbe meritato di vedere all’orizzonte un barlume di pace”. Sono le parole usate dal disegnatore Michel Kichka per raccontare uno dei più grandi poeti e intellettuali israeliani, scomparso nelle scorse ore. Nel suo ultimo disegno Kichka pone in mano a Gouri la sua quasi inseparabile pipa e una penna, strumento e arma di una vita. Una penna con su scritta la parola Re’ut, termine biblico per amicizia e, nell’ebraico moderno, traducibile con cameratismo.
Leggi

liliana segre al memoriale della shoah
"Spaventata dai rigurgiti di odio"
“Mia hanno chiesto quale sia stata la mia impressione entrando per la prima volta da senatrice al Senato. E io ho ripensato alle me bambina. Dentro di me sono sempre la ragazzina scacciata dalla mia scuola in via Ruffini a Milano. Unica della classe. Ricordo come guardavo allora le porte della scuola chiuse, a me, per la sola colpa di essere ebrea. A questo ho pensato e mi ha fatto un certo effetto entrare dalla porta aperta del Senato”. A distanza di 74 anni da quando dal Binario 21 della Stazione Centrale di Milano fu deportata insieme al padre e assieme ad altre centinaia di persone, Liliana Segre racconta le sue emozioni più profonde dopo la nomina del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Leggi

l'incontro in vaticano
Lauder: "Il papa è un alleato"
“Uno dei più grandi alleati del popolo ebraico e di Israele nel mondo”. Così il presidente del World Jewish Congress Ronald Lauder ha definito papa Bergoglio nel corso di un incontro privato in Vaticano. Nel suo intervento Lauder, che guidava una delegazione del Wjc ed era accompagnato tra gli altri dalla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, ha espresso profonda gratitudine per i moniti del papa argentino contro odio e antisemitismo “oltre che per i suoi straordinari sforzi per rafforzare le relazioni tra cattolici ebrei e il suo impegno per una vera e duratura pace tra israeliani e palestinesi”. Anche per questo motivo, ha annunciato Lauder, saranno presto piantati 18 alberi d’ulivo in suo onore in Israele. Tanti i temi al centro dell’incontro, la sfida del Dialogo (anche con il mondo islamico), il futuro geopolitico del Medio Oriente, il rilancio dei progetti negoziali. Personale coinvolgimento, da parte del papa, nella campagna We Remember per una Memoria consapevole lanciata nelle scorse settimane dal Congresso ebraico mondiale.
Leggi

qui roma - la targa
De Fiore, funzionario coraggioso
Nell’ora più dura non voltò le spalle alla solidarietà, pur in un ruolo di grande esposizione pubblica quale quello di responsabile dell’Ufficio Stranieri della Questura di Roma.
Nato in provincia di Cosenza nel 1895, trasferitosi nella Capitale dopo il matrimonio, fece presto carriera dopo aver vinto il concorso come funzionario di pubblica sicurezza. Angelo De Fiore: un uomo delle istituzioni apprezzato per il suo rigore ma anche un “Giusto tra le Nazioni”, come certificato dallo Yad Vashem nel 1969.
Da oggi una targa, deposta in via Clitunno al civico 26, la sua abitazione, ricorda l’articolata azione di coraggio che mise in piedi sotto il nazifascismo.
Leggi

qui roma - la mostra
Testaccio, arte per il ricordo
Una grande installazione in cui dallo spazio buio emergono i ritratti dei bambini. Un percorso che si snoda tra piccoli e grandi raffigurazioni, realizzati su tavola carbonizzata. Con i ritratti, tanto puntuali da sembrare fotografie, che sono ridotti al bianco e nero.
Si presenta così Étoiles filantes, mostra dell’artista Mauro Maugliani dedicata alle vittime (italiane e romane) più giovani della Shoah. Un progetto espositivo che dà seguito a un lavoro iniziato nel 2017 con una precedente mostra al Musée Masséna di Nizza.


Leggi

qui roma - l'evento
Memoria, i ragazzi protagonisti
Il tema della conservazione della Memoria e la progressiva scomparsa dei Testimoni al centro della mattinata organizzata all’auditorium del Convitto Nazionale Vittorio Nazionale II dalla professoressa Stefania Buccioli. Auditorium gremito e tante voci sul palco, a partire da Massimiliano Boni – autore del libro Il museo delle penultime cose – in dialogo con il rav Benedetto Carucci Viterbi. I ragazzi del Convitto (nei suoi diversi indirizzi) protagonisti con letture, canti e riflessioni.

Leggi

qui firenze - la cerimonia 
"Più comunità, meno odio"
“Cosa avrebbe potuto fermare o limitare quello che è accaduto ottant’anni fa? Istituzioni solide in grado di arginare le derive totalitarie dei regimi che hanno disseminato odio e discriminazione in tutta Europa, ma anche più senso comunitario, meno indifferenza, meno diffidenza”. È quanto affermato dal rabbino capo della comunità ebraica fiorentina, Amedeo Spagnoletto, nell’intervento tenuto ieri nel corso della seduta solenne del Consiglio regionale della Toscana per il Giorno della Memoria.
Leggi

qui venezia - la nota
Laguna, la Memoria oltraggiata
Rimossa a Venezia la pietra d’inciampo dedicata lo scorso 22 gennaio in ricordo di Gustavo Corinaldi, che dal civico 1771 di Cannoneggio iniziò il proprio viaggio senza ritorno verso il lager. Immediata la condanna congiunta degli enti promotori – Comune di Venezia, Comunità ebraica di Venezia, Centro Tedesco di Studi Veneziani e Iveser – che in una nota parlano di “atto di vandalismo e inciviltà che oltraggia la memoria di un nostro concittadino deportato e assassinato ad Auschwitz, auspicando che venga fatta chiarezza sulle responsabilità”. Un atto intollerabile, si legge ancora, “che la stragrande maggioranza della Venezia civile rifiuta categoricamente”
Leggi

qui verona - l'intervento
Alla radice del pregiudizio
Si è conclusa con una lezione dell’assessore UCEI alla Cultura David Meghnagi al Palazzo della Gran Guardia un intenso mese di attività sulla Memoria coordinate dall’associazione veronese figli della Shoah presieduta dal Consigliere dell'Unione Roberto Israel insieme alla Comunità ebraica locale (di cui pure è Consigliere).
L'intervento di Meghnagi è stato concentrato sul rapporto tra cultura araba ed ebraismo per cogliere le radici dell’antisemitismo anche in quel mondo.

Leggi

pilpul
Ticketless - Per Corrado Vivanti
Un breve decalogo destinato agli studenti – composto in tempi non sospetti, cioè prima che venisse istituita la Giornata della Memoria – è un lavoro, uno dei pochi, di cui vado fiero e rileggo volentieri. Diffuso con sistema artigianale in fotocopia, quando ancora non esistevano i social, fu poi accolto da Carlo Ferdinando Russo su “Belfagor” con titolo “Piccoli consigli al ventenne che studia la Shoah” (31 marzo 2000). Allora erano dieci i piccoli consigli. Al ventenne del 2018 c’è oggi da raccomandare una sola cosa: ignorare le belle parole che circolano in dose massiccia ogni volta che si parla di lotta contro l’antisemitismo, ma vigilare in vista della doppia ricorrenza: 1938-1948, leggi razziali-nascita dello Stato d’Israele. Avvisaglie poco rassicuranti di quanto ci toccherà ascoltare nei prossimi mesi si scorgono leggendo la quarta di copertina di un libro che ha goduto in queste ore di un formidabile lancio pubblicitario. Naturalmente al centro ci sono sempre i bambini, le vittime innocenti della Shoah di cui si parla sempre e volentieri in prossimità del 27 gennaio. Innocenti, in questo caso, sì, ma fino a un certo punto, perché prossimi a diventare fondatori di uno Stato “brutale”. Peccato che non sia più tra noi a pronunciare una ferma parola di condanna uno storico, ma anche un militante comunista, che contribuì a quel fatto “brutale”.
Il pensiero grato di Ticketless corre questa settimana alla memoria di Corrado Vivanti.

Alberto Cavaglion

Periscopio - Memoria viva
Nei tempi bui che stiamo vivendo, che vede uscire, in tutto il mondo, dal riaperto vaso di Pandòra, un impressionante rigurgito dei fantasmi del passato, ci si sarebbe aspettato come inevitabile e naturale un calo di interesse verso le manifestazioni per il Giorno della Memoria, parallelo e conseguente al potente, dilagante fenomeno di smemoramento collettivo, nel quale sguazzano le miriadi di neofascisti e razzisti di ogni colore (neri, rossi, verdi, gialli…) che infestano le città d’Europa. Questo, però, non accade, non è accaduto. Le manifestazioni sono state molte, in tutta Italia, col coinvolgimento di migliaia di educatori, storici, analisti, e decine di migliaia di studenti, di diverse età.



Francesco Lucrezi
Leggi

La città del sogno
Dopo la Guerra, il Campo di Bergen–Belsen fu rimodulato in Displaced Person Camp ossia DP Camp, in attesa del compimento delle varie procedure per ricongiunzioni familiari e rimpatrio degli ex deportati; il 3, 4, 5 e 6 agosto 1945 presso il Teatro Italia allestito nel limitrofo Oflag 83 Wietzendorf si tenne l’esecuzione di un Concerto vocale e strumentale.
La notizia non è già il concerto in un DP Camp – concerti e spettacoli teatrali si tennero in tutti i DP Camp – quanto i nomi e i profili degli esecutori.


Francesco Lotoro
Leggi

Le sfide della didattica
La didattica intorno alla storia e alla memoria della Shoah è tra le sfide più complesse con cui confrontarsi, perché mette in gioco competenze e specializzazioni diverse: storia e geografia, psicologia e pedagogia, antropologia culturale, filosofia e letteratura. Per non parlare della storia della scienza e della medicina; del simbolismo religioso, della storia sociale ed economica, etc.
La tragedia della Shoah ha coinvolto l’intera civiltà umana. Non solo i territori in cui si è consumato lo sterminio, ma anche i luoghi verso cui le persone in fuga cercavano scampo


David Meghnagi
Leggi



moked è il portale dell'ebraismo italiano
Seguici su  FACEBOOK  TWITTER
Pagine Ebraiche 24, l'Unione Informa e Bokertov sono pubblicazioni edite dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. L'UCEI sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio "cancella" o "modifica". © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.