Giuseppe Momigliano,
rabbino
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La
Torah ci racconta come Itrò, suocero di Mosè, venuto a conoscenza della
miracolosa liberazione dei figli d’Israele, venisse di persona per
incontrare questo popolo accampato nel deserto, di fronte al Monte
Sinai, per felicitarsi con Mosè e Aronne e per esprimere la profonda
impressione tratta da quegli eventi
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Davide
Assael,
ricercatore
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Bene
ha fatto Netanyahu a protestare contro il governo polacco per l’assurda
legge che punirebbe col carcere chi associa la Polonia ai campi di
sterminio. È certamente vero che i polacchi hanno subito l’indicibile
dai nazisti, ma lo è altrettanto che pogrom come quello di Kielce sono
avvenuti dopo il 1945 e sono stati opera della popolazione locale. Non
sfugge a nessuno, inoltre, come queste leggi strizzino l’occhio ai
gruppi antisemiti e nazionalisti, che si sono fatti sentire anche in
recenti manifestazioni pubbliche. Una presa di posizione, quella del
governo israeliano, che dovrebbe far pensare anche chi, fra gli ebrei
europei, si felicita dell’avanzare di forze populiste e xenofobe in
funzione anti islamica. Purtroppo, in Europa vige ancora la vecchia
regola: chi se la prende con gli stranieri, finisce col prendersela
anche con gli ebrei.
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L'annuncio di Trump
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Il
presidente Usa Donald Trump ha tenuto nella notte il discorso sullo
Stato dell’Unione al Congresso degli Stati Uniti. Trump ha parlato a
lungo di immigrazione, energia, “ma soprattutto di ‘nemici’ che
minacciano gli Usa, – scrive Repubblica – sia sul piano commerciale che
su quello strettamente militare. Così, alla fine, ha chiesto al
Congresso il via libera anche per un riarmo nucleare degli Stati
Uniti”. “Mosca e Pechino stanno minacciando ora la nostra economia, i
nostri interessi e i nostri valori. Per questo – ha detto Trump-
dobbiamo rendere più forti le nostre Forze armate per dissuadere
chiunque da qualsiasi aggressione contro l’America”. Il presidente Usa
ha poi citato il voto Onu contro la sua decisione di riconoscere
Gerusalemme Capitale d’Israele: “I Paesi che ci hanno votato contro –
ha dichiarato – ricevono da noi venti miliardi di dollari di aiuti
l’anno. Chiedo che il Congresso passi una legge che assicuri che i
soldi in futuro vadano solo ai nostri amici, non ai nemici”. Al
Congresso ha inoltre domandato di “correggere il terribile accordo
nucleare iraniano”. Sulla Corea del Nord ha infine ribadito che gli
Stati Uniti sono impegnati in una “campagna di massima pressione” per
scongiurare il pericolo di suoi arsenali atomici.
Israele-Russia, il vertice. “Promuovere la sicurezza e la stabilità
attraverso una mutua cooperazione tra Israele e la Russia”. Questo
l’obiettivo che è stato al centro del colloquio, ieri a Mosca, tra il
presidente russo, Vladimir Putin, e il premier israeliano, Benjamin
Netanyahu. Sul tavolo, le massime questioni internazionali, dalla crisi
in Siria alla lotta al terrorismo globale, nonché i progetti di
cooperazione in ambito economico, tecnologico e commerciale. Uno dei
punti più delicati del confronto tra i due uomini di stato – in base
alle ricostruzioni della France Presse – è stato il dossier nucleare
iraniano, con Netanyahu che è tornato ad attaccare duramente Teheran.
La Russia fa parte del gruppo di paesi che hanno sostenuto l’accordo
internazionale, fortemente contestato da Netanyahu e di recente
criticato anche dal presidente statunitense Donald Trump. “L’Iran – ha
detto Netanyahu – ha intenzione di distruggerci” (Osservatore Romano).
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pagine ebraiche - fra spettacolo e stereotipi Romanzo famigliare o il ritorno
dell'ebreo da feuilleton Sugli
schermi televisivi in Italia è abbastanza insolito vedere personaggi
ebraici inseriti in un contesto che non riguardi le persecuzioni della
seconda guerra mondiale. Infatti se già nel cinema si contano sulle
dita della mano i lungometraggi fiction che fanno riferimento
all’attuale esistenza di comunità ebraiche in Italia, gli ebrei nelle
soap operas nostrane sono addirittura delle mosche bianche, ad
eccezione di alcuni personaggi secondari come quel David Savona
(Giacomo Piperno) della popolare serie Un medico in famiglia
(1998-2011). La scelta della Rai 1 di esordire in prima serata, a
partire dell’otto gennaio 2018, con una serie televisiva di dodici
puntate incentrata sulle vicende di una famiglia ebraica nella Livorno
di oggi è quindi di per se un evento degno di nota, che sembra peraltro
essere stato ricompensato da elevati indici d’ascolto, pari a quelli
raccolti dal film, record di incassi 2016, Quo Vado? di Gennaro
Nunziante, trasmesso nella stessa fascia oraria dal concorrente Canale
5.
Lo sceneggiato, ideato e diretto da Francesca Archibugi, ha per
protagonisti i membri di tre generazioni di una dinastia ebraica
livornese, i Liegi. La più giovane, la sedicenne Micòl (Fotinì Peluso),
clarinettista di talento, è alle prese con una gravidanza precoce e con
i problemi legati al trasferimento del padre Agostino Pagnotta (Guido
Caprino), capitano di corvetta della marina italiana, da Roma
all’accademia navale di Livorno. Queste circostanze portano Emma
(Vittoria Puccini), la madre di Micòl, a fare i conti con il suo
passato in una città da cui era fuggita da ragazza, ancora minorenne e
in cinta di Micòl, e dove incombe la tentacolare presenza del suo
genitore, il cavaliere Gian Pietro (Giancarlo Nannini), alla testa di
un vasto impero finanziario ma ormai affetto da un incipiente
Alzheimer, col quale i rapporti della figlia sono a dir poco turbolenti.
Non è la prima volta che Francesca Archibugi porta allo schermo
personaggi ebraici. Già nel 2007 nel suo Lezioni di volo aveva
descritto il viaggio di iniziazione e di scoperta identitaria di
Apollonio Sermoneta, soprannominato “Pollo”, e del suo compagno detto
“Curry”, due ragazzi romani di buona famiglia partiti per l’India. Come
in Lezioni di volo anche in Romanzo famigliare la regista ha cercato di
non attribuire all’identità ebraica dei suoi personaggi un qualsiasi
statuto di eccezionalità, rendendo del tutto anodino e circostanziale,
non sempre con successo, il fatto che essi appartengano o meno a una
determinata comunità. In ogni caso, in Romanzo famigliare la condizione
ebraica di alcuni protagonisti – tutto sommato piuttosto assimilati,
sposati a non ebrei e amanti del buon prosciutto -, non sembra avere un
gran peso nelle loro scelte esistenziali. Inoltre, la serie affronta
con maggiore attenzione altre tematiche, ben più centrali nella
cinematografia di Archibugi che non quella ebraica, come i rapporti di
coppia, le tensioni intergenerazionali o i problemi legati
all’adolescenza.
È da segnalare comunque come un fatto positivo che gli ebrei vengano
rappresentanti come persone dotate di vizi e virtù alla stregua di ogni
altro essere umano. Pertanto, il fatto che il personaggio di Gian
Pietro Liegi sia caratterizzato da tratti a dir poco negativi – rapace,
manipolatore, autoritario – non va necessariamente considerato come
l’espressione di un pregiudizio nei confronti degli ebrei in quanto
collettività, ma sembra a prima vista essere soltanto un elemento della
sua difficile personalità, tanto più che la sua figura appare
controbilanciata dalla presenza di altri personaggi ebraici, Emma e
Micòl, con la cui umanità è più facile identificarsi.
Da questo punto di vista il lavoro dell’Archibugi non si distingue dal
modo in cui il cinema internazionale degli ultimi anni ha affrontato la
caratterizzazione di ebrei “canaglie”, come il falsario Salomon
Sorowitsch nel film The Counterfeiters di Stefan Ruzowitzky, del 2007,
i fratelli Bielski in Defiance di Edward Zwick del 2008 o ancora la
squadra di ebrei in un’immaginaria missione militare per uccidere il
Führer a Parigi in Inglorious Basterds di Quentin Tarentino del 2009,
film peraltro che concorreva per l’audience su Italia 1 con la mandata
in onda del primo episodio di Romanzo famigliare. Alla loro uscita la
critica aveva generalmente salutato questi film per avere rotto con una
tradizione cinematografica in cui l’ebreo era prevalentemente
presentato nella sua condizione di vittima sacrificale e quindi come
personaggio passivo e privo di una propria autonomia morale, condannato
a essere oggetto quintessenziale di pietà o di obbrobrio, a seconda
dell’atteggiamento anti o filo-semita dell’autore.
Tuttavia se la volontà da parte dell’Archibugi di “normalizzare” la
rappresentazione degli ebrei sullo schermo è indubbiamente lodevole,
inserendo le loro vicissitudini come parte integrante di una Livorno al
tempo stesso provinciale e multietnica, proletaria e borghese, resta la
domanda se sia possibile condurre una tale operazione senza fare i
conti con l’incidenza degli stereotipi ancora correnti nella cultura
popolare riguardanti l’ebraismo. La questione emerge in tutta la sua
problematicità nella scelta di attribuire ai suoi personaggi ebraici
quelle caratteristiche a cui ancora si associa pregiudizialmente il
nome di ebreo, cioè la ricchezza, l’avidità di potere e il sentimento
di una distante superiorità.
La
dinastia dei Liegi, ancorché confrontata con una difficile congiuntura
economica, è infatti estremamente facoltosa, proprietaria di una
holding che controlla decine di società internazionali impegnate in
settori che vanno dai cantieri navali all’alta finanza. Ma è al
petrolio e in particolare alla paraffina che si deve il successo
dell’impresa familiare costruita sotto il fascismo e in stretta
collaborazione col regime, almeno sino alle leggi razziali, come
sottolinea Gian Carlo in una rivelazione alla figlia Emma nel settimo
episodio, e il cui marchio “Lucifero”, rappresentato da un diavoletto
rampante su delle fiammelle, troneggia incorniciato nei saloni di villa
Liegi. Il carattere satanico del vecchio Liegi appare ulteriormente
rafforzato dall’immenso pitone che egli tiene in ufficio e a cui è
immensamente affezionato. Il serpente, di nome Mosè, stritola e ingoia
quotidianamente piccoli topini con una freddezza e un’indifferenza che
sono l’immagine speculare di quelle del cavaliere. Infine sul piano
dell’enunciazione visiva non può non turbare la messa in scena, nella
sala di ricevimento di villa Liegi, di una Menorah, davanti a un libro
di preghiera di rito sefardita “Ish Matzliach” (Uomo di successo),
posta proprio sotto il quadro di Lucifero e accanto a una statuetta di
un grande vitello, quasi a simboleggiare il culto dell’oro del suo
proprietario.
Per Gian Carlo tutto si compra con il denaro, prevaricando senza
scrupoli la deontologia professionale di medici, avvocati e autorità
statali. La prepotenza e l’aridità sentimentale del magnate sono il
risultato di questa sua gretta filosofia, che non indietreggia davanti
ad alcuna truffa, menzogna e tradimento. La sceneggiatura di Romanzo
famigliare sottolinea ripetutamente l’incolmabile diversità tra il
mondo dei Liegi e quello degli altri personaggi non ebrei. Agostino nel
sesto episodio si sfoga con la sua amante, nel corso di un’occasionale
avventura extraconiugale, sentenziando sui Liegi che “si sentono di una
razza superiore”, sentimento ribadito dallo stesso Gian Pietro quando
in un altro episodio afferma seccamente “noi siamo diversi”, rifiutando
così la solidarietà del genero, che per la prima volta afferma di
potersi immedesimare nella sofferenza dell’odiato suocero, dovendo
confrontarsi a sua volta a distanza di vent’anni con la gravidanza
precoce di una figlia minorenne.
Che queste qualità non siano solo l’appannaggio del particolare
temperamento spocchioso di Gian Carlo ma costituiscano una vera e
propria tara familiare emerge in modo paradigmatico nel rapporto
conflittuale con la figlia. La tragedia della nevrotica Emma deriva
infatti dalla consapevolezza di subire il condizionamento del sangue –
il marito le rinfaccia spesso di “essere sempre e comunque una Liegi” –
nonostante tutti gli sforzi da lei investiti per tagliare ogni ponte
coll’universo isolato e corrotto del padre. Emma si trova al crocicchio
di due mondi diametralmente opposti e incompatibili l’uno con l’altro:
quello della vita, della riproduzione e di una sessualità disinibita,
rappresentato da Micòl, cresciuta nell’ignoranza della proprie origini
ebraiche, e quello della morte proprio del chiuso e asfittico circolo
familiare dei Liegi, segnato dalla precoce scomparsa per una leucemia
della madre di Emma, Micòl Chayes, e manifesto nella progressiva
demenza del vecchio Gian Pietro e nella degenerazione psichica di
Jacopo, figlio parassita e cocainomane. Non a caso l’unico spazio dove
Emma si trova confrontata alle proprie origini è il cimitero ebraico di
Livorno, dove sono riprese alcune delle pochissime immagini a forte
connotazione ebraica di tutta la serie. Solo con la morte del
patriarca, rimasto intrappolato in un congelatore – luogo che gli
riporta alla mente ormai offuscata il ricordo della fuga in Svizzera
durante la guerra -, e quindi simbolicamente solo con l’obliterazione
della memoria traumatica, i suoi discendenti riescono a liberarsi
dall’ingombrante legato familiare. Emma scopre allora di essere in
cinta e Micòl può finalmente partorire.
Ci si può peraltro domandare sino a che punto la stessa Micòl, ebrea
per metà, riesca ad eludere completamente il legame atavico del sangue.
Non solo la sua generosa e tollerante ginecologa, impersonata da Anna
Galiena, ricorda alla sua giovane paziente che “il patrimonio genetico
conta ben più di quello immobiliare”, frase che ritorna come un
leitmotiv in varie altre circostanze, ma l’ingenuo entusiasmo di Micòl,
scoprendo il proprio retaggio ebraico in casa Liegi si accompagna
immediatamente all’introiezione di atteggiamenti di comando e di
sopruso nei confronti dei collaboratori del nonno, primo fra tutti il
factotum e custode dei segreti di famiglia, Vanni (Marco Messeri).
La rappresentazione della villa Liegi, circondata da altissime mura e
protetta da invalicabili cancelli, come metafora di un universo stantio
e ripiegato su se stesso, ha il suo più riconoscibile antecedente nel
Giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica del 1970, ispirato
all’omonimo romanzo di Giorgio Bassani, e innesca inevitabili
reminiscenze cinematografiche anche con la sinistra proprietà dei
Luzzatti a Volterra nel film di Luchino Visconti, Le Vaghe stelle
dell’orsa, del 1965, dimora dove si consuma l’incestuoso amore tra i
due figli del professore ebreo deportato e ucciso ad Auschwitz.
I larvati pregiudizi di stampo antisemita della piccola borghesia
provinciale di Livorno sono certo rintuzzati da una risentita Emma, che
fino ad allora aveva cercato di cancellare i suoi natali adoperando
solo il cognome Pagnotta del marito meridionale, nel corso di una cena
in cui i commensali fanno dei commenti denigratori sugli ebrei. Questa
è la prima e l’unica volta in cui Emma rivendica l’appartenenza a una
casta di banchieri sefarditi istallati a Livorno fin dal Cinquecento
(anche se contrariamente a quanto appare nel dialogo le livornine non
furono promulgate da Cosimo I de Medici nel 1548 bensì dal figlio
Ferdinando nel 1591). Inoltre numerosi sono i rimandi intertestuali
nella serie televisiva ad opere di autori ebrei della letteratura
italiana del Novecento, da Natalia Ginzburg, a cui si riprende la
particolare grafia dell’aggettivo con la g del titolo Lessico
famigliare, sino alla scelta dei nomi dei personaggi, come quello di
Micòl di bassaniana memoria o il cognome Liegi, ispirato all’anagramma,
Ulvi Liegi (1858-1939), usato dal pittore livornese Luigi Levi per
firmare i suoi quadri. Ma questo non basta per rendere del tutto
credibile la caratterizzazione dei suoi personaggi ebraici.
Nelle interviste promozionali di Romanzo famigliare, Francesca
Archibugi ha insistito sul suo desiderio di rifarsi alla grande
tradizione del feuilleton ottocentesco italiano. La serie RAI da lei
diretta attinge effettivamente a piene mani al repertorio di immagini e
di situazioni di questo genere letterario, sfruttandone con talento i
pregi melodrammatici. Tuttavia è un peccato che accanto alla
rivalutazione dell’importanza culturale del feuilleton, in Romanzo
famigliare si recuperi con scarsa sensibilità critica anche una certa
deleteria stereotipia dell’ebreo plutocrate, avido e calcolatore,
veicolata per l’appunto nei romanzi d’appendice di una Carolina
Invernizio o di un abate Bresciani e che sarebbe invece giunta l’ora di
lasciarsi definitivamente alle spalle.
Asher Salah, Accademia Bezalel – Gerusalemme
(Pagine Ebraiche febbraio 2018)
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la scomparsa del grande poeta Haim Gouri (1923-2018) “Haim
Gouri, poeta nazionale, scrittore, giornalista al processo Eichmann,
regista documentarista, professore di letteratura francese
all’Università ebraica di Gerusalemme, attivista per la pace, compagno
di viaggio di Yitzhak Rabin, veterano del Palmach nella guerra
d’indipendenza, ci ha lasciato oggi all’età di 94 anni. Era il mio
vicino di casa a Gerusalemme. Alla fine di una lotta per la vita, e la
sua vita era una lotta, avrebbe meritato di vedere all’orizzonte un
barlume di pace”. Sono le parole usate dal disegnatore Michel Kichka
per raccontare uno dei più grandi poeti e intellettuali israeliani,
scomparso nelle scorse ore. Nel suo ultimo disegno Kichka pone in mano
a Gouri la sua quasi inseparabile pipa e una penna, strumento e arma di
una vita. Una penna con su scritta la parola Re’ut, termine biblico per
amicizia e, nell’ebraico moderno, traducibile con cameratismo. Leggi
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Ticketless - Per Corrado Vivanti
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Un
breve decalogo destinato agli studenti – composto in tempi non
sospetti, cioè prima che venisse istituita la Giornata della Memoria –
è un lavoro, uno dei pochi, di cui vado fiero e rileggo volentieri.
Diffuso con sistema artigianale in fotocopia, quando ancora non
esistevano i social, fu poi accolto da Carlo Ferdinando Russo su
“Belfagor” con titolo “Piccoli consigli al ventenne che studia la
Shoah” (31 marzo 2000). Allora erano dieci i piccoli consigli. Al
ventenne del 2018 c’è oggi da raccomandare una sola cosa: ignorare le
belle parole che circolano in dose massiccia ogni volta che si parla di
lotta contro l’antisemitismo, ma vigilare in vista della doppia
ricorrenza: 1938-1948, leggi razziali-nascita dello Stato d’Israele.
Avvisaglie poco rassicuranti di quanto ci toccherà ascoltare nei
prossimi mesi si scorgono leggendo la quarta di copertina di un libro
che ha goduto in queste ore di un formidabile lancio pubblicitario.
Naturalmente al centro ci sono sempre i bambini, le vittime innocenti
della Shoah di cui si parla sempre e volentieri in prossimità del 27
gennaio. Innocenti, in questo caso, sì, ma fino a un certo punto,
perché prossimi a diventare fondatori di uno Stato “brutale”. Peccato
che non sia più tra noi a pronunciare una ferma parola di condanna uno
storico, ma anche un militante comunista, che contribuì a quel fatto
“brutale”.
Il pensiero grato di Ticketless corre questa settimana alla memoria di Corrado Vivanti.
Alberto Cavaglion
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Periscopio - Memoria viva |
Nei
tempi bui che stiamo vivendo, che vede uscire, in tutto il mondo, dal
riaperto vaso di Pandòra, un impressionante rigurgito dei fantasmi del
passato, ci si sarebbe aspettato come inevitabile e naturale un calo di
interesse verso le manifestazioni per il Giorno della Memoria,
parallelo e conseguente al potente, dilagante fenomeno di smemoramento
collettivo, nel quale sguazzano le miriadi di neofascisti e razzisti di
ogni colore (neri, rossi, verdi, gialli…) che infestano le città
d’Europa. Questo, però, non accade, non è accaduto. Le manifestazioni
sono state molte, in tutta Italia, col coinvolgimento di migliaia di
educatori, storici, analisti, e decine di migliaia di studenti, di
diverse età.
Francesco Lucrezi
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La città del sogno
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Dopo
la Guerra, il Campo di Bergen–Belsen fu rimodulato in Displaced Person
Camp ossia DP Camp, in attesa del compimento delle varie procedure per
ricongiunzioni familiari e rimpatrio degli ex deportati; il 3, 4, 5 e 6
agosto 1945 presso il Teatro Italia allestito nel limitrofo Oflag 83
Wietzendorf si tenne l’esecuzione di un Concerto vocale e strumentale.
La notizia non è già il concerto in un DP Camp – concerti e spettacoli
teatrali si tennero in tutti i DP Camp – quanto i nomi e i profili
degli esecutori.
Francesco Lotoro
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Le sfide della didattica
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La
didattica intorno alla storia e alla memoria della Shoah è tra le sfide
più complesse con cui confrontarsi, perché mette in gioco competenze e
specializzazioni diverse: storia e geografia, psicologia e pedagogia,
antropologia culturale, filosofia e letteratura. Per non parlare della
storia della scienza e della medicina; del simbolismo religioso, della
storia sociale ed economica, etc.
La tragedia della Shoah ha coinvolto l’intera civiltà umana. Non solo i
territori in cui si è consumato lo sterminio, ma anche i luoghi verso
cui le persone in fuga cercavano scampo
David Meghnagi
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