Jonathan Sacks, rabbino | Non
avrei mai pensato che nel 2018 avrei dovuto ancora parlare di
antisemitismo. Facevo parte di quella generazione, nata dopo la Shoah,
che credeva alle nazioni del mondo quando dicevano: Mai più.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee | Nel
suo ultimo libro (Marrani, Einaudi) Donatella di Cesare credo colga con
grande spessore un aspetto del marranismo come questione della
modernità, di chiunque, ebreo e non ebreo, quando scrive che «Il
marrano diventa la matrice nell’ebreo moderno nelle sue molteplici
figure. La questione non è più ‘cosa devo fare?’, l’interrogativo che
nei secoli ha accompagnato l’ebreo, quanto piuttosto ‘chi sono io?’»
(pp. 89-90).
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Israele, prepararsi al Giro
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Ancora
cinque giorni e il Giro d’Italia prenderà il via con la Grande Partenza
da Gerusalemme: “un evento che ha significati molto profondi”, spiega
la Gazzetta dello Sport, parlando di “una nuova pagina” nella storia
della gara che partirà dalla capitale israeliana con “arrivo finale a
Roma sui Fori Imperiali”, sancendo “questo ponte ideale tra due delle
città più iconiche del mondo”. E per raccontare il fascino di questo
“ponte ideale”, la Gazzetta apre oggi una serie di approfondimenti
dedicati a storie di personaggi italiani e israeliani, non solo dello
sport: il primo tra questi, è il demografo Sergio Della Pergola,
presidente della Comunità italiana della città di Gerusalemme,
protagonista di una lunga intervista firmata da Massimo Lopes Pegna.
“La storia di Sergio, – racconta Lopes Pegna – nato nel 1942, parte
dagli anni di guerra e da suo padre, Massimo, ex caporedattore della
Gazzetta dello Sport e inventore del Totocalcio”. Nell’intervista si
ricorda anche il ruolo di Della Pergola nella Commissione dello Yad
Vashem che ha nominato Gino Bartali Giusto tra le Nazioni.
Israele-Iran, il conflitto all’orizzonte. In queste ore il nuovo
segretario di Stato Usa Mike Pompeo è in viaggio verso Israele,
proseguendo una missione in Medio Oriente che ha come fulcro la
minaccia iraniana (Messaggero). Secondo l’ambasciatore israeliano
all’Onu Danny Danon l’Iran controlla in Siria un’armata di 82 mila
miliziani sciiti e ha creato una base alle porte di Damasco per
l’arruolamento e l’addestramento. Non solo: controlla anche cinque basi
aeree. Teheran, ha dichiarato Danon – come riporta La Stampa – spende
“3,5 miliardi di dollari all’anno” per l’addestramento e l’armamento
dei miliziani sciiti in Siria e questo non sarebbe possibile senza la
fine delle sanzioni sul nucleare. “Da allora – ha spiegato – la spesa
militare non ha fatto che aumentare, dal 17 per cento del bilancio
dello Stato nel 2014 fino al 22 nel 2017. Sono 23 miliardi in missili e
altri equipaggiamenti”. Per il direttore de La Stampa Maurizio Molinari
ci troviamo di fronte ad una guerra d’attrito tra Israele e Iran,
ovvero “quando due o più Stati si combattono a distanza ravvicinata ma,
per le ragioni più diverse, senza dare vita ad un conflitto di tipo
tradizionale. E la versione contemporanea delle guerre tribali del
deserto, la cui caratteristica è una situazione di costante
conflittualità ma con intensità alterne. Se ora Iran e Israele sono
protagoniste di questo tipo di confronto è perché si tratta di Stati
avversari che il conflitto siriano ha trasformato in vicini geografici”.
Romania, scontro interno sull’ambasciata in Israele. Il presidente
rumeno Klaus lohannis ha chiesto alla premier socialdemocratica Viorica
Dancila di dimettersi “perché la premier aveva deciso – e annunciato al
capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu nella visita in Israele
appena conclusa – la decisione di spostare l’ambasciata romena da Tel
Aviv a Gerusalemme”, racconta Repubblica. Il quotidiano spiega che “la
signora Dancila e il potentissimo leader e padrino della maggioranza
Liviu Dragnea (che non può essere membro del governo in quanto
pregiudicato e indagato, ma comanda e controlla tutto) avevano preso e
rivelato la decisione di spostare l’ambasciata senza consultazioni con
i partner della Ue, e a quanto pare senza colloqui col capo dello
Stato, che ha competenze in politica estera e di sicurezza”.
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moked 5778
Israele, dal pensiero dei Maestri
all'attualità politica del Paese
Prosegue
in queste ore l'intensa tre giorni del Moked di Milano Marittima, la
convention dell'ebraismo italiano dedicata quest'anno al settantesimo
anniversario d'Israele e organizzata dall'Area Cultura e Formazione
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Tanti i protagonisti
chiamati ad analizzare la storia e le radici di Eretz Israel a partire
dalla filosofa Donatella Di Cesare, il rabbino capo di Firenze Amedeo
Spagnoletto che assieme a rav Gadi Piperno hanno aperto la prima
sessione del panel “Israele nel pensiero dei Maestri”, introdotta da
rav Roberto Della Rocca. Della Rocca, direttore dell'Area Cultura e
Formazione, ha inoltre analizzato in precedenza un passo dal trattato
Ketubot del Talmud e parlato delle motivazioni pro- e anti-sioniste nel
mondo charedì. Il modello di Gerusalemme come città ospitale dove il
gher, lo "straniero", è comunque incluso per ordine della Torah, è
stato invece oggetto di riflessione da parte della Di Cesare. Rav
Spagnoletto ha portato testimonianze di viaggiatori ebrei in Eretz a
cavallo tra '400 e '500 (Ovadia da Bertinoro e Moshè Basola) mentre rav
Piperno ha esaminato le tesi contrapposte di rav Hirsch (secondo il
quale Eretz è un mezzo per arrivare a un livello superiore) e rav Kook
(che sosteneva che la vita ebraica potesse svilupparsi appieno solo in
Israele).
Questa
mattina, introdotti dall'assessore alla Cultura UCEI David Meghnagi, si
sono invece confrontati, con prospettive e analisi diverse, il
direttore de La Stampa Maurizio Molinari e Sharon Kabalo, ministro
consigliere per gli Affari Economici e Scientifici presso l’ambasciata
d'Israele a Roma. Tema della tavola rotonda, i 70 anni di Israele. Leggi
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l'iniziativa all'umanitaria
Israele 70, Milano in festa
“In
Israele nonostante tutto, si continua a fare i figli e questo è sintomo
che si guarda al futuro con ottimismo. Un ottimismo che fa ben sperare
anche noi”. Così il rabbino capo di Milano rav Alfonso Arbib alla festa
organizzata dall'associazione Amici d'Israele per i 70 anni d'Israele.
Un'iniziativa di scena alla Società Umanitaria che ha visto la presenza
di diverse autorità tra cui il governatore della Regione Lombardia
Attilio Fontana, presentato da Eyal Misrachi, presidente dell'Adi, e
dal consigliere della Comunità ebraica milanese Davide Romano come “un
grande amico d'Israele”. “Dobbiamo impegnarci contro i rigurgiti di
antisemitismo e antisionismo, un lavoro da fare senza vergognarsi”, ha
detto Fontana. Premiato a distanza perché impossibilitato a venire per
motivi istituzionali, il presidente del Parlamento europeo Antonio
Tajani. Diverse le iniziative organizzate lungo la giornata, a partire
da una lezione di Haim Baharier.
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Settant’anni di cambiamenti |
Alla
seconda metà degli anni Novanta in Israele si confrontavano due visioni
sul futuro. Da una parte quella caldeggiata da Shimon Peres, Mizrah
haThikon haHadasha (un «nuovo Medio Oriente»), basata sulla
complementarietà tra le economie regionali e sulla sinergia tra
capitali di origine petrolifera, tecnologia israeliana e manodopera
araba. Anche da ciò, sarebbero derivate quelle condizioni di
pacificazione che, al momento, erano invece ancora del tutto assenti.
Dall’altra parte quella di Benjamin Netanyahu, per la quale Israele
doveva cogliere l’occasione offerta dai processi di avanzata
globalizzazione per superare i vincoli dettati dall’asfittico contesto
regionale, divenendo interlocutore privilegiato dei paesi a sviluppo
avanzato. Si può dire che delle due sia stata la seconda a trovare
riscontro. Le priorità alle quali il Paese deve oggi fare fronte
rimandano sia ai tradizionali deficit che connotano l’economia
nazionale (mancanza di materie prime e, quindi, non autosufficienza in
campo energetico; il problema della bilancia dei pagamenti; la
debolezza della moneta e la tendenza a vivere periodi di forte
inflazione) sia ad una rinnovata questione ecologica legata al rapporto
tra scarsità di risorse, antropizzazione degli spazi, vivibilità degli
ambienti.
Claudio Vercelli
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Frutti del Negev
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Dall’Aravà
risaliamo a Beer Sheva, la città fondata da Abramo. Per secoli è stata
poco più di caravanserraglio: ora è una brillante metropoli che sorge
tra le sabbie del deserto: grattacieli, giardini, strade ampie e
scorrevoli percorse da un intenso traffico. L’Università del Negev è
intitolata a Ben Gurion che (giustamente, profeticamente vorrei dire)
guardava al Negev come al futuro di Israele. Ben Gurion insistette
perché Israele ottenesse il desertico Negev (con lo sbocco sul Mar
Rosso) e non trovò, a livello internazionale, molta opposizione: era
uno scatolone di sabbia e rocce che appariva senza futuro. Invece il
futuro della Nazione si gioca qui. L’ospedale Soroka è uno dei più
avanzati del Paese. I Dipartimenti dell’Università hanno nomi
inconsueti, perché si occupano di discipline d’avanguardia.
Roberto Jona
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