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17 maggio 2018 - 3 sivan 5778
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MOSTRE

Persecutori e perseguitati, gli sguardi 

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Che ci fa nelle sale del prestigioso Memorial de la Shoah di Parigi un’esposizione dedicata ad August Sander, il maggiore fotografo tedesco del Novecento? L’iniziativa, in effetti, è sorprendente, perché siamo abituati a vedere la colossale opera di Sander, le centinaia di ritratti di cittadini tedeschi, colti soprattutto negli anni decisivi di passaggio fra le due guerre, come qualcosa di molto lontano dal mondo ebraico. La mostra Persecutori/Perseguitati offre ora una risposta diversa, riconnette il lavoro di Sander alle grandi tematiche anche ebraiche del Novecento e ricolloca un mostro sacro della storia della fotografia dalla posizione di protagonista assoluto del ritratto fotografico a quella di grande artista che ha lasciato un’opera dalla valenza fortemente politica. E’ ben difficile che qualcuno, consapevolmente o meno, possa fare a meno delle immagini disseminate da Sander, possa dire di non averle viste. Raccolte nell’immensa opera Uomini del Ventesimo secolo (in parallelo a quella di Parigi, una magnifica esposizione alla galleria Westlicht di Vienna ricostruisce la parte già nota dell’opera di Sander proprio in queste settimane di maggio), dove sono raccolti oltre 500 ritratti di tedeschi appartenenti alle più diverse categorie e stati sociali, alcune di queste immagini sono uscite dall’ambito della fotografia di altissimo livello per essere diffuse con ogni mezzo, dalle copertine dei libri e dei dischi, dalla pubblicità alla comunicazione di massa.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche, maggio 2018


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MACHSHEVET ISRAEL

“Il monoteismo non è un’aritmetica divina”  

img headerIn questi giorni di gioia e di tristezza rileggo Levinas: sul monoteismo, sul rapporto ebraismo (ebrei) e islam (musulmani), sugli incantesimi della retorica. Dice il grande filosofo ebreo – che era religioso e osservava le mitzwot – che “il monoteismo non è un’aritmetica divina”. Vorrei tentare di capirlo e poi di spiegarlo, come ho fatto nell’ultima lezione ai miei studenti su un paragrafo teologico di Jonathan Sacks. Formulavo così: il monoteismo ebraico non è solo una questione di numeri; non è ki-vjakol quantitativo (del genere filosofico “uno, nessuno, centomila”). Persino la Torà non è rigorosa, a livello linguistico, da questo punto di vista, per tacere di una corrente interna alla storia ebraica come la mistica. Mi kamokha be-elim? Chi è come Te tra gli dèi? Possiamo parlare di un monoteismo difettoso o debole? A ben vedere, le stesse ambivalenze, seppur di segno opposto, le troviamo sul lato del cosiddetto ‘politeismo’ (sempre di moda grazie ai molti testi di Ian Assmann in circolazione): i greci avevano già gerarchizzato i loro dèi e i più critici verso il mito giunsero a parlare di Sommo Bene e Motore Immobile, che, come tale, dev’essere necessariamente uno. Anche le culture sciamaniche orientali sanno rivolgersi al Cielo al singolare, non al plurale. La cultura è sempre una propedeutica al mono-teismo. Allora occorre chiedersi ma nishtanà: dove sta la differenza ebraica nella concezione del divino? Cosa apporta di più e di diverso la rivelazione sinaitica o, se si vuole, la tradizione che va da Mosè ai nostri rabbanim?

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI

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1948-2018     

Settanta ragioni
per celebrare Israele     

E pluribus unum...102 origini diverse. In altre parole, la prima nazione multietnica che funziona veramente. La prima Repubblica alla Rousseau dove un bel mattino si sia detto: «Facciamo un Contratto». E il Contratto fu! paese rifugio. Paese promessa. Paese «di troppo» per un popolo di troppo. Se il mondo tornasse ad essere inabitabile per altre Mireille Knoll (l'ottantacinquenne ebrea uccisa in aprile a Parigi, ndt), questo Paese così prezioso continuerebbe ad esistere. La democrazia è difficile? Lenta? Ha bisogno di tempo? In Israele, una notte, il 14 maggio 1948, fu sufficiente. Per fare una democrazia, occorre una cultura democratica? Cultura che di Israele i pionieri russi, o centro-europei, o tedeschi, o arabi non avevano. Eppure.. Miracolo israeliano. Prodigio di un legame sociale che poggiava sul nulla. Meraviglia di una lingua morta, reinventata e ravvivata. Nessuna democrazia, si dice ancora, resiste allo stato d'eccezione della guerra. Salvo Israele.

Bernard-Henry Lévy, Corriere della Sera,
14 maggio 2018


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società 

Televisione, così la Shoah entrò nelle case

Quarant'anni fa, nell'aprile del 1978, la Nbc trasmetteva una miniserie in quattro puntate da 120 minuti destinata a sconvolgere il pubblico di gran parte del mondo. Si tratta di Holocaust, una fiction tratta dal bestseller di Gerald Green e diretto da uno dei registi di Radici, Marvin J. Chomsky. Racconta la storia parallela di due famiglie berlinesi, quella ebrea dei Weiss e quella ariana dei Dorf, negli anni tra il 1938 e il 1945. Della prima non resterà che un superstite: il figlio minore, Rudi; tutti gli altri (nonni, padre, madre e due figli) vivranno un atroce calvario prima di essere catturati dai nazisti e trucidati nei campi di sterminio. La storia della famiglia Dorf, altrettanto tragica, descrive il passaggio dalla normalità alla follia, in un vortice di rabbia e di esaltazione assassine. Holocaust ha un impatto senza precedenti sul pubblico (battuto ogni record d'ascolto negli Usa: i giornali dell'epoca parlano di un coinvolgimento di circa 120 milioni di spettatori; dopo anni, la Nbc batte le concorrenti Abc e Cbs)

Aldo Grasso, Corriere La Lettura,
12 maggio 2018 


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