
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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È
tosto il personaggio di Pinchas. Difficile accettare il coraggio
impulsivo del suo gesto, ma è innegabile il suo merito. Certo per
“legalizzare” quel merito ci vuole Dio come leggiamo in Numeri 25,
12-13: “Perciò digli: ‘Ecco, io stabilisco con lui un’alleanza di
pace,che sarà per lui e per la sua progenie dopo di lui l’alleanza di
un sacerdozio perpetuo, perché ha avuto zelo per il suo Dio e ha fatto
l’espiazione per i figli d’Israele'”. Ed è difficile che La comunità
umana accetti di buon grado un dardo scagliato addosso. Ma proprio per
questo il gesto di Pinchas non può essere ripetuto e non è un
insegnamento, mentre il suo coraggio è d’esempio: un coraggio che è
rispetto della Torá e rispetto del prossimo, altrimenti i dardi che
lanciamo non hanno senso morale e sarebbe meglio giocare a fremette.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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In
un articolo su Il Giornale di martedì 3 luglio Fiamma Nirenstein
riflette sull’antisemitismo nei movimenti politici in Europa, indicando
giustamente che la sua presenza è equamente distribuita un po’ in tutte
le formazioni. La passione professionale e politica la spinge
legittimamente a sottolineare la pervasiva presenza di questa ideologia
nell’islamismo che “ha seguitato a perseguitare e uccidere ebrei in
Francia, Belgio, Inghilterra, Paesi Bassi”. La sua valutazione è che i
cosiddetti populismi di destra in Europa, sebbene non siano esenti
dalla presenza di antisemitismo diffuso, siano in realtà poco
pericolosi su questo versante perché – questa la sua idea –
mancherebbero “molti degli elementi che ne hanno fatto nel secolo
scorso un movimento di massa”. Molto più pericoloso, a suo giudizio,
sarebbe il versante progressista. “In Europa c’è antisemitismo? Di
certo. È opera della destra? No, è israelofobia antisemita di sinistra”.
Si tratta naturalmente di valutazioni giornalistiche, che di certo non
sono campate in aria. Per usare lo stesso metodo dell’amica Nirenstein,
si potrebbe porre la domanda retorica: c’è antisemitismo a sinistra?
Certo che sì, e chi scrive ne ha fatto oggetto di studio in diverse
occasioni. Tuttavia va sottolineato che i sondaggi e le indagini
demoscopiche degli ultimi anni non sono esattamente in linea con le
valutazioni proposte nell’articolo. La grande maggioranza delle
polemiche a carattere antisemita presenti su internet, oppure prodotte
nell’editoria periodica o in libri, fanno parte a pieno titolo dei
movimenti politici ultraconservatori del suprematismo e dell’estrema
destra.
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Addio a Lanzmann
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Con
la scomparsa di Claude Lanzmann, è parere unanime, scompare un gigante
della Memoria capace con il suo Shoah di segnare un’epoca. “Nulla è
vagamente paragonabile a questo film, all’impatto che provocò,
all’avvicendarsi di volti, voci, paesaggi sullo schermo. Shoah è stato
e rimane l’abc dell’indicibile” scrive Elena Loewenthal, sulla Stampa,
a proposito del suo capolavoro. “Nella battaglia immanente per non
dimenticare la Shoah l’opera di Lanzmann è destinata a rimanere una
risorsa irrinunciabile” conferma il direttore Maurizio Molinari.
“La memoria è una costruzione, basata su testimonianze, filtrate dalla
nostra percezione etica ed estetica di quelle testimonianze”. Questo
per Wlodek Goldkorn, che ne scrive su Repubblica, il suo insegnamento
fondamentale. Shoah, da Paolo Mereghetti sul Corriere, è definita
“un’opera monumentale che riesce a raccontare l’indicibile e la
radicalità della morte evitando ogni retorica”.
“Forse soltanto un cartoonist come Art Spiegelman, con il suo Maus, ha
saputo avvicinarsi a tali cime abissali, grazie però all’uso della
matita” sottolinea Claudio Vercelli sul Manifesto.
Sul festival organizzato da un’associazione di estrema destra ad
Abbiategrasso, di cui molto si è parlato negli scorsi giorni, da
segnalare l’intervento della senatrice a vita Liliana Segre che in una
interrogazione parlamentare rivolta al ministro dell’Interno Matteo
Salvini scrive: “La Repubblica democratica nata dalla Resistenza non
può accettare forme di manifestazione in cui vengano programmaticamente
diffusi messaggi e simbologie dichiaratamente razziste, xenofobe e
apologetiche del fascismo”. Scrive al riguardo il Corriere Milano: “Nei
giorni scorsi sono arrivati appelli da parte di Anpi, Unione delle
comunità ebraiche, sindacati, associazioni antifasciste e da una
ventina di sindaci della zona. Ieri l’indignazione ha raggiunto il
Viminale accompagnata da una firma che dice qualcosa di più”.
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La scomparsa del grande regista Claude Lanzmann (1925-2018)
Lascia
un segno profondo Claude Lanzmann, il grande intellettuale e regista
francese scomparso nelle scorse ore, autore tra gli altri del
monumentale Shoah.
“Un gigante del ventesimo secolo, in prima linea nella lotta
all’antisemitismo e nella difesa di Israele e del suo diritto ad
esistere” lo ricorda David Meghnagi, assessore alla Cultura dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane la cui amicizia e collaborazione con
Lanzmann risale ad alcuni anni fa, in occasione dell’uscita del
documentario L’ultimo degli ingiusti che il regista dedicò alla figura
del rabbino Benjamin Murmelstein, l’ultimo Decano del Consiglio degli
Ebrei di Theresienstadt. Un lavoro cui Meghnagi si è ispirato per
approfondire alcuni suoi progetti insieme al figlio Wolf.
È commosso Marcello Pezzetti, storico della Fondazione Museo della
Shoah di Roma. “Lo conoscevo da una vita – racconta – da quando ancora
filmava Shoah. Ci siamo incontrati tantissime volte, abbiamo fatto
insieme decine di conferenze. Soprattutto al Memoriale della Shoah di
Parigi. Ci tengo a dirlo, litigavamo spesso. Non aveva un carattere
facile, d’altronde. Ma siamo stati veri amici, legatissimi”.
Per quanto riguarda Shoah, dice che parlarne come di una visione
fondamentale “è a dir poco eufemistico”. Anche per via dell’intuizione
apportata in quel contesto: la Shoah bisognava farla raccontare
direttamente da chi c’era. Vittime, carnefici e indifferenti.
Impagabile, inimitabile, insuperabile. Sono i tre aggettivi scelti da
Claudio Vercelli per definire Shoah, che lo storico torinese vide per
la prima volta in Israele (in ebraico, e con sottotitoli in francese).
“Un’esperienza – ci dice – che mi sconvolse”.
Quell’opera resta così una pietra miliare, al pari di altre produzioni
in diversi campi. “Come il fumetto Maus, di Art Spiegelmann. O ancora
il libro intervista di Hanna Krall a Marek Edelman sulla realtà del
Ghetto di Varsavia. Opere che – afferma – segnano e aprono una strada”. Leggi
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NEL SEGNO DI GERDA TARO
Strega, il trionfo della Janeczek
A
15 anni dall’ultima volta una donna vince il Premio Strega. È Helena
Janeczek, con il suo formidabile La ragazza con la Leica pubblicato da
Guanda e dedicato alla figura di Gerda Taro. “Un rimpianto e un
mistero. Una donna, affascinante, vitale e soprattutto sfacciatamente
libera, in un’epoca in cui la libertà era fatta di grandi ideali, di
sogni, di pericolo. Un racconto corale, che esalta la già non comune
vicenda di una fotografa, Gerda Taro, che per molto tempo è stata nota
solo come compagna del ben più famoso Robert Capa” spiegava Ada Treves
su Pagine Ebraiche di gennaio. Raccontava la scrittrice, nata a Monaco
di Baviera da una famiglia polacca di origine ebraica, ma in Italia da
oltre trent’anni, al giornale dell’ebraismo italiano: “Facendo
ricerche, scavando documenti dagli archivi, andando a leggere
documentazione spersa in mille diversi luoghi, ho trovato storie
incredibili, coincidenze che davvero sembrano inventate. Eppure sono
vere, documentate. Ci sono storie molto più incredibili di alcune
situazioni che ho usato per permettere alla storia di scorrere senza
salti”. Leggi
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La lezione di anna foa al meis Ebrei e Chiesa, dall'Inquisizione
alla nuova sfida del Dialogo
I
rapporti tra ebrei e Chiesa cristiana sono, per Anna Foa, non solo uno
dei temi dominanti della sua vita di docente universitaria – ha
insegnato alla Sapienza di Roma (Storia Moderna), all’Università
Gregoriana e all’Università Ebraica di Gerusalemme – ma anche il nucleo
della sala che ha curato al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e
della Shoah, nel percorso espositivo “Ebrei, una storia italiana. I
primi mille anni”. E proprio su “Ebrei, cristiani e Chiesa” la
professoressa Foa è intervenuta ieri al Meis, per il ciclo di incontri
alla scoperta della mostra.
“Autrice di testi e saggi che sono ormai dei classici – così l’ha
introdotta il Direttore del Museo, Simonetta Della Seta –, oltre alle
recensioni di libri ebraici che scrive sull’Osservatore Romano, lo
scorso 25 gennaio, al Quirinale, Anna ha tenuto un bellissimo discorso
in occasione del Giorno della Memoria. Perché il suo pensiero abbraccia
la vicenda ebraica dalla storia antica a quella moderna, dell’Europa e
dell’Italia”.
Daniela Modonesi Leggi
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Il prezzo della sintonia
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È
giusto che un ambasciatore cerchi di intrattenere buoni rapporti con il
governo locale, di qualunque colore sia, e con il locale ministro degli
Interni, a maggior ragione se è anche il vicepremier. È chiaro che non
spetta ad un ambasciatore esprimersi sul modo in cui il paese in cui si
trova gestisce i propri flussi migratori e i profughi. E se un ministro
degli Interni avanza proposte in contrasto con la propria Costituzione
non spetta certo ad un ambasciatore straniero il compito di avvertirlo.
Ma se quel ministro è anche il leader di un partito razzista, xenofobo,
che strizza l’occhio ai nostalgici del fascismo e del nazismo, e i cui
esponenti, comprese persone che occupano cariche politiche a livello
locale e nazionale, si lanciano spesso e volentieri in esternazioni
nostalgiche e antisemite, l’ambasciatore di Israele non ci trova
proprio niente da ridire?
Non c’è bisogno di alzare la voce e di compromettere un’ottima
collaborazione. Anche in un contesto di rapporti cordiali si potrebbe
approfittare di un incontro per mettere qualche puntino sulle i, per
ribadire qualche principio. Nel caso della Polonia, per esempio, a
proposito della famigerata legge che rischiava di mettere un bavaglio
alla ricerca storica sulla Shoah questo è stato fatto, e i risultati si
sono visti perché la legge è stata cambiata. Allo stesso modo
l’ambasciatore israeliano Sachs incontrando Salvini, insieme alle
grandi dichiarazioni di amicizia (anzi, proprio in virtù di quelle),
non avrebbe potuto trovare il modo per esprimere gentilmente,
delicatamente, diplomaticamente una garbata preoccupazione per il
moltiplicarsi di nostalgie fasciste, razzismo, antisemitismo? O per
sottolineare l’importanza della memoria della Shoah?
Altrimenti il prezzo che paghiamo per i buoni rapporti tra Italia e Israele non rischia di essere troppo alto?
Anna Segre, insegnante
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Prima che sia troppo tardi
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“Quand’ero giovane in me ardeva la fiamma divina./
Credevo di poter rendere migliore il mondo intero./ Con il crescere
dell’età si è spenta la fiamma dell’entusiasmo e mi dicevo: non potrò
più sanare tutto il mondo, non ne sono capace. Cercherò di rendere
migliori i figli della mia città./ Col passare degli anni mi sono
accorto di aver preteso troppo. Ho detto: Mi basta condurre al bene i
miei famigliari./ Ora, al tramonto dei miei giorni, non sogno più./ Mi
resta un solo desiderio: che almeno mi riesca migliorare me stesso. [ma
non sono riuscito a realizzare neppure questo]”
Queste parole vengono attribuite, nell’incipit del libro Cinecittà di
Lizzie Doron (Giuntina, 2015), al Rabbi Haim Halberstam di Sanz
(1793–1876). In parte, identificano quel passaggio esistenziale che
molti di noi hanno sovente compiuto: dall’entusiasmo idealistico
dell’adolescenza al pragmatismo dell’età adulta, con la conseguente
rassegnazione di fronte alla realtà concreta. Ma può essere anche
inteso come un invito a sfruttare il presente, a cercare di cambiare e
migliorare almeno ciò che pertiene la nostra esistenza e tutto ciò con
cui questa viene a contatto, a rispondere a “quel se non ora quando?”
che non lascia spazio a rimandi e esitazioni. Poiché dopo potrebbe
essere troppo tardi.
Francesco Moises Bassano
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