Prima che sia troppo tardi

francesco-bassano“Quand’ero giovane in me ardeva la fiamma divina./
Credevo di poter rendere migliore il mondo intero./ Con il crescere dell’età si è spenta la fiamma dell’entusiasmo e mi dicevo: non potrò più sanare tutto il mondo, non ne sono capace. Cercherò di rendere migliori i figli della mia città./ Col passare degli anni mi sono accorto di aver preteso troppo. Ho detto: Mi basta condurre al bene i miei famigliari./ Ora, al tramonto dei miei giorni, non sogno più./ Mi resta un solo desiderio: che almeno mi riesca migliorare me stesso. [ma non sono riuscito a realizzare neppure questo]”
Queste parole vengono attribuite, nell’incipit del libro Cinecittà di Lizzie Doron (Giuntina, 2015), al Rabbi Haim Halberstam di Sanz (1793–1876). In parte, identificano quel passaggio esistenziale che molti di noi hanno sovente compiuto: dall’entusiasmo idealistico dell’adolescenza al pragmatismo dell’età adulta, con la conseguente rassegnazione di fronte alla realtà concreta. Ma può essere anche inteso come un invito a sfruttare il presente, a cercare di cambiare e migliorare almeno ciò che pertiene la nostra esistenza e tutto ciò con cui questa viene a contatto, a rispondere a “quel se non ora quando?” che non lascia spazio a rimandi e esitazioni. Poiché dopo potrebbe essere troppo tardi.

Francesco Moises Bassano

(6 luglio 2018)