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8 novembre 2018 - 30 Cheswan 5778
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SOCIETà

Storia, la crisi di un sapere che ci impoverisce

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Chiunque ricordi 1984, lo straordinario romanzo di George Orwell, ha certamente ben presente il Ministero della Verità, una delle quattro fondamentali articolazioni del regime. E certamente ricorderà, in particolare, lo speciale ufficio ministeriale che ha come compito quello di riscrivere continuamente libri, giornali e documenti del passato, in modo da armonizzarli costantemente con le decisioni e le politiche correnti del Grande Fratello. In quella perfetta utopia negativa, apoteosi del totalitarismo senza crepe, non è neppure pensabile una divergenza, sia pure minima o transitoria, rispetto all’esigenza fondamentale della granitica e preveggente coerenza del governo. Per questa ragione il passato va continuamente riscritto, in modo che sia sempre armonica prefigurazione, anticipazione e preparazione di ciò che il Grande Fratello va continuamente decidendo. La storia va dunque costantemente re-inventata modificata e adattata, cioè – in realtà – distrutta. Si potrebbe obiettare che George Orwell, sia, nonostante tutto, ancora imbevuto di fantasie illuministe sulla ragione e sul progresso, ingenuamente convinto che la storia possa costituire una istanza critica di fondamentale importanza per la libertà e le coscienze, e dunque uno strumento insopprimibile di democrazia, da cui il totalitarismo deve guardarsi, come da un nemico potente e pericoloso: vera «pietra d’inciampo » rispetto alle semplificazioni e all’oblio. Ma in realtà per la storia – intesa questa volta come disciplina scientifica – le cose non vanno più bene da tanto tempo.

Enzo Campelli, sociologo
Pagine Ebraiche, novembre 2018 

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MACHSHEVET ISRAEL

Il digiuno di parole di Rabbi David HaCohen  

img headerMentre appare in italiano il trattato sul digiuno Ta’anit del Talmud Babilonese, curato da rav Michael Ascoli e pubblicato da Giuntina, un dettaglio tratto dalla biografia di David HaCohen (1887-1972), il brillante discepolo di rav Avraham Itzchaq HaCohen Kook, ci rivela che, una volta giunto in eretz Israel, questo maestro fece voto di un digiuno molto particolare, un ta’anit dibbur: si asteneva dal parlare per quaranta giorni, dal primo del mese di Elul fino alla fine di Kippur. E questo in aggiunta al non bere alcun prodotto della vite, a non farsi tagliare i capelli, a non indossare cuoio e a una rigida dieta vegetariana. Viene da queste scelte il nome con il quale è più conosciuto: il Nazir, il nazireo, di cui tratta la Torà (Bamidbar/Nm 6,1-21) e che associamo a Sansone. Ora, si sa che nel giudaismo né Sansone né i nazirei sono additati a figure ideali o a modelli raccomandati; ma proprio per questo la vita del Nazir ci costringe a interrogarci se tale forma di ascesi, in un contesto sociale e culturale dove eccessi verbali, prolissità e sproloqui continui la fanno da padrone, non abbia qualcosa di profetico o almeno di pedagogico su cui dovremmo riflettere. Vengono alla mente certe pratiche di cui leggiamo nei racconti dei chassidim: isolamento tra i boschi, veglie notturne e preghiere individuali prolungate più simili a meditazioni buddiste che alla tefillà tradizionale. Che siano stati considerati halakhicamente borderline non sorprende lo storico.

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI 

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Orizzonti        

Antisemitismo, scatta l'indagine sui laburisti

La ferita dell'antisemitismo nel partito laburista britannico si riapre: e in maniera ancora più dolorosa, se possibile. Perché Scotland Yard ha lanciato un'inchiesta formale per appurare se nella grande formazione della sinistra siano stati commessi «crimini d'odio» nei confronti degli ebrei. È un ulteriore colpo alla credibilità del leader laburista Jeremy Corbyn, che già questa estate era stato coinvolto direttamente nella polemica sull'ostilità antiebraica che alligna fra i laburisti: erano emerse foto della sua partecipazione a una cerimonia per i palestinesi di Settembre Nero e soprattutto era stato reso pubblico un audio in cui affermava che «i sionisti non capiscono il senso dell'umorismo inglese, anche se hanno passato tutta la vita in Gran Bretagna». Ma certamente non hanno riso gli ebrei laburisti, che si sentono sempre più marginalizzati nel partito.

Luigi Ippolito, Corriere della Sera,
4 novembre 2018 


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orizzonti 

Le sanzioni Usa all'Iran
per il cambio di regime

Dietro alle dichiarazioni ufficiali, le rinnovate sanzioni americane all'Iran vengono viste come l'arma più potente di una strategia finalizzata a provocare il cambio di regime a Teheran. È curioso però che le reazioni più tiepide, o persino negative, siano venute proprio dai falchi che in teoria dovrebbero appoggiare questa offensiva. Trump è sempre stato chiaro nella sua opposizione all'accordo nucleare firmato da Obama. Lo ha bocciato come l'intesa più stupida mai negoziata dagli Usa, perché in cambio di una provvisoria sospensione dello sviluppo delle armi atomiche, aveva consegnato agli ayatollah gli strumenti economici e politici per affermare la loro supremazia in tutto il Medio Oriente. La strategia del presidente è stata finalizzata ad interrompere questa avanzata iraniana, dalla Siria allo Yemen, rilanciando l'alleanza con Arabia Saudita e Israele.

Paolo Mastrolilli, La Stampa,
7 novembre 2018  


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Ebraico è casa mia

img headerUn’escursione in rete porta talvolta delle belle sorprese. Così mentre frugavo nelle ricche bibliografie di Jstore tra le sempre attuali pagine della Jewish Encyclopedia scritta nel lontano 1906 e ora disponibile online, ho trovato una pagina intitolata Fili d’Aquilone con alcune poesie di Rami Sa’ari. Nato a Petach Tikva nel 1963, Sa’ari fu grande viaggiatore, poeta, traduttore, esperto di filologia semitica e vagabondo sperimentale. Ha vissuto a Buenos Aires, Helsinki, Lisbona, Budapest, Atene e Gerusalemme. Ha un PhD in lingua maltese, parla dodici lingue, ha tradotto quaranta libri da nove lingue diverse, incluso turco e catalano ed è autore di dieci libri di poesia. Un anticonformista, originale, cosmopolita ma profondamente israeliano. La sua opera si scontra con archetipi e preconcetti di cui è impregnata la sua patria linguistica, dalla quale torna oramai rappacificato e amato dal pubblico dei lettori. Ha vinto importanti premi letterari, il premio del Primo Ministro 1996, 2004 e il premio dell’Accademia della Lingua Ebraica per le sue eccellenti traduzioni. Per anni ha peregrinato tra luoghi diversi cercando di placare il senso di diversità e di distacco dalla normalità imposta rappresentata dalle istituzioni e dalla burocrazia, dagli amori sconfortanti e dalla sua stessa eccellenza creativa. Ora, come scrive Eli Hirsch, ha trovato il modo giusto per equilibrare le sue tempeste pianificando la vita quotidiana in Grecia con frequenti permanenze a Gerusalemme. A quanto pare tradurre è un modo per portare a casa il mondo intero, ma il mondo ti sfugge se non torni ogni tanto ad abitare l’ebraico.      
  
Identità

Quando tutti mi lasciarono, l’ebraico rimase in me.
La grande fantasia delle parole non si fermò.
L’incalzare delle frasi continuò.
E così non smetto di scorrazzare per luoghi perduti
che la vita mi segnala:
Oscillazione da ogni parte, radici disperse in un’esistenza vagabonda.
Il mio unico passaporto mi perseguita nelle orecchie:
Sarò per sempre cittadino del mio idioma.

(Uomini al bivio, 1991
Traduzione di Sara Pagnini)

Sarah Kaminski, Università di Torino 

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