Jonathan Sacks, rabbino
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il suo omonimo dell’VIII secolo, Amos Oz era un profeta del nostro
tempo, laico, ma con la bruciante passione morale che lo ha reso non
solo uno dei più grandi romanzieri al mondo, ma anche uno dei più
grandi attivisti per la pace. Abbiamo sviluppato un’amicizia molto
bella e sebbene fossimo mondi distanti in molti dei nostri punti di
vista, ho amato e rispettato quest’uomo.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee | “Chi
ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un traditore da
coloro che non sono capaci di nessun cambiamento, e hanno una paura da
morire del cambiamento”. Amos Oz, “Giuda”, Feltrinelli, p. 269.
Shalom Amos, che la terra ti sia lieve.
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A scuola di populismo
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“Nella
mia scuola formerò gli agenti del populismo”. È quanto dichiara Steve
Bannon al Corriere, che è andato a trovarlo nella sua casa di
Washington dove il controverso ex stratega di Trump annuncia la
prossima apertura di un corso specializzato su tematiche a lui care a
Roma. Nel colloquio le tematiche italiane sono centrali. Bannon loda
infatti “la maturità di statista” di Matteo Salvini. Afferma al
riguardo: “Quando giro per il mondo, dico a tutti: guardate Salvini e
Di Maio. Non si vedono spesso politici moderni pronti a mettere da
parte le differenze per lavorare insieme, come hanno fatto loro sul
bilancio”.
Proprio il ministro dell’Interno interviene con una lettera pubblicata
dalla Gazzetta dello sport in cui espone la sua ricetta per combattere
la violenza e il razzismo negli stadi. “Nel 2018, chi disprezza un
altro essere umano per il colore della pelle è un cretino. Ma proprio
perché il problema razzismo è tremendamente serio, non va banalizzato.
Benissimo le campagne di sensibilizzazione, i richiami, le multe. Ma il
nocciolo – sostiene – è la mancanza di buonsenso e di rispetto”.
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amos oz (1939-2018) - IL SUCCESSO IN ITALIA 'Tradurlo, una emozione unica'
“Amo
questo lavoro. Lo faccio da quasi 40 anni. Per la prima volta, in
questi giorni, ho sentito una specie di blocco. Mi sono chiesta e
continuo a chiedermi: riuscirò a tornare a tradurre?”.
Elena Loewenthal ha la voce rigata dal pianto. La scomparsa di Amos Oz,
per lei che l’ha tradotto in così tanti libri di successo, facendolo
conoscere a milioni di lettori italiani, è un lutto che va ben oltre
l’aspetto professionale. ”È come se fosse scomparso un parente
prossimo. E non sono solo io a dirlo. La prova è nella reazione di
tanti, nelle decine di messaggi di condoglianze che continuo a
ricevere”.
Lavorare sui suoi libri, ci dice, “è stata un’esperienza unica”. E
questo sia per la “limpidezza” e “lucidità” della sua scrittura, quel
qualcosa di profondo e intimo che rendeva le sue traduzioni qualcosa di
istintivo. Ma anche per le qualità umane di Oz, con cui l’amicizia è
stata intensa fino all’ultimo. Amicizia e fiducia totale: mai,
racconta, ha voluto interferire con il suo lavoro.
Fu Loewenthal a “imporlo” a Feltrinelli in un momento in cui Oz non era
stato recepito ancora in tutta la sua grandezza dal mercato editoriale
italiano. Quasi un azzardo la traduzione nel 1999 di “Oto Hayam” – Lo
stesso mare, libro dalla traduzione non semplice e che fu segnato da un
successo non scontato di cui Loewenthal si assunse più di una
responsabilità con l’editore. Fu questo l’inizio ufficiale del
sodalizio, che tra le prove più significative annovera il capolavoro di
Oz, Una storia di amore e di tenebra.
“Fu tradotto in tempi strettissimi. E per farlo – racconta Loewenthal –
trascorsi diversi mesi in una mia dimensione speciale: sognavo i suoi
personaggi nella notte, rapita dalla magia di queste pagine
indimenticabili che parlavano davvero al cuore. Un libro che è di una
bellezza unica e travolgente, dall’inizio alla fine, e che non a caso
ha venduto qualcosa come 700mila copie”. Leggi
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amos oz (1939-2018) - LA LINGUA E I TEMI 'Era l'Europa che ha fatto Israele'
“Con
Oz hanno iniziato ad aver voce l’intimo e il privato. Si è un po’ rotto
uno schema, quello della voce del collettivo molto in auge in quel
periodo. Erano gli Anni Quaranta e Cinquanta, anni del vibrante
realsocialismo israeliano. La tradizione del ‘tutti noi’, del kibbutz,
del palmach. Oz, il cui linguaggio è influenzato da alcuni padri
spirituali come Agnon e Brenner, ci mostra un diverso modo di pensare.
Non solo l’israeliano nuovo, il sabra. Ma anche l’uomo che è arrivato
dall’Europa, che a quella storia guarda e con quella storia, con quelle
radici, fa i conti”.
Sarah Kaminski, docente di ebraico moderno all’Università di Torino e
traduttrice, ha un legame forte con i libri di Oz. E non solo perché,
insieme a Elena Loewenthal, ne ha tradotto uno – Fima, del 1991. Dai
romanzi ai saggi, il segno è profondo.
“È uno degli scrittori che mi hanno insegnato l’ebraico. È stato uno
dei miei maestri preferiti”. Sui libri di Oz, Anna Linda Callow
racconta di essersi formata in anni di studio. Oggi docente di Lingua e
Letteratura Ebraica all’Università di Milano e traduttrice dall’ebraico
e dall’yiddish, spiega di aver amato in particolar modo Conoscere una
donna. “Un romanzo non tanto conosciuto ma molto bello. Dal punto di
vista letterario, più bello di Una storia di amore e di tenebra, che
considero un libro più importante che bello: ha una struttura un po’
discontinua, e in alcune parti è po’ difficile da seguire ma dal punto
di vista del messaggio dice cose significative dal punto di vista
politico e storico su Israele. È un’opera imperfetta ma sincera e credo
che questo abbia contribuito al suo successo”. Leggi
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amos oz (1939-2018) - IL CORDOGLIO DI ISRAELE 'Il nostro cuore, i nostri occhi'
“Un
compagno di classe, un amico, un avversario e sempre, sempre un alleato
nell’amore per questa terra, l’amore e la preoccupazione per questo
Stato e la sua direzione, per la sua gente e per il suo futuro”.
Queste le parole con cui il Presidente israeliano Reuven Rivlin ha
scelto di ricordare Amos Oz in una riflessione pubblicata nelle scorse
ore dai media israeliani.
“I tuoi occhi – sottolinea Rivlin – hanno sempre visto così
chiaramente, hanno guardato il mondo con tenerezza e concentrazione,
con chiarezza e con speranza, profondamente dentro e sempre un po’ da
fuori. Con la chiarezza della tua visione, con la tua fiducia
nell’umanità e il tuo amore per le persone e con la ricchezza delle tue
parole precise e meravigliose hai costruito una biblioteca completa ed
eterna”. Leggi
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Calcio e calci
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Le
ultime, indecorose vicende nel calcio italiano, dove una parte delle
“tifoserie” ancora una volta ha dato il peggio di sé (un fatto che gli
è connaturato, essendo la pasta di cui sono costituite le frange più
radicali degli ultras), non possono sorprendere. Vuoi perché il giro di
interessi, al medesimo tempo economici e politici, che ruota intorno ad
esse è cospicuo, vuoi perché il fenomeno – che è europeo, se non
intercontinentale – non è mai stato colpito e represso con strumenti
adeguati. Se si fa eccezione per l’Inghilterra dei primi anni Ottanta,
quando uno dei punti fondamentali del programma politico per il quale
Margaret Thatcher fu eletta (riportare ordine, anche ricorrendo a
durissime misure in puro stile «law and order», tra gli spalti degli
stadi), venne attuato con algida determinazione. Si trattava, d’altro
canto, di recuperare al controllo delle istituzioni interi perimetri
urbani altrimenti sfuggiti ad ogni forma di legalità che non fosse
quella che i gruppi dominanti dettavano alle collettività locali,
proprio a partire dalle consorterie di “tifosi”, organizzatesi come
piccoli ma determinate controistituzioni territoriali, che trovavano
nel rituale agonistico il loro centro di legittimazione simbolica.
Claudio Vercelli
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