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 30 Dicembre 2018 - 22 Tevet 5779
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Jonathan Sacks, rabbino
Come il suo omonimo dell’VIII secolo, Amos Oz era un profeta del nostro tempo, laico, ma con la bruciante passione morale che lo ha reso non solo uno dei più grandi romanzieri al mondo, ma anche uno dei più grandi attivisti per la pace. Abbiamo sviluppato un’amicizia molto bella e sebbene fossimo mondi distanti in molti dei nostri punti di vista, ho amato e rispettato quest’uomo.
 
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David Bidussa,
storico sociale
delle idee
“Chi ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento, e hanno una paura da morire del cambiamento”. Amos Oz, “Giuda”, Feltrinelli, p. 269.
Shalom Amos, che la terra ti sia lieve.
 
A scuola di populismo
“Nella mia scuola formerò gli agenti del populismo”. È quanto dichiara Steve Bannon al Corriere, che è andato a trovarlo nella sua casa di Washington dove il controverso ex stratega di Trump annuncia la prossima apertura di un corso specializzato su tematiche a lui care a Roma. Nel colloquio le tematiche italiane sono centrali. Bannon loda infatti “la maturità di statista” di Matteo Salvini. Afferma al riguardo: “Quando giro per il mondo, dico a tutti: guardate Salvini e Di Maio. Non si vedono spesso politici moderni pronti a mettere da parte le differenze per lavorare insieme, come hanno fatto loro sul bilancio”.

Proprio il ministro dell’Interno interviene con una lettera pubblicata dalla Gazzetta dello sport in cui espone la sua ricetta per combattere la violenza e il razzismo negli stadi. “Nel 2018, chi disprezza un altro essere umano per il colore della pelle è un cretino. Ma proprio perché il problema razzismo è tremendamente serio, non va banalizzato. Benissimo le campagne di sensibilizzazione, i richiami, le multe. Ma il nocciolo – sostiene – è la mancanza di buonsenso e di rispetto”.
 
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  davar
amos oz (1939-2018) - IL SUCCESSO IN ITALIA
'Tradurlo, una emozione unica'
“Amo questo lavoro. Lo faccio da quasi 40 anni. Per la prima volta, in questi giorni, ho sentito una specie di blocco. Mi sono chiesta e continuo a chiedermi: riuscirò a tornare a tradurre?”.
Elena Loewenthal ha la voce rigata dal pianto. La scomparsa di Amos Oz, per lei che l’ha tradotto in così tanti libri di successo, facendolo conoscere a milioni di lettori italiani, è un lutto che va ben oltre l’aspetto professionale. ”È come se fosse scomparso un parente prossimo. E non sono solo io a dirlo. La prova è nella reazione di tanti, nelle decine di messaggi di condoglianze che continuo a ricevere”.
Lavorare sui suoi libri, ci dice, “è stata un’esperienza unica”. E questo sia per la “limpidezza” e “lucidità” della sua scrittura, quel qualcosa di profondo e intimo che rendeva le sue traduzioni qualcosa di istintivo. Ma anche per le qualità umane di Oz, con cui l’amicizia è stata intensa fino all’ultimo. Amicizia e fiducia totale: mai, racconta, ha voluto interferire con il suo lavoro.
Fu Loewenthal a “imporlo” a Feltrinelli in un momento in cui Oz non era stato recepito ancora in tutta la sua grandezza dal mercato editoriale italiano. Quasi un azzardo la traduzione nel 1999 di “Oto Hayam” – Lo stesso mare, libro dalla traduzione non semplice e che fu segnato da un successo non scontato di cui Loewenthal si assunse più di una responsabilità con l’editore. Fu questo l’inizio ufficiale del sodalizio, che tra le prove più significative annovera il capolavoro di Oz, Una storia di amore e di tenebra.
“Fu tradotto in tempi strettissimi. E per farlo – racconta Loewenthal – trascorsi diversi mesi in una mia dimensione speciale: sognavo i suoi personaggi nella notte, rapita dalla magia di queste pagine indimenticabili che parlavano davvero al cuore. Un libro che è di una bellezza unica e travolgente, dall’inizio alla fine, e che non a caso ha venduto qualcosa come 700mila copie”.
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amos oz (1939-2018) - LA LINGUA E I TEMI
'Era l'Europa che ha fatto Israele'
“Con Oz hanno iniziato ad aver voce l’intimo e il privato. Si è un po’ rotto uno schema, quello della voce del collettivo molto in auge in quel periodo. Erano gli Anni Quaranta e Cinquanta, anni del vibrante realsocialismo israeliano. La tradizione del ‘tutti noi’, del kibbutz, del palmach. Oz, il cui linguaggio è influenzato da alcuni padri spirituali come Agnon e Brenner, ci mostra un diverso modo di pensare. Non solo l’israeliano nuovo, il sabra. Ma anche l’uomo che è arrivato dall’Europa, che a quella storia guarda e con quella storia, con quelle radici, fa i conti”.
Sarah Kaminski, docente di ebraico moderno all’Università di Torino e traduttrice, ha un legame forte con i libri di Oz. E non solo perché, insieme a Elena Loewenthal, ne ha tradotto uno – Fima, del 1991. Dai romanzi ai saggi, il segno è profondo.
“È uno degli scrittori che mi hanno insegnato l’ebraico. È stato uno dei miei maestri preferiti”. Sui libri di Oz, Anna Linda Callow racconta di essersi formata in anni di studio. Oggi docente di Lingua e Letteratura Ebraica all’Università di Milano e traduttrice dall’ebraico e dall’yiddish, spiega di aver amato in particolar modo Conoscere una donna. “Un romanzo non tanto conosciuto ma molto bello. Dal punto di vista letterario, più bello di Una storia di amore e di tenebra, che considero un libro più importante che bello: ha una struttura un po’ discontinua, e in alcune parti è po’ difficile da seguire ma dal punto di vista del messaggio dice cose significative dal punto di vista politico e storico su Israele. È un’opera imperfetta ma sincera e credo che questo abbia contribuito al suo successo”.
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amos oz (1939-2018) - IL CORDOGLIO DI ISRAELE
'Il nostro cuore, i nostri occhi'
“Un compagno di classe, un amico, un avversario e sempre, sempre un alleato nell’amore per questa terra, l’amore e la preoccupazione per questo Stato e la sua direzione, per la sua gente e per il suo futuro”.
Queste le parole con cui il Presidente israeliano Reuven Rivlin ha scelto di ricordare Amos Oz in una riflessione pubblicata nelle scorse ore dai media israeliani.
“I tuoi occhi – sottolinea Rivlin – hanno sempre visto così chiaramente, hanno guardato il mondo con tenerezza e concentrazione, con chiarezza e con speranza, profondamente dentro e sempre un po’ da fuori. Con la chiarezza della tua visione, con la tua fiducia nell’umanità e il tuo amore per le persone e con la ricchezza delle tue parole precise e meravigliose hai costruito una biblioteca completa ed eterna”.
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la visita di netanyahu in brasile
"Bolsonaro, un nostro amico"
Non è arrivato l’annuncio dello spostamento dell’ambasciata brasiliana a Gerusalemme, ma l’incontro tra il nuovo presidente del Brasile Jair Bolsonaro e il Primo ministro Benjamin Netanyahu segna la nascita di un nuovo legame tra i due paesi e i due leader. Netanyahu è stato il primo Premier israeliano a recarsi in visita ufficiale in Brasile. Parlando dalla Sinagoga di Copacabana, il Primo Ministro Netanyahu ha definito Bolsonaro, in ebraico, un “mito”. Il presidente brasiliano ha ricambiato definendo Netanyahu un esempio di “patriottismo, abnegazione, impegno per il suo popolo” e ha detto che il Primo Ministro è un “capitano come me”.
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un eroe del novecento
Georges Loinger (1910-2018)
“Quando l’esercito di Hitler sbaragliò quello francese, ero un soldato. Mi fecero prigioniero insieme ai miei compagni e da subito ebbi paura che scoprissero la mia fede ebraica e mi uccidessero. Invece non mi fecero niente. I giorni passavano e mia moglie mi disse che aveva bisogno di me. Decisi allora di evadere e tentare di tornare in Francia e ci riuscii”.
Aveva già 105 anni quando Georges Loinger, con una lucidità disarmante, raccontava il suo passato di partigiano, membro della Resistenza, fautore del progetto della nave Exodus. Era il 2015 e, ospite del Keren Kayemeth Le Israel a Roma, non si era risparmiato neanche stavolta.
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pilpul

Calcio e calci
Le ultime, indecorose vicende nel calcio italiano, dove una parte delle “tifoserie” ancora una volta ha dato il peggio di sé (un fatto che gli è connaturato, essendo la pasta di cui sono costituite le frange più radicali degli ultras), non possono sorprendere. Vuoi perché il giro di interessi, al medesimo tempo economici e politici, che ruota intorno ad esse è cospicuo, vuoi perché il fenomeno – che è europeo, se non intercontinentale – non è mai stato colpito e represso con strumenti adeguati. Se si fa eccezione per l’Inghilterra dei primi anni Ottanta, quando uno dei punti fondamentali del programma politico per il quale Margaret Thatcher fu eletta (riportare ordine, anche ricorrendo a durissime misure in puro stile «law and order», tra gli spalti degli stadi), venne attuato con algida determinazione. Si trattava, d’altro canto, di recuperare al controllo delle istituzioni interi perimetri urbani altrimenti sfuggiti ad ogni forma di legalità che non fosse quella che i gruppi dominanti dettavano alle collettività locali, proprio a partire dalle consorterie di “tifosi”, organizzatesi come piccoli ma determinate controistituzioni territoriali, che trovavano nel rituale agonistico il loro centro di legittimazione simbolica.

Claudio Vercelli
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