Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     3 Novembre 2019 - 5 Cheshvan 5780
LA SCOMPARSA DEL TESTIMONE

Alberto Sed (1928-2019)

“Parlare ai ragazzi è la mia rivincita sul male”. Alberto Sed andava ogni volta a fondo dell’orrore vissuto, della drammatica esperienza del lager che sperimentò giovanissimo sulla propria pelle. Traumi destinati a segnarlo per sempre, a incidersi non solo nella pelle ma anche nell’anima, coraggiosamente elaborati attraverso la testimonianza e l’incontro con le nuove generazioni cui dedicava sempre un messaggio di vita e speranza. Dei “suoi” studenti ha detto: “Molti di loro, abituati a litigare per un telefonino, si sono resi conto del valore della vita e che non è possibile litigare per delle sciocchezze”. 
Parole di saggezza che risaltano in queste ore di lutto e cordoglio per la scomparsa di uno degli ultimi testimoni italiani della Shoah. Figlio di Pacifico Sed e Enrica Calò, Alberto era nato a Roma il 7 dicembre 1928. Scampato al rastrellamento nazista del 16 ottobre 1943, era stato catturato in un secondo momento assieme alla madre e alle sorelle, mandato a Fossoli e poi deportato a Birkenau dove sul braccio gli venne tatuato il numero A-5491. La cattura avviene il 21 marzo del ’44, su iniziativa della polizia fascista. È il 16 maggio invece quando madre, figlio e le sorelle Sed vengono inviati nel lager polacco. Solo Alberto e Fatina, vittima degli esperimenti di Mengele, sopravvivono. 

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ALBERTO SED (1928-2019) - IL CORDOGLIO

"Ci lascia una voce incrollabile di Memoria"

Cordoglio per la scomparsa di Alberto Sed nel mondo ebraico e in tutta la società italiana.
“Con Alberto Sed – afferma Noemi Di Segni, Presidente UCEI – ci lascia una voce incrollabile di Memoria. Un testimone degli orrori del Novecento che, senza tregua, mettendo avanti a tutto il proprio appassionato impegno civile, si è dedicato all’incontro e al racconto di quegli orrori con le nuove generazioni.
“Il suo messaggio di vita, speranza e consapevolezza – prosegue Di Segni – è il più grande regalo che Alberto Sed ha fatto ai suoi interlocutori in tutti questi anni. Un contributo che, declinato in incontri con le scuole, conferenze, libri e molte altre iniziative cui non si è mai sottratto, non sarà dimenticato. Grazie Alberto, grazie di tutto. Sia il tuo ricordo di benedizione”.
A dare notizia della scomparsa Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma. “La sua scomparsa – le sue parole – rappresenta un dolore immenso per tutta la Comunità. Una perdita ancora più dolorosa in questi tempi cupi in cui si riaffaccia l’odio antisemita. Con il sorriso ha saputo raccontare l’inferno e renderci persone migliori. D-o ne benedica la memoria.”
“Scampato alla retata del 16 ottobre, viene arrestato pochi mesi dopo a seguito di una delazione, insieme alla madre e alle sorelle, e deportati ad Auschwitz.
Con lui – lo ricorda la Fondazione Museo della Shoah di Roma – se ne va una voce delle Memoria, che tutti noi, oggi più che mai, dobbiamo tenere viva”.
Così invece la sindaca Virginia Raggi in un tweet: “Cordoglio per la scomparsa di Alberto Sed. Era sopravvissuto al campo di sterminio Auschwitz-Birkenau. Proprio domattina partirò per il Viaggio della Memoria con gli studenti capitolini. Perché il valore della testimonianza è pilastro di ogni democrazia”.

(Nell'immagine Alberto Sed al Quirinale assieme al Presidente Sergio Mattarella)

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ALBERTO SED (1928-2019) - LA TESTIMONIANZA

La deportazione e quel trauma mai rimosso

Per molti anni ho messo da parte le immagini del viaggio che ha cambiato la mia vita, relegandole in una zona oscura della memoria. È necessario, spiegano gli psicologi. Come quelle del corpo, anche le ferite dell’animo non vanno toccate o possono riaprirsi, procurando un inutile dolore. Ma il mio trauma è tutt’altro che rimosso. Per tutto il tempo è rimasto nel suo cantuccio, la terra di confine che in ciascuno di noi separa i ricordi dalle emozioni. Qualche anno fa ne ho avuta la prova. Con mia moglie e due coppie di amici sono salito su un treno diretto a Nova Gorica. Avevamo organizzato la vacanza con largo anticipo ed ero contento, mi aspettavano momenti piacevoli. Ma non appena fui a bordo, scoprii un dettaglio che mi terrorizzò. C’era l’aria condizionata e i finestrini non si potevano aprire. Quell’idea di chiuso mi riportò immediatamente le immagini della partenza da Fossoli. In un istante rividi i convogli dei deportati, sbarrati, privi di aria e di luce. Mi sembrò di rivivere il viaggio che per milioni di persone fu di sola andata e a me ha distrutto la famiglia, la giovinezza e la pace interiore. La vista mi si appannò, la mente si confuse. Non ero più alla stazione Termini, in partenza per un viaggio di piacere. E intorno a me non vedevo sconosciuti passeggeri, ma mia madre e le mie sorelle. Stavamo andando ad Auschwitz. La sensazione che provai era insopportabile, dovevo scendere subito dal treno. Cominciai ad arretrare, pian piano guadagnai l’uscita. Gli amici non capivano, rimasero di sasso vedendomi andar via senza un motivo, una spiegazione. Mia moglie capì. Senza dire una parola, prese la sua borsa e mi seguì lungo il binario. 

(Sono stato un numero. Alberto Sed racconta di Roberto Riccardi, editore Giuntina)

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Rassegna stampa

Alberto Sed (1928-2019)
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L'odio verso i differenti
Gli ultimi cento anni (anno più, anno meno) in 60 caratteri, spazi inclusi.
1917-2019. Da «odio gli indifferenti» a «odio i differenti».
 
                                                                          David Bidussa, storico delle idee
 
Lavori su Commissione
Si può discutere, e a lungo, su quali siano gli spazi di libertà di manifestazione del pensiero e dell’opinione. Ovvero, su come distinguere, in maniera comunque mai facile ed immediata, la sottile e mobile linea che divide l’uno e l’altra dall’offesa deliberata. La questione di fondo, in un tale caso, è la delegittimazione dell’umanità dell’offeso. Ossia, la sua disumanizzazione e diabolizzazione. È non meno legittimo l’interrogarsi sul senso di ciò che definiamo come «politicamente corretto», qualcosa che interviene direttamente nel linguaggio, soprattutto istituzionale, per orientarne a priori l’indirizzo (e di riflesso i contenuti).
Claudio Vercelli, storico
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