L'INTERVISTA AL SEGRETARIO DELLA LEGA MUSULMANA MONDIALE

“Ebraismo e Islam, rafforziamo il Dialogo”

Segretario della Lega musulmana mondiale dal 2016, il saudita Muhammad bin Abdul Karim Issa ha da poco ricevuto un premio per il suo impegno contro l’antisemitismo conferitogli dal Combat Anti-Semitism movement e dalla American Sephardi Federation. Un attestato che segue di qualche mese la visita ad Auschwitz compiuta insieme a una delegazione dell’American Jewish Committee e ad esponenti di varie correnti dell’Islam (nell’immagine).
Esperienze nuove sulle quali ha voluto confrontarsi in questa intervista con Pagine Ebraiche. Non tutti i temi che avremmo voluto approfondire sono stati accolti positivamente. Avremmo ad esempio voluto parlare più esplicitamente della percezione di Israele nel mondo arabo. O ancora della pena di morte che diverse società islamiche infliggono a chi pratica l’apostasia.
La sua disponibilità a confrontarsi con una testata ebraica è comunque un atto di coraggio per niente scontato.

Muhammad bin Abdul Karim Issa, cosa significa questo premio?
I premi non sono mai qualcosa di fine a se stesso. Rappresentano un riconoscimento dei risultati raggiunti e degli sforzi fatti per ottenerli. Aiutano inoltre a rinnovare la speranza di muoversi nella direzione giusta. Per questo motivo sono grato a chi ha voluto farmi questo onore. Quando ho intrapreso la strada per combattere tutte le forme di odio, incluso l’antisemitismo, sapevo che sarebbe stata lunga e piena di ostacoli. Sono felice di dire che abbiamo raggiunto obiettivi straordinari. Continueremo in questa direzione, con la collaborazione di tutti i nostri partner internazionali. Non ci fermeremo fino a quando non prevarranno armonia e pace. È un concetto sul quale spesso mi soffermo: anche solo il 10% dei nostri valori umani condivisi è sufficiente per riempire il mondo di sentimenti positivi. Il male non riposa mai. Quindi dobbiamo alzare la voce a sostegno della coesistenza pacifica, resistere all’odio e al radicalismo e impedire che gli orrendi crimini del passato si ripetano. Ciò che è accaduto ad Auschwitz, ad esempio, non dovrà mai riproporsi. È un punto sul quale spesso abbiamo fatto sentire la nostra voce.

Come è nata l’idea di portare una delegazione islamica ad Auschwitz?
Due anni fa, a nome della Lega mondiale musulmana, ho scritto una lettera alla direttrice dell’Holocaust Memorial Museum Sara Bloomfield. Nel mio messaggio esprimevo profonda empatia per le vittime dello sterminio, un dramma che ha scosso l’intera umanità, e la nostra solidarietà nella lotta a quel crimine che è la negazione della Shoah. Mi ha sorpreso l’ondata di chiamate, messaggi, email e lettere ricevute da studiosi musulmani e leader islamici. In questi messaggi si esprimevano consenso e sincera approvazione per la mia iniziativa. Da quel giorno la Lega ha compiuto uno sforzo per ampliare le relazioni con il mondo ebraico. Negli incontri che sono seguiti abbiamo trovato un terreno comune sul quale confrontarci, condividendo le stesse preoccupazioni riguardo la crescente intolleranza e le minacce che affliggono ciascuna delle nostre comunità. Abbiamo quindi firmato un accordo: aspetto chiave di questo accordo era una visita ad Auschwitz, che si è svolta all’inizio di quest’anno in concomitanza con il 75esimo anniversario dalla liberazione del campo. Nella delegazione di alto livello che ho guidato c’erano rappresentanti di vari Paesi islamici. Sunniti, sciiti e anche altre correnti.

Una delle forme più insidiose di antisemitismo è la negazione della Shoah. Perché resta un problema irrisolto?
Purtroppo, nelle nostre società, ci sarà sempre chi promuoverà disvalori e rigetterà la verità. Nel mondo occidentale ad esempio c’è un problema di estremismo di destra, guidato dalla fede nella superiorità di una certa identità e religione, dalla xenofobia e dalla mancanza di rispetto per l’Altro. Registro però l’impegno dei governi per affrontare questo problema valorizzando percorsi di integrazione e sviluppando sistemi educativi che promuovono valori di amore e armonia. Tutto ciò avrà un impatto nella limitazione di queste ideologie così negative.

Durante una visita alla sinagoga di Firenze, svoltasi due anni fa, lei ha ricordato un’età aurea in cui il mondo islamico e quello ebraico vivevano in maggior fratellanza rispetto ad oggi. Quali condizioni, dal suo punto di vista, possono facilitare un ritorno a questi sentimenti?
Certamente i musulmani e i loro fratelli ebrei hanno vissuto in armonia per molti anni, con questi ultimi che hanno potuto godere della protezione di costituzioni islamiche tolleranti. Lungo tutto questo periodo la Storia è stata testimone di molte vicende in cui i musulmani si sono ritrovati al fianco dei loro fratelli ebrei sottoposti a persecuzioni religiose, nonostante le difficili circostanze prevalenti. Al giorno d’oggi ci sono numerose opportunità per favorire la coesistenza. Mai come oggi, visto che il mondo è diventato un piccolo villaggio in cui i figli della famiglia abramitica vivono fianco a fianco. Stiamo lavorando per rivitalizzare questi sentimenti positivi e diffonderli tra le diverse religioni di modo che possano riaccendere i valori di pace, amore e fratellanza. Allo stesso tempo dovremo sforzarci di trasformare questi sentimenti in qualcosa di stabile, in un comportamento praticato nella vita di ogni giorno. Faccio appello alle autorità competenti affinché promulghino leggi che garantiscano la coesistenza pacifica, prevengano le persecuzioni religiose e criminalizzino la blasfemia. Ciò consentirà alla coesistenza di trasformarsi in un sistema integrato in cui prevarranno i valori nobili, con la legge che avrà il compito di proteggerlo da qualsiasi violazione e aggressione. Gli sforzi congiunti in atto in tutto il mondo rappresentano un segnale positivo. Inducono a riempire i nostri cuori di ottimismo.

C’è qualcosa che la società occidentale non ha capito del mondo islamico? E viceversa?
Naturalmente, allo stato attuale, c’è un gap da colmare. Si allarga e si contrae a seconda della politica prevalente e di quanto siano diffusi l’estremismo e l’islamofobia: fattori entrambi che ostacolano il superamento di questo divario. Tuttavia, stiamo assistendo a un cambiamento di prospettiva dell’Occidente verso il mondo musulmano. Faccio un esempio: la Lega mondiale musulmana ha preso parte al meeting di Rimini, organizzando una mostra. Molte persone l’hanno visitata e manifestato entusiasmo nell’incontro con la cultura, la civiltà e le arti islamiche. Ciò ci ha rassicurato sul fatto che l’Occidente in generale non è influenzato dal racconto distorto che talvolta appare sui media. Ribaltando la prospettiva, nel mondo islamico la maggior parte delle persone pensa che gli ebrei siano tra i popoli del libro: gli ebrei sono considerati fratelli che hanno il diritto di godere della libertà religiosa in accordo con le leggi della maggior parte degli Stati islamici. Hanno anche il diritto di godere di tutte le possibilità offerte da una cittadinanza inclusiva nei Paesi in cui sono una minoranza. Anche in questo caso le complicate circostanze politiche svolgono il loro ruolo nel distorcere la realtà e influenzare negativamente le relazioni. Così come i media influenzati da ordini del giorno occulti accendono l’odio diffondendo disinformazione e menzogne: ciò ostacola gli sforzi di chi cerca di raggiungere una pace giusta e onnicomprensiva. Al riguardo abbiamo intrapreso diverse iniziative volte a colmare il divario tra i leader religiosi di entrambe le parti. Tra queste anche la visita ad Auschwitz, svoltasi all’insegna della solidarietà tra musulmani ed ebrei. Nell’occasione abbiamo trasmesso un messaggio netto di condanna delle atrocità compiute allora dai nazisti.

Quali sono i rappresentanti del mondo ebraico con cui si confronta più spesso?
Sono in dialogo con tutti senza eccezioni. Ho strette amicizie con fedeli di diverse fedi, civiltà e culture, anche se non sempre condividiamo le stesse opinioni e prospettive. Uno dei principi fondamentali del dialogo è quello di impegnarsi in un confronto fraterno e civile anche con chi ha un’opinione diversa affinché tutti possiamo raggiungere un terreno comune. Sono anche a favore del dialogo con chi è portatore di istanze estreme. L’ho fatto tante volte e questo ha aiutato a correggere alcune idee sbagliate, favorendo una visione più moderata e aperta.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche luglio 2020

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RAV JOSEPH LEVI E LE APERTURE DAL MONDO ISLAMICO

“Segnali importanti da raccogliere”

“Come la storia insegna, la cooperazione tra ebrei e musulmani ha spesso lasciato il segno. In un’epoca di chiusura sono stati loro a far avanzare cultura, rispetto, fratellanza. La mia sensazione è che quel tipo di alleanza sia possibile ancora oggi. Una prospettiva che tutti gli uomini del Dialogo, che guardano ai valori che uniscono e non a quelli che dividono, devono cercare di alimentare con l’impegno quotidiano”.
A lungo rabbino capo di Firenze, rav Joseph Levi guida da qualche anno la Scuola fiorentina di alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale. Una realtà che si rivolge a una pluralità di soggetti con percorsi che offrono conoscenze ma anche e soprattutto buone pratiche di cittadinanza consapevole. È in questo ambito che è nata una relazione stretta con il segretario della Lega musulmana mondiale, firmatario nel 2018 di un accordo di collaborazione con l’istituto siglato nelle stesse ore in cui, assieme alla dirigenza della scuola, riceveva sul palco del teatro della Pergola il prestigioso Premio Galileo 2000. “Parliamo di un leader coraggioso, che sta aprendo nuove strade” sottolinea rav Levi al riguardo. Tra i gesti più eclatanti l’intervento tenuto poche ore prima in sinagoga dove, accanto alla leadership comunitaria e al rav Levi, aveva pronunciato parole di inequivocabile condanna del negazionismo della Shoah. Il preludio in qualche modo alla storica visita svoltasi a gennaio ad Auschwitz.
Il rav ricorda così quel giorno: “Un’esperienza forte, commovente. Che è arrivata a suggello di quelle parole pronunciate in sinagoga”. Per l’ex rabbino capo, vincitore in passato anche del Fiorino d’oro, sono anche altri i segnali importanti da cogliere. Menziona ad esempio un’iniziativa internazionale promossa lo scorso anno in Sri Lanka dopo l’ondata di attacchi contro le comunità cristiane che, nel giorno della Pasqua, avevano fatto centinaia di morti. Sul palco diversi leader religiosi, a confronto su come alimentare spirito di pace e fratellanza in tempi di odio lacerante. “Lo Sri Lanka non ha una storia ebraica e quegli attacchi non erano rivolti contro gli ebrei. Ma anche in quel caso Al Issa aveva voluto che l’ebraismo fosse rappresentato. Un gesto – dice rav Levi – che trovo significativo e per niente scontato”.

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QUI BOLOGNA - LA VISITA DELL'AMBASCIATORE DROR EYDAR

"Israele-Italia ebraica, legame indissolubile"

“Siamo una Comunità piccola ma partecipata, che vive profondamente l'ebraismo e la sua identità ebraica. Il nostro è un impegno proiettato al futuro e ringraziamo l'ambasciata d'Israele per il sostegno dimostrato in questi mesi. Siamo stati contattati settimanalmente dall'ambasciata per sapere quale fosse la nostra situazione. Un approccio non scontato, assimilabile a quello dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che come Comunità di Bologna abbiamo fortemente apprezzato”. Così il presidente della Comunità ebraica di Bologna Daniele De Paz nel salutare l'ambasciatore d'Israele Dror Eydar, venuto in visita in città nelle scorse ore. Una presenza, ha sottolineato De Paz, emblematica del “legame tra la nostra Comunità, come di tutta l'Italia ebraica, con Israele”. Nel suo discorso l'ambasciatore Eydar, ricordando le sofferenze patite dal popolo ebraico nel corso dei secoli, ha ribadito come Israele rappresenti “il sogno, il miracolo realizzato di uno Stato in cui tutti gli ebrei possano sentirsi a casa”. “L'ebraismo della Golah è vivo – ha ricordato il rabbino capo di Bologna rav Alberto Sermoneta – e guarda a Israele come un punto di riferimento per la vita ebraica. Un luogo dove i nostri figli scelgono di trasferirsi. Un luogo verso cui tutti noi sentiamo un profondo attaccamento”.

LA NUOVA SFIDA DI SIMONE ZARAFFI

“Ho realizzato il mio sogno:
cavalcare per Israele”

Simone Zaraffi ha sempre avuto un sogno: diventare un cavaliere. Da qualche anno calca con successo le scene di importanti concorsi ippici nazionali e internazionali. Negli scorsi mesi, con l’Aliyah, ha scelto di abbracciare una nuova sfida. E difendere, in sella al suo cavallo, i colori di Israele. “È un sogno che si realizza”, ci ha raccontato nel videopilpul trasmesso ieri sera.

L’Italia con i suoi ebrei
La tenacia di Matteo Ferrari, monaco camaldolese di straordinaria cultura e di squisita ospitalità, unita alla capacità organizzativa e alla caparbietà di Gabriele Boccaccini, hanno reso possibile la realizzazione a Camaldoli di una settimana di studi dedicata all’ebraismo italiano dall’Unità ad oggi. L’evento è stato comunque realizzato, a dispetto delle difficoltà, con l’intento di sostituire e anticipare in qualche modo la ricchissima prima settimana di studi internazionali sulla storia degli ebrei in Italia in età contemporanea che si è dovuta rimandare al prossimo anno a causa delle limitazioni determinate dalle attuali restrizioni sanitarie.
Gadi Luzzatto Voghera

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Luoghi di culto contesi e condivisi
Se potessimo analizzare le notizie dal punto di vista teorico prescindendo dal contesto storico e dalla situazione politica non potremmo pensare che un luogo di culto divenuto un museo sia di per sé una cosa positiva. Quando succede alle sinagoghe (e purtroppo succede) lo consideriamo, a ragione, terribilmente triste. E, sempre in teoria, la notizia di un museo che torna ad essere luogo di culto non dovrebbe suonare catastrofica. L’idea che un museo sia meglio perché è di tutti mentre il luogo di culto è solo di qualcuno è terribilmente pericolosa: dovremmo forse augurarci che tutti i luoghi di culto del pianeta diventino musei per far terminare una volta per tutte i conflitti religiosi?
Anna Segre
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Dalle tenebre alla grande luce
La settimana che inizia con l'uscita di questo Shabbat è quella più luttuosa del nostro calendario. In essa cade il 9 del mese di Av in cui, tutto il popolo ebraico digiuna e piange la distribuzione del primo e secondo Tempio di Gerusalemme, insieme ad altre gravi sciagure capitate al nostro popolo, nel corso dei millenni della sua storia. Anche nel lutto più profondo gli ebrei si sono imposti di non essere totalmente negativi, ma di vedere sempre una luce in fondo al tunnel.
Rav Alberto Sermoneta
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L’esperienza dei Kibbutz oggi
“In che sorta di società volete vivere, Kinderlach? In una società che rispetta le persone se hanno denaro, o in una società che rispetta le persone?”, chiede ai propri allievi l’insegnante Mola Zaharhari con un Tanakh in mano.
Sono parole tratte dal libro di Assaf Inbari Verso Casa (Giuntina 2020), un romanzo biografico del kibbutz Beth Afikim, nel quale lo scrittore è nato e cresciuto, dalla nascita dell’insediamento negli anni ’20, grazie a un gruppo di ebrei russi, sino alla sua privatizzazione e “caduta”. Il libro è stato pubblicato in Israele nel 2009, in Italia è giunto quindi un po’ in ritardo. Ma del resto, in Europa una reale riflessione sul kibbutz tarda ad arrivare.
Francesco Moises Bassano
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