Luoghi di culto
contesi e condivisi

Se potessimo analizzare le notizie dal punto di vista teorico prescindendo dal contesto storico e dalla situazione politica non potremmo pensare che un luogo di culto divenuto un museo sia di per sé una cosa positiva. Quando succede alle sinagoghe (e purtroppo succede) lo consideriamo, a ragione, terribilmente triste. E, sempre in teoria, la notizia di un museo che torna ad essere luogo di culto non dovrebbe suonare catastrofica. L’idea che un museo sia meglio perché è di tutti mentre il luogo di culto è solo di qualcuno è terribilmente pericolosa: dovremmo forse augurarci che tutti i luoghi di culto del pianeta diventino musei per far terminare una volta per tutte i conflitti religiosi? Ovviamente sarebbe uno scenario da incubo, una distopia. Dunque, L’unica cosa ragionevole da dire a proposito della questione di Santa Sofia è che nella delicata situazione attuale non si può prescindere dal contesto e che in questo momento storico qualunque rottura di uno status quo desta legittima preoccupazione.
Tra pochi giorni digiuneremo per ricordare la distruzione del Tempio di Gerusalemme, che fu sostituito da un tempio a Giove, che fu sostituito da una basilica cristiana, che fu sostituita dalle due moschee di Omar (Cupola della Roccia) e di al-Aqsa, tornati luoghi di culto cristiani al tempo delle crociate e poi di nuovo moschee. Oggi, come sappiamo, c’è un delicato status quo a due piani, in alto le moschee e in basso il Muro Occidentale. Per quante tensioni possa creare questa situazione credo che siamo tutti convinti che in questo contesto storico non sia possibile immaginare nulla di meglio. Per ora nessuno sogna di far cessare le tensioni trasformando tutta l’area in un grande museo a cielo aperto (magari, già che ci siamo, esteso di qualche centinaio di metri per includere anche il Santo Sepolcro in modo da far cessare le controversie tra le varie religioni cristiane): anche quella sarebbe un’orribile distopia. Meglio, mille volte meglio, la soluzione a due piani e i delicati equilibri attuali tra le varie religioni.
Noi ebrei preghiamo continuamente per la ricostruzione del Tempio e contemporaneamente, nella stragrandissima maggioranza, diamo per scontato che le due moschee resteranno dove sono. Quando verrà il Messia troverà il modo di sistemare la questione con soddisfazione di tutti, ma per ora non è proprio il caso di pensarci. Siamo un popolo di sognatori, ma con sogni concreti, che nel giro di un paio di generazioni si rivelano tutt’altro che impossibili: una società più giusta, lo stato di Israele, la pace. L’era messianica, come l’aldilà, è al di fuori del nostro orizzonte mentale: vedremo poi quando ci arriveremo.
“… la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli” (Isaia 56,7). In effetti il testo biblico non dice che lì tutti i popoli celebreranno gli stessi riti, e neppure che andranno tutti d’accordo. Dice solo che avranno trovato un modo – di cui forse nessuno sarà pienamente soddisfatto – per condividere lo stesso spazio senza litigare troppo. A ben pensarci anche le speranze messianiche non sono prive di concretezza. E forse l’idea di un luogo di culto per tutti – non dovunque, ma almeno uno sulla faccia delle terra – un giorno, anche prima della fine dei tempi, potrebbe rivelarsi un’utopia realizzabile.

Anna Segre