LA SCOMPARSA DEL GRANDE MAESTRO  

Rav Adin Steinsaltz (1937-2020)

Un grande Maestro di Torah e di vita, punto di riferimento per intere generazioni. Rav Adin Even-Israel Steinsaltz è scomparso nelle scorse ore a Gerusalemme all’età di 83 anni e innumerevoli sono le testimonianze di cordoglio e affetto per una delle più influenti e autorevoli figure dell’ebraismo contemporaneo. “I nostri cuori piangono la morte del rabbino Adin Even-Israel Steinsaltz z.l. Era un uomo di grande coraggio spirituale, di profonda conoscenza e di profondo pensiero che ha portato il Talmud ad Am Yisrael (al popolo ebraico) in ebraico e in inglese, rendendolo chiaro e accessibile. Il rabbino ha forgiato il suo cammino unico, attraverso la devozione alla Torah d’Israele e al popolo d’Israele. Sia benedetta la sua memoria”, il ricordo del Presidente d’Israele Reuven Rivlin.
Vincitore del Premio Israele per gli studi ebraici, medaglia presidenziale e uno dei più grandi commentatori della nostra generazione, rav Steinsaltz era noto soprattutto per la sua monumentale traduzione e commento del Talmud babilonese: la prima persona ad aver raggiunto un tale risultato da solo dai tempi di Rashi, ricordano in queste ore i giornali israeliani: iniziò il progetto nel 1965, completandolo nel 2010 “Il Talmud – spiegava Rav Steinsaltz – è, in un certo senso, il libro del grande mistero del popolo ebraico. È un libro misterioso non perché è scritto in una lingua diversa e con uno stile tutto suo, ma perché è un libro unico nella letteratura mondiale. Inizia come un’opera circoscritta nei suoi scopi, un commentario alla Torah Orale, ma presto arriva a affrontare ogni possibile argomento che sia rilevante per l’umanità, ovunque si trovi. Scritto in un linguaggio semplice, con tutta la sua semplicità contiene profondità di saggezza, di conoscenza e di analisi di ogni possibile domanda”. In un’intervista a Yedioth Ahronoth il rav aveva spiegato come l’assenza dello studio del Talmud “non è solo una mancanza di conoscenza, ma è mancanza di una componente centrale e vitale” dell’ebraismo. “Si può dire in generale che ogni società ebraica, che per vari motivi abbia perso lo studio del Talmud, sia degenerata dal punto di vista ebraico e si sia assimilata socialmente” e “riportare il Talmud al popolo d’Israele in generale è stato un tentativo di risolvere questo problema”.
Nato nel 1937 a Gerusalemme, in una famiglia laica, Steinsaltz divenne religioso durante l’adolescenza e studiò nella yeshiva Toras Emes del movimento Chabad. All’Università Ebraica di Gerusalemme proseguì i suoi studi scegliendo matematica, fisica e chimica, e completando nel mentre il suo percorso per l’ordinazione rabbinica. Nel 1965, fondò l’Israel Institute for Talmudic Publications, dove lanciò la sua monumentale opera sul Talmud, con traduzione, commento completo, notazioni enciclopediche e numerose illustrazioni in ebraico, inglese e russo. Nel novembre 2010 il lavoro fu portato a termine e festeggiato in tutto il mondo.
I suoi scritti e le sue opere filosofiche sono stati tradotti in decine di lingue. Ha firmato oltre sessanta libri su vari argomenti, tra cui guide e commenti sul Talmud, la Torah, il misticismo ebraico, il hasidismo, la filosofia ebraica. Il suo ruolo è stato riconosciuto anche al di fuori del mondo ebraico: la rivista Time lo definì uno studioso che capita “una volta ogni millennio”.
Rav Steinsaltz è stato più volte in Italia, tenendo importanti lezioni di Torah e Talmud. “Mantenere e difendere quello che già c’è. Ma sempre in movimento, mai restando fermi. E poi progettare, sviluppare idee, proiettarsi verso il futuro. Saper dire di sì, ma anche saper dire di no. Cosa che non sempre è facile, lo capisco, ma inevitabile. Solo così saremo dei veri leader in grado di incidere nella vita e negli orientamenti delle nostre Comunità”, uno dei suoi insegnamenti durante una lezione tenutasi al Centro bibliografico UCEI di Roma nel 2016 e dedicata al ruolo del leader. Nella Capitale il rav arrivò anche nel 2010 per festeggiare la conclusione del suo immenso progetto di traduzione del Talmud. In quell’occasione partecipò alla cerimonia in ricordo del rogo del Talmud del 9 settembre del 1553: una presenza, quella del rabbino talmudista, carica di significati. Di recente, sempre a Roma, rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della città, ha invece letto la Tefillah (preghiera) composta dal rav Steinsaltz per dare conforto nei momenti più difficili della pandemia.
“La scomparsa del rav Adin Even Israel Steinsaltz addolora gli ebrei italiani così come tutte le realtà ebraiche del mondo. – le parole della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, che si è fatta interprete dei sentimenti di tutta l’Italia ebraica – Il suo impegno per la divulgazione della infinita conoscenza che può derivare dallo studio dei testi ebraici ha rappresentato qualcosa di unico fra i Maestri dei tempi nostri. Disseminare la conoscenza e metterla a disposizione di tutti è oggi più che mai il nostro orizzonte e il modo migliore per onorare la memoria di un grande di Israele. Sia la sua viva memoria di benedizione e di incoraggiamento”.

Daniel Reichel

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RAV ADIN STEINSALTZ, UNA LEZIONE SEMPRE ATTUALE

“Ecco perché rispettiamo lo Shabbat”

Nel corso degli anni Pagine Ebraiche ha più volte dedicato degli approfondimenti al Talmud e al lavoro di rav Adin Even-Israel Steinsaltz, scomparso all'età di 83 anni a Gerusalemme. A partire dal 2010, quando il rav festeggiò con il mondo ebraico il completamento del suo lavoro di traduzione di tutto l’immenso corpo talmudico (Leggi qui il dossier), aprendo la via al progetto, poi diventato realtà, di tradurlo anche in italiano. A quest'ultima iniziativa dalla portata storica il giornale dell'ebraismo italiano ha dedicato nel gennaio 2018 (Leggi qui il dossier) diverse pagine, pubblicando anche uno stralcio dal volume del rav Steinsaltz Cos’è il Talmud (Giuntina) dedicato allo Shabbat. Una lezione importante che riproponiamo qui di seguito.

Uno dei principi fondamentali dell’ebraismo è costituito dallo Shabbat. A partire dal libro di Bereshith (Genesi) con la descrizione della Creazione e del relativo riposo nel settimo giorno, fino ai Dieci Comandamenti, tra i quali è espressamente menzionata la mitzvà di astenersi da qualsiasi attività nel giorno di Shabbat, il concetto viene sottolineato in tutta la sua importanza. La mitzvà fondamentale dello Shabbat è costituita dal principio che «il settimo giorno è giornata di cessazione dal lavoro dedicata al Signore tuo Dio e non compirai alcun lavoro» (Es. 20: 10), stabilendo un divieto che viene più volte ripetuto nella Torà e così pure nelle parole di ammonimento dei Profeti. Questo concetto basilare dello Shabbath quale giorno di riposo è in apparenza assai semplice, tuttavia, quando si viene ad applicarlo nella vita quotidiana, nasce una lunga serie di problematiche a partire dalla definizione stessa di melakhà (lavoro proibito di Shabbat) (TB, Shabbat 73a). Da un lato potrebbe essere considerato melakhà un qualsiasi atto che richiedesse una fatica eccessiva, o una qualsivoglia azione per la quale si ricevesse un pagamento, o molte altre attività ancora, e ognuna di queste definizioni porterebbe a individuare una diversa configurazione del divieto, e così un diverso modo di osservare lo Shabbat. La tradizione orale, basata su un’analisi approfondita delle fonti, giunge a un’altra conclusione riguardo all’essenza dello Shabbat, molto legata al concetto di «imitazione di Dio» accennato in molti passi della Torah stessa. Il lavoro vietato di Shabbat non è legato al concetto di fatica fisica o alla ricompensa in denaro ma, sostanzialmente, al compiere atti di creazione volontaria nel mondo della natura.
 

Rav Adin Steinsaltz

Da Cos’è il Talmud, ed. Giuntina
Dossier Talmud, Pagine Ebraiche Gennaio 2018

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Semplificazioni e distorsioni
Non è fine scriverlo su una newsletter informativa, ma è noto che il mondo del giornalismo comunica ricorrendo spesso alle semplificazioni. Il rischio, a volte, è quello però di cadere nella più pericolosa pratica della “distorsione”. Si comunica cioè in maniera non solo semplificata, ma anche distorta, quella che è la realtà dei fatti. La quale, purtroppo o per fortuna, è sempre molto complessa e articolata, sfumata. Accade così che un rinomato giornalista del Corriere della Sera, Antonio Ferrari, decida di dedicare la prima parte di un suo servizio giornalistico a descrivere le “Comunità ebraiche fra polemiche e veleni”, presentando un quadro che a molti osservatori è parso confuso e a tratti mistificatorio. Lasciando da parte la descrizione molto superficiale del dibattito in seno alla comunità ebraica a proposito del progetto di annessione di territori proposto dal premier israeliano Netanyahu e dal presidente Trump (dibattito intenso e molto complesso, ma che Ferrari usa solo per dire che lui si oppone al piano medesimo), il servizio introduce il tema dell’immigrazione in Italia di ebrei dai paesi arabi negli anni del dopoguerra. La sua tesi è esplicita: “Numerosi israeliti provenienti dal mondo arabo portarono a Roma il credo di un’appartenenza assai conservatrice alla più antica delle tre grandi religioni monoteiste. A differenza del nord Italia, dove vi erano atteggiamenti assai più aperti, moderni e riflessivi”. Chi volesse informarsi, al di là delle semplificazioni e distorsioni, sull’effettivo apporto che la comunità ebraica libica (la più numerosa) ha offerto al nostro Paese (non solo alle comunità ebraiche) negli ultimi cinque decenni sarà sufficiente leggere lo splendido libro a cura di Jacques Roumani, David Meghnagi e Judith Roumani “Libia ebraica. Memorie e identità. Testi e immagini” (Belforte, Livorno 2020).
Gadi Luzzatto Voghera
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Premio e castigo
Nella parashà che leggeremo questo Shabbat troviamo troviamo quello che è stato introdotto come secondo brano dello shemà israel, quel brano che inizia con le parole: "vehajà I'm shamo'a tishme'ù el mitzwotai - e sarà, se ascolterete bene i miei precetti" (Devarìm 11; 13-21).
Questo brano di Torah è conosciuto anche come "premio e castigo"; in realtà noi troviamo in esso ciò che più volte la Torah ci mette in guardia di fare, osservare le mizwot.
rav Alberto Sermoneta
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Formare i formatori 
Chi forma i formatori? E come? È la domanda che mi pongo più o meno ogni volta che mi viene proposto un corso per insegnanti (come mi è capitato per esempio di recente dopo aver compilato un interessante questionario sulla didattica a distanza inviatomi da un editore di libri scolastici). Perché i casi sono due: o pensiamo che per un insegnante sia sufficiente conoscere la propria disciplina, e in tal caso i corsi sulla didattica o simili sarebbero superflui, oppure pensiamo che un insegnante debba saper organizzare le proprie lezioni, presentare i contenuti in modo da renderli interessanti, non allungare eccessivamente i tempi della spiegazione, gestire un gruppo, ecc.; in tal caso ci aspettiamo che chi ha la pretesa di insegnare queste cose agli insegnanti non si limiti a enunciarle in teoria. 
Anna Segre
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Oltre il conflitto, la solidarietà
"Le teorie cospirazioniste sull'esplosione stanno soltanto togliendo l'attenzione dai veri responsabili, le autorità competenti, criminali che hanno rovinato centinaia di migliaia di vite e lasciato dietro di sé una città in rovina”, scrive su Twitter Karl Sharro, un celebre umorista libanese, in merito al proliferarsi delle solite teorie complottistiche sui social networks, le quali non hanno neppure risparmiato la tragedia che ha colpito questa settimana Beirut. Ma in mezzo a questo orrore e a tutto ciò che ne consegue, fa particolarmente effetto l’aiuto offerto dagli ospedali israeliani, la solidarietà dei suoi cittadini, o la bandiera libanese che illumina lo stabile della Beit Iriyat in Kikar Rabin.
Francesco Moises Bassano
Pandemia e piazza
E già più di un mese che Gerusalemme è in subbuglio almeno tre volte la settimana, mentre il Covid cresce esponenzialmente, compresi malati gravi e morti negli ospedali che straripano.
G. Yohanan Di Segni
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