UN GRANDE GIORNALISTA, UN GRANDE EBREO ITALIANO

Arrigo Levi (1926-2020)

Una lunga vita tra giornalismo e istituzioni. Il segno indelebile di un grande ebreo italiano, protagonista di un'epoca d'impegno intellettuale che l'ha portato ad essere non solo uno dei giornalisti più amati della sua generazione, ma anche il Consigliere stretto di due Presidenti della Repubblica: Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. 
Arrigo Levi ci ha lasciati nelle scorse ore, all'età di 94 anni. Poco prima di morire, a quanto si apprende, ha cantato l'inno dello Stato di Israele e una filastrocca modenese.
Nato a Modena, a 16 anni si trasferisce con i familiari in Argentina per sfuggire alle persecuzioni fasciste. Proprio a Buenos Aires comincia la carriera giornalistica, come collaboratore di Italia libera. L'inizio di una carriera che, dal ritorno in Italia, lo porterà tra le varie tappe alla Bbc, alla Settimana Incom, alla Gazzetta del Popolo, al Corriere della Sera (dove sarà corrispondente da Mosca e da Londra). Dal 1973 al 1978 diventa direttore de La Stampa. Nel 1988 è capo editorialista del Corriere e nel 1998 arriva la nomina a Consigliere per le relazioni esterne del Quirinale, prima con Ciampi e poi con Napolitano. Memorabile anche la sua esperienza in Rai, dove si trovò a raccontare la Guerra dei Sei Giorni. Lui che, meno di 20 anni prima, era stato giovane soldato accorso in Israele per difenderla dalla minaccia di molti nemici schierati contro la sua sopravvivenza. 
Molte le testimonianze d'affetto e commozione. "La scomparsa di Arrivo Levi - le parole dell'ex Presidente Napolitano - suscita in me un profondo dolore e lascia un grande vuoto nel paese. Egli è stato un appassionato combattente per la libertà, un limpido e coerente democratico, un protagonista del giornalismo italiano, un autorevole interlocutore sulla scena internazionale. Ho avuto modo di apprezzare direttamente le doti di Arrigo durante la mia Presidenza, quando, già chiamato dal Presidente Ciampi al Quirinale, mise al servizio delle istituzioni repubblicane la sua vasta cultura e fervida attività, in un crescente rapporto di stima, fiducia e amicizia personale". A unirsi al cordoglio anche l'attuale Capo dello Stato Sergio Mattarella: "Con i suoi libri, le sue corrispondenze dall’estero e le sue trasmissioni televisive, ha raccontato e acutamente interpretato i grandi sommovimenti dell’età contemporanea. Lo ricordo anche per la passione civile che lo ha animato sin da giovanissimo e per l’inconfondibile tratto umano, affabile e signorile". 
Per i 90 anni Levi era stato festeggiato dall'UCEI con un evento speciale, durante il quale la Presidente dell'Unione Noemi Di Segni l'aveva ringraziato per "le importanti pagine di giornalismo che ci ha donato, per gli straordinari libri che ha scritto, per la sua costante attività a sostegno dello Stato di Israele. Ma anche e soprattutto per un’umanità speciale, per un modo di guardare alla vita, nei suoi alti e bassi, nelle molte sfide che si presentano ogni giorno, che è un esempio per tutti noi”. A ripercorrere la vita del giornalista modenese erano stati, tra gli altri, anche Paolo Mieli e Maurizio Molinari. 
Numerosi i saggi e le opere al suo attivo. In Un paese non basta, straordinaria autobiografia, Levi affronta anche il personale impegno nella guerra d'indipendenza d'Israele. “Eravamo - ricordava - in 120 ragazzi. Non tutti sionisti. Quello che ci interessava era difendere il diritto di Israele a esistere. Nel nome di un umanesimo che ci accomunava. Nel nome del diritto di 600 mila rifugiati, molti scampati alla Shoah, di vivere in pace”. Sia il suo ricordo di benedizione. 

(Il disegno è di Giorgio Albertini)

 

L'INTERVISTA CON PAGINE EBRAICHE

"L'Italia del coraggio guarda oggi al Quirinale"

Ricordiamo Arrigo Levi anche con l'intervista che concesse al giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche alla vigilia della prima storica partecipazione di un Presidente della Repubblica a un Congresso UCEI. Si era nel dicembre del 2010. Accanto a Levi l'allora Presidente dell'Unione Renzo Gattegna, che pochi giorni dopo avrebbe accolto Giorgio Napolitano. 

Scatta un saluto, ma sfugge un sorriso. I corazzieri che li attendono al termine della salita al Colle vorrebbero essere formali, ma senza rinunciare al loro contegno traspare un impercettibile gesto d’affetto. L’autunno consuma le sue ultime giornate fra scrosci cupi e improvvise, brillanti schiarite. Roma attende inquieta l’inverno politico più incerto. Una nuova volta gli interrogativi della politica e dell’economia portano molti sguardi a convergere sul Quirinale. Le prime pagine dei giornali, quando riescono a distogliersi da veleni, piazzate e vallette, raccontano di un’Italia che attende le sue risposte dalla Presidenza della Repubblica. Le stime della popolarità di cui gode il Quirinale, tradizionalmente sempre molto alte, sono in costante ascesa, ormai alle stelle. Sono dati che sfatano il luogo comune dello scetticismo anarchico e atavico appiccicato al popolo italiano. La gente è stufa di parole vacue e maldicenze. Ha voglia di credere in qualcosa di serio, cerca fatti e valori cui ancorare le proprie speranze. Il grande corpo del Quirinale che si estende dopo la facciata ufficiale non corrisponde all’immagine serena che si proietta sulla piazza con la fontana dei Dioscuri. Dietro le quinte molto lavoro e molte tensioni attraversano gli uffici. Arrigo Levi, stratega della Comunicazione di Carlo Azeglio Ciampi prima e di Giorgio Napolitano oggi, varca la soglia assieme al presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. Poche parole fra amici fanno da preludio a un momento molto atteso per tutti gli ebrei italiani. Napolitano ha accettato l’invito a partecipare al Congresso UCEI di dicembre. Per la prima volta un presidente della Repubblica sarà presente, a 150 anni dall’Unità d’Italia cui gli ebrei italiani diedero un contributo appassionato e incancellabile, alla massima assise della più antica minoranza della Diaspora. Quando il 6 dicembre si apriranno le porte della sala dove ad attenderlo troverà raccolti i delegati della minoranza ebraica in Italia, il Presidente non sarà accompagnato solo da un grande giornalista, ma anche da un uomo che torna a immergersi in tanti affetti e amicizie. Proprio sulla straordinaria vicenda degli ebrei italiani e sulla loro vocazione ad attraversare nella loro specificità da protagonisti le vicende del nostro paese, a questi 150 anni d’Italia sarà dedicato l’intervento della storica Anna Foa. E se al Congresso si parlerà della riforma dello Statuto dell’ebraismo italiano, di progetti, di decentramento, di capacità di raccogliere le risorse per garantire un futuro a un ebraismo piccolo nei numeri ma prezioso e complesso nei valori testimoniati in due millenni di storia; la presenza del Quirinale segnerà una parentesi di alto significato istituzionale.

Gran signore del giornalismo, a lungo Consigliere e ora Consulente personale del Presidente della Repubblica, uomo di fiducia dei massimi vertici dello stato, nel suo studio al Quirinale Arrigo Levi sembra incarnare tutto il destino della minoranza ebraica in Italia. Dalla piccola, gloriosa Comunità di Modena al mondo, dai primi passi nel mondo dei giornali al ruolo di direttore prestigioso e di interlocutore diretto dei grandi della terra, dall’esilio determinato dal fascismo e dalle leggi razziste all’autorevolezza di un consigliere ascoltato sul Colle per due settennati.
Sorride e sulla scrivania tutto soddisfatto dispiega un bigliettino. “Ottomilacinquecentottanta”, sillaba soddisfatto, leggendo il numero che porta segnato.

Cabala? Messaggi cifrati?

Se si tratta di un’intervista con il giornale dell’ebraismo italiano, ho pensato di documentarmi.

E questo numero, cosa significa?

È il numero dei Levi che si contano nelle Scritture. Sono andato a verificare, volevo sapere da quanti e da quali discendo.

Il Libro è un punto di riferimento anche nel tuo lavoro? Quando si è fatta strada questa consapevolezza?

Era il 1942. Eravamo esuli in Argentina. Mio padre aveva una Bibbia con sé. È stato un incontro all’inizio quasi casuale, non sapevo nemmeno cosa stessi cercando. Poi l’ho preso in mano e l’ho letto d’un fiato. Allora tutto è cambiato. La mia tesi di laurea sarebbe stata dedicata alle radici dell’Umanesimo nella Bibbia. È stata un’esperienza molto importante.

Prima di risalire all’origine di tutte le cose, partiamo dai giorni nostri e dalla vita quotidiana. La crisi delle istituzioni non ha eroso l’immagine del Quirinale…

Così dicono i dati più aggiornati. La Presidenza della Repubblica è in testa alla classifica delle realtà in cui gli italiani ripongono la loro fiducia. Sono indici molto alti, superiori anche a quelli della Chiesa.

Qualche numero?

Quirinale sempre sopra l’80 per cento della fiducia. Secondo alcune ricerche addirittura all’86. Berlusconi e Vendola secondo gli ultimi dati stanno al 39. Bersani al 37.

Perché?

Esiste una domanda latente. Esiste un’Italia pacata, civile, che crede nelle Istituzioni, che continua a nutrire fiducia nel futuro. Questa Italia guarda al Quirinale.

Dalla trincea dei grandi giornali e delle televisioni al Colle. Come è avvenuto questo passaggio?

Avevo conosciuto Ciampi nel 1970 ed ero diventato suo amico molti anni prima, durante un lungo reportage fra i grandi dell’economia di tutto il mondo che finì in un libro, il mio Viaggio fra gli economisti compiuto con Alberto Ronchey. Un anno di lavoro, difficile e appassionante, la mia inchiesta più lunga. Era nato un rapporto di stima e di amicizia. Fu così che mi chiamò al Quirinale al momento della sua elezione. Quando arrivò Napolitano, di cui pure ero già amico, ho avuto modo di restare.

Niente di tanto speciale, forse, starsene qui dopo aver girato tutto il mondo.

Al contrario, per me è un’esperienza straordinaria. Ho imparato a conoscere l’Italia e ad amarla come mai prima ero riuscito a fare.

Come?

All’inizio della presidenza di Carlo Azeglio Ciampi abbiamo intrapreso assieme un viaggio affascinante: vistare assieme tutte le provincie italiane per due volte ciascuna. Centoquattro missioni al suo fianco per cercare di capire l’Italia di oggi. Lui incontrava la gente, io prendevo appunti. A volte penso di essere l’ultimo giornalista a prendere appunti sul quadernetto.

E come trovi l’Italia di oggi?

L’Italia vera è molto meglio di quanto non appaia e di come non la raccontino i giornali. Il paese reale è meno litigioso del suo mondo politico. Lavora tanto da costituire la seconda realtà industriale d’Europa. Esprime vitalità in campo economico e nel suo modo di affrontare le crisi. E se l’economia sommersa rappresenta una percentuale impressionante, attorno al 20 per cento del prodotto nazionale, se si fa meno ricerca organizzata, ci sono pure importanti fattori di compensazione che consentono un recupero.

Come erano organizzati questi viaggi nell’Italia profonda?

Abbiamo cercato di parlare con la gente e con i loro rappresentati. Con i sindaci, con i presidenti di Regioni e Province, con i prefetti, con i vescovi. Ho conosciuto professionalità eccezionali. Mi sono chiesto molte volte se valessero più i prefetti e i vescovi. E non ho mai smesso di stupirmi del patrimonio di diversità imprenditoriale e spirituale si possa incontrare in questo paese. Anche fra i vescovi. La mia esperienza di giornalista della vecchia guardia mi ha forse aiutato a trovare le domande giuste, ad ascoltare risposte tanto diverse.

Il tuo è l’itinerario straordinario di un ebreo italiano, o solo di un grande giornalista ebreo per caso?

Anche io ho goduto indirettamente del beneficio della grande spinta propulsiva della fine dei ghetti. I nostri antenati si erano giovati di quella grande carica che fu la caduta delle barriere, della voglia di dimostrare di essere bravi come gli altri, e anche di più. Della spinta propulsiva di potersi impegnare nella società civile. Gli ebrei italiani hanno dato molto a questo paese, e per molto tempo hanno vissuto in un ambiente aperto e tollerante. Gli anni bui delle persecuzioni e per la mia famiglia dell’esilio si sono poi risolti con una rinascita dell’orgoglio identitario.

Nella tua autobiografia Un paese non basta ti descrivi come un cittadino del mondo, ma definisci contemporaneamente le tue radici come “ebraiche, italiane e modenesi”.

Parlo del calore dei sentimenti e di una certa inconsueta vigoria delle passioni umane, non disgiunta da doti di tolleranza. Una grande pacata accettazione del dolore, che è fonte non di rassegnazione, ma di tenace coraggio. E una comune bontà degli animi di fronte ai perseguitati, ai fuggiaschi. In queste virtù salde, i miei antenati, formatisi sullo studio della Torah, si riconoscevano facilmente e fu facile sentirsi insieme ebrei, italiani e forse soprattutto modenesi come tutti gli altri.

Quando il leader libico Gheddafi chiese senza ottenerlo all’editore della Stampa il tuo licenziamento attaccandoti per la tua identità ebraica e per aver combattuto assieme a molti giovani italiani per l’indipendenza di Israele, eri il direttore di uno dei grandi e prestigiosi giornali italiani. Vieni da un mondo di quotidiani autorevoli. Riesci a ancora a riconoscerti nella mutazione delle grandi testate italiane?

Certo, forse se dipendesse da me non farei i giornali come li trovo oggi in edicola. Non sarei capace di cucinare otto pagine di scandali. Cercherei un’Italia che credo più vera e che è diffusa sul territorio, non si trova a Roma. Ma resto ottimista, e non posso sopportare il piglio nostalgico. Ma devo anche ammettere che un grande giornale ha dietro un grande editore. Ho avuto la fortuna di avere per editore un imprenditore che amava avere giornali autorevoli. Da Torino si veniva a Roma solo una volta l’anno e si evitava di intrattenere rapporti con la buona società cittadina. Gianni Agnelli non mi ha mai chiesto di leggere un articolo prima della pubblicazione. Quando ci si incontrava si parlava di tutto, ma non del giornale. C’era intesa, fiducia e rispetto reciproco. Non serviva altro. Ed è tutto quello che come giornalisti possiamo desiderare.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche dicembre 2010 


(Nell'immagine Arrigo Levi con l'allora Presidente UCEI Renzo Gattegna)

 

L'ANNIVERSARIO E L'IMPEGNO DELL'EBRAISMO ITALIANO

"Amatrice, una ferita ancora aperta"

A quattro anni dal terribile sisma che la distrusse, Amatrice e le altre località colpite restano nel cuore degli italiani. Una ferita che si rimarginerà, ha detto oggi il Premier Giuseppe Conte durante la sua visita in quei luoghi, “solo con la completa ricostruzione”.
Grande l’impegno profuso dall’ebraismo italiano per esprimere solidarietà concreta. Indimenticabili restano in particolare le emozioni legate all’inaugurazione, nel luglio di tre anni fa, di un campo di calcetto donato dall’UCEI agli abitanti della frazione di Scai. Il primo impianto che tornava disponibile per le popolazioni terremotate. Una giornata di sport, quindi, ma soprattutto di vita e speranza. “La partita riprende”: uno slogan valido dentro e fuori dal campo.
“Si tratta – affermava Noemi Di Segni, Presidente UCEI – di un piccolo gesto, di una goccia nell’oceano dell’emergenza, ma spero che possa rinnovare la speranza e la fiducia nel futuro. La natura è dei suoi luoghi – non sceglie le sue creature – può essere materna o matrigna e sta proprio a noi, figli del creato, saper vivere e sopravvivere nei loghi dove abbiamo le nostre radici”.

 

PAGINE DI LETTERATURA CON ALBERTO CAVAGLION 

Augusto Monti, professore di antifascismo

Nonostante negli anni ’30 il liceo fosse in larga parte molto fascistizzato, ci furono professori in grado di trasmettere ai propri studenti quegli anticorpi necessari a combattere la dittatura. Tra questi, racconta Alberto Cavaglion nella nuova puntata di "pagine di letteratura", Augusto Monti. “Professore del Liceo D’Azeglio di Torino - racconta - Monti è stato un grande insegnante, un grande professore di lettere classiche e appartiene a quella generazione di professori che furono le guide spirituali del miglior antifascismo”. Monti l’antifascismo lo insegnò sui banchi di scuola, accompagnando i suoi studenti a comprendere i grandi autori classici e la loro libertà di pensiero ma anche scrivendo di suo pugno racconti carichi di valori risorgimentali e al contempo lontani dalla retorica fascista.

PAGINE EBRAICHE - DOSSIER "LIBRI IN VALIGIA"

Quando la sposa cambia idea

Per chi è in partenza, quali libri porterete in valigia? Come redazione, con l’aiuto di alcuni amici e collaboratori, ci siamo permessi di darvi qualche suggerimento nel dossier di agosto di Pagine Ebraiche, “Libri in valigia”, spaziando su vari temi e fronti. Di seguito il suggerimento di Sarah Kaminski. 

La storia di grande scrittrice di Ronit Matalon ha inizio nel 1989 con un romanzo per ragazzi e per adulti sempre giovani. Il racconto si apre sul funerale di un serpente, in cui inserisce la propria biografia di ragazzina sensibile e cocciuta: nasce da una coppia di profughi dall’Egitto che si insediano nel paesino Ganei Tikva, un agglomerato di baracche tra i rovi, sito ai margini del quartiere di lusso Savion, in cui negli anni ’60 e ‘70 abitavano gli esponenti della crème de la crème ashkenazita di Israele. La ragazzina protagonista del libro alla fine ce la fa, proprio come Ronit; supera i pregiudizi degli insegnanti che avevano decretato “Margalit è adatta solo alla scuola professionale” e diventa un’importante docente universitaria e scrittrice. Purtroppo Ronit ci ha lasciati due anni fa dopo una lunga malattia all’età di 57 anni e non sarebbe definibile banale provare una sincera nostalgia per un’autrice che ci ha dato come ultimo capolavoro la novella acuta e divertente che vi propongo. La protagonista è Marghi, una giovane sposa che dietro ad una porta chiusa a chiave dichiara a mamma, nonna e nipote seduti nei loro abiti eleganti, con l’aria disperata: “Io non mi sposo! “Mancano poche ore alla festa, la sala è pronta per accogliere 500 ospiti come è d’uso in Israele, il rabbino è stato pagato in anticipo e quella testarda di Marghi ha cambiato idea. Non servono le parole amorose dello sposo Mati, la breve conservazione con la psicologa specializzata in “spose pentite” e condotta dalla gru chiamata d’urgenza e appoggiata alla finestra della sposa. Il romanzo è una vera commedia degli equivoci, una insalatona di personaggi del quotidiano israeliano che ha per ingredienti la suocera snob, il poliziotto zelante, il palestinese addetto alla gru e la nonnina marocchina Savtuni, che essendo un po’ fuori di testa dice le cose come stanno e con il suo canto della famosa cantante libanese Fairuz, innalzato a notte fonda, convince la sposa ad aprire finalmente la porta.

Sarah Kaminski, dossier “Libri in valigia” Pagine Ebraiche agosto 2020

Il limite oltrepassato 
Un giornale canadese in lingua polacca, Glos Polski, pubblicato da Wieslaw Magiera, scrive in prima pagina che l’epidemia di Covid 19 è opera degli ebrei. La mente ci torna alla Peste Nera del 1348 e alle comunità ebraiche sterminate nel 1348 sulla base dell’accusa di spargere la peste. È vero che il giornale in questione dice anche nello stesso articolo che Lenin, Goebbels e Erdogan erano o sono segretamente ebrei, che gli ebrei hanno il disegno di conquistare la Polonia per trasformarla in Judeo-Polonia, e altre amenità del genere. Ma non basta dire che sono follie.
Anna Foa
Oltremare - Il rumore degli spalti
Il rumore, i cori, i fischi, le parolacce, tutto quello che esce dagli spalti di un normale stadio di un normale paese e viene recepito dalle dirette, ecco qualcosa che non mi ha mai colpito più di tanto, salvo in caso di cori razzisti e allora per me si può tranquillamente uscire dallo stadio o spegnere la televisione, e togliere il pallone a quei ventidue giovanotti in calzoncini, che vadano a insegnare la tolleranza ai loro tifosi se proprio ci tengono a calciare un pallone. Essere d’esempio, una cosa d’altri tempi e di altra altezza etica, ma non di questo voglio parlare oggi.
Daniela Fubini
Controvento - Populismo, una storia antica
L’estate è il momento ideale per riscoprire libri che avevamo messo da parte e dimenticato sugli scaffali, presi dalle urgenze del quotidiano. Nel mio caso la felice sorpresa, complice un incidente che mi ha immobilizzata per qualche settimana, è stata la trilogia di Robert Harris su Cicerone (Imperium, Conspirata, e Dictator, editi in Italia da Mondadori).
Tre libri straordinari per ritmo, suspense, colpi di scena, intelligenza, ma soprattutto per quello che la Storia ha da raccontarci sull’attualità.
Viviana Kasam
Arrigo Levi (1926-2020)
Arrigo Levi, grande uomo, grande sionista, grande repubblicano, amico personale di cui conservo vari ricordi. Il primo quando lo incontrai al semaforo di Piazzale delle Belle Arti a Roma. Avevo 14 anni e gli chiesi un passaggio autostop per portarmi a casa. Senza conoscerlo prima, riconosciuto al semaforo, finestrino aperto, mi presentai come Coen e gli chiesi se come Levi poteva portarmi a casa senza farmi prendere l’autobus.
Dario Coen
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