Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui      13 Ottobre 2020 - 25 Tishri 5781
LA RIFLESSIONE

La sfida del Covid al nostro modo di essere ebrei

Il Talmud (Sukkah 27b) riporta un’interessante controversia a proposito della festa di Sukkot appena trascorsa. È lecito durante la ricorrenza trasferirsi da una Sukkah all’altra? In altri termini, sono autorizzato ad accogliere l’invito di un parente o di un amico e recarmi a pranzo nella sua Sukkah, sebbene così facendo trascuri la mia? R. Eli’ezer proibisce, mentre la maggioranza dei Maestri lo permette. Secondo una lettura la discussione verte su due interpretazioni contrapposte dello stesso versetto: “Farai la festa di Sukkot per sette giorni” (Devarim 16,13). R. Eli’ezer legge il versetto in relazione alla Sukkah e ne deduce che la stessa Sukkah deve essere adoperata per l’intera settimana, mentre i Chakhamim lo intendono diversamente (cfr. ‘Arokh ha-Shulchan O.Ch. 637,1). È possibile che la discussione non sia solo esegetica, ma anche concettuale: per R. Eli’ezer conterebbe nella Sukkah il valore della continuità (prospettiva diacronica), mentre per i Maestri sarebbe invece più importante il fattore della condivisione (prospettiva sincronica). In ogni caso la Halakhah è stabilita secondo l’opinione della maggioranza: abbiamo cioè il permesso di passare da una Sukkah all’altra.
Quest’anno in Israele è stato dichiarato un nuovo lockdown in occasione dei Mo’adim. Il governo ha disposto fra l’altro una multa pesante proprio per chi avesse accolto un invito a pranzo fuori dalla propria Sukkah. Lo scopo era ovviamente limitare al massimo le relazioni sociali per arginare l’epidemia che proprio in Israele ha raggiunto dimensioni allarmanti. Leggendo il fatto di cronaca in una dimensione halakhica emerge un paradosso. Lo Stato invita per così dire a una linea di comportamento conforme all’opinione minoritaria e fortemente restrittiva di R. Eli’ezer anziché quella maggioritaria e conciliante dei Chakhamim! Il paradosso è ancora più evidente se si considera che una delle ragioni per cui l’opinione del primo non è in genere accolta come normativa (a parte alcuni casi: cfr. Niddah 7) è che R. Eli’ezer era stato discepolo della scuola di Shammay (Shammutì)! Viviamo in un mondo letteralmente stravolto, altro che travolto, dalla pandemia. Anzitutto basti pensare ai capovolgimenti linguistici: oggi chi è negativo è positivo e viceversa chi è positivo dà un segnale di negatività. Persino la Halakhah viene paradossalmente (torno a dire: la mia è un’osservazione sarcastica e non reale) percepita nei termini di una inversione di tendenza: Shammay sembra quasi prevalere su Hillel!
Finora in Italia siamo stati dei grandi privilegiati. A Torino, per esempio, le Tefillot delle feste si sono sempre svolte con sostanziale regolarità nel rispetto delle disposizioni vigenti, in un clima di serenità e fiducia, senza allontanare nessuno, né ingenerare sospetti. Dobbiamo di ciò essere grati ai nostri dirigenti comunitari che con grande tatto e lungimiranza hanno saputo affrontare una situazione potenzialmente insidiosa su due fronti contrapposti: il rischio sicurezza da un lato, il rischio disaffezione dall’altro. Il peggio è stato evitato anche grazie alla comprensione da parte della base che ha interiorizzato il senso dei provvedimenti adottati adattandosi ai piccoli disagi che la situazione avrebbe potuto comportare. Anche i privati cittadini, gli “iscritti” come li chiama la nostra burocrazia, meritano pertanto gratitudine per il sentimento civico non comune dimostrato.
Non voglio tuttavia limitarmi alle nostre Comunità. Sforzandomi di trarre un bilancio e una prospettiva dalle difficoltà del presente, mi sia consentito uno sguardo più ampio, considerando il panorama dei grandi centri dell’ebraismo a livello mondiale. La pandemia ha messo in luce anche qui delle criticità non da poco, prodromi, sperabilmente, di una visione necessariamente nuova delle cose.
Non sono charedì, ma ho spesso nutrito una certa ammirazione, aldilà di tanti spigoli, per coloro che scelgono di vivere un ebraismo senza compromessi nei limiti del possibile, e come me credo anche altri ebrei più o meno osservanti. Tuttavia oggi proprio quel modello deve affrontare una crisi profonda, forse irreversibile. I charedim che nelle vie di Benè Beraq e di Brooklyn calpestano e bruciano le proprie mascherine, manifestando contro un ordine statale cui attribuiscono la responsabilità del pandemonio che tutti stiamo vivendo, protestano in realtà solo contro se stessi. I charedim, infatti, nella tenacia di mantenere vive le strutture associative dell’ebraismo tradizionale, muoiono come gli altri e forse più e prima degli altri. Ma questa volta sarà arduo sostenere nel loro caso la tesi del martirio ‘al qiddush ha-Shem. La minaccia attuale non viene infatti né dal modernismo assimilazionista, né da un regime persecutore che deporta gli inermi verso campi di sterminio. Oggi l’attacco viene non dall’uomo ma, ki-v-yakhol, per così dire, da D. stesso che “colpisce e guarisce” (Hoshea’ 6,1) senza più distinguere, come cantava Ribò, fra Israele, Esaù e Ismaele. E nei confronti di D. non ha senso far leva sui nostri sani e solidi principi. Ci tocca interiorizzare che la Mitzwah di salvaguardare la salute non è certo inferiore ad altre. Il modello charedì manifesta una palese inadeguatezza a gestire una emergenza vitale. Questa è a mio avviso la principale sfida del coronavirus all’ebraismo contemporaneo e forse anche una rivoluzione. La pandemia pone a tutti nuove domande a livello esistenziale. Chissà che il metabolismo del tempo non ci aiuti a trovare nuove risposte anche a questi interrogativi. La società ebraica, parallelamente a quella generale, è in attesa di queste risposte. Che non sia giunta l’occasione per mettersi seriamente al lavoro?

Rav Alberto Moshe Somekh

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LA DELICATA MISSIONE PER DEFINIRE I RISPETTIVI CONFINI MARITTIMI

Israele e Libano, prove di dialogo

Cauto ottimismo. È quello che si respira nella delegazione israeliana che incontrerà nelle prossime ore la controparte libanese per discutere – e trovare un accordo – sulla definizione dei rispettivi confini marittimi. “Se la controparte si presenterà ai colloqui con un approccio pragmatico, spero riusciremo a risolvere la controversia in breve tempo”, le parole di un alto funzionario del ministero dell’Energia israeliano ai giornalisti nel corso di un briefing sulla delicata missione. “Naturalmente, se dall’altra parte arriveranno con l’intenzione di raggiungere un’altra vittoria sul ‘nemico sionista’, allora possono continuare a celebrare le vittorie come hanno fatto negli ultimi 10 anni” ha aggiunto ironicamente il funzionario, parlando a condizione di anonimato.

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L'ANNUNCIO DI ZUCKERBERG 

Facebook e la svolta sui post negazionisti
'Vigileremo affinché parole diventino fatti'

“Il mio pensiero, così come le nostre politiche più ampie sull’incitamento all’odio, si sono evolute quando ho visto i dati che mostrano un aumento della violenza antisemita. Tracciare le giuste linee tra ciò che è e non è un discorso accettabile non è semplice, ma considerato lo stato attuale del mondo credo che questo sia il giusto equilibrio”. Dopo anni di irresponsabile gestione, Facebook sembra voltare pagina. Sul popolare social network ideato da Mark Zuckerberg non sarà più legittimata la pubblicazione di post e documenti in cui si nega la Shoah. Almeno così ha annunciato il suo fondatore, spesso sotto accusa per lo scarso argine posto davanti alle parole d’odio, ai contenuti razzisti e antisemiti che impunemente imperversano da anni su questo e altri social. 
Un tema di cui quello che un tempo era celebrato come “l’ebreo più influente della contemporaneità” non era certo all'oscuro. Nel 2018, in una intervista con il sito Recode, gli fu infatti chiesto: “Zuckerberg, lei dice che vuole dare una voce a tutti. Ma cosa succede quando chi scrive nega la Shoah”?. La priorità, rispondeva l’intervistato, è “la libertà di espressione, anche di chi è nel torto”.
In seguito, raggiunto da una massiccia contestazione, Zuckerberg precisava: “C’è una cosa su cui voglio essere chiaro. Ritengo la negazione della Shoah profondamente offensiva, e non volevo assolutamente difendere le persone che negano quanto è accaduto”. Nonostante ciò, i post negazionisti hanno continuato a circolare senza ostacoli di sorta. 
La svolta di queste ore, seguita con attenzione anche dall’ufficio di presidenza UCEI, sembra il preludio a un cambio di passo.

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LA CERIMONIA  

La gioia di un nuovo Brit Milà

Dopo le festività di Sheminì Atzeret e Simchat Torah la Comunità ebraica di Bologna ha proseguito la gioia con un brit milà, una circoncisione.
La prima sera di Sukkot è infatti nato Elia Chajjm Huna, figlio di una giovane coppia di israeliani che vivono a Bologna e sono iscritti alla nostra Comunità.
Al brit milà avvenuto ieri mattina hanno partecipato, oltre agli ebrei bolognesi, anche numerosi ragazzi e ragazze israeliani che hanno portato ulteriore simchà.
Non accade spesso in una piccola Comunità che, il giorno dopo l’ultima festività del calendario ebraico e con l’ingresso del nuovo anno, si proseguano i festeggiamenti, proprio in occasione di una milà. Possano queste gioie moltiplicarsi in mezzo al nostro popolo e portare simchà e berakhà a tutti noi. Mazal tov ai genitori!


Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna 

 

Grande gioia anche a Torino, dove - come vi abbiamo raccontato ieri -  due sono stati i Brit Milah celebrati lo stesso giorno. Quello di Daniel Cesare Guido Ottolenghi è stato celebrato sulla Tevah del Tempio Grande di Torino, di fronte all’Aron ha Kodesh, subito dopo la Tefillà mattutina, mentre, poche ore dopo, si è tenuto, tra le mura domestiche, quello di Giorgio Ofir Raso. Moel, per entrambi, alla presenza di rav Ariel Di Porto e di rav Alberto Somekh, il dottor David Pavoncello, medico chirurgo di Roma, venuto a Torino prima di Moed per visitare i bambini e valutare la possibilità di effettuare le Milot, operando in tranquillità.

LA CONFERENZA

Memoria, cardine dell'ebraismo

L'integrità della Memoria come pilastro dell'ebraismo. Se ne parlerà in occasione di un confronto organizzato per questa sera, a partire dalle 19, da Solomon - Osservatorio sulle discriminazioni e Unione Giovani Ebrei d'Italia. 
"La Shoah e gli altri genocidi" il titolo della conferenza, che andrà in diretta sulle pagine Facebook di Ugei e Hatikwa e avrà come relatori il rav Roberto Della Rocca, direttore del Dipartimento Cultura UCEI; l'assessore alla Cultura dell'Unione David Meghnagi; la docente universitaria Alessandra Tarquini; l'ambasciatore Luigi Maccotta, capo delegazione italiana all'Ihra.
A moderare l'incontro il giurista Emanuele Calò. 


Rassegna stampa

Le nuove misure anti-Covid
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Il massacro e l'indifferenza
È passato più di un secolo dal massacro sistematico degli armeni ad opera del governo ottomano. Un genocidio a pieno titolo, programmato e portato a compimento con tutti i crismi della disumanità.
Fucilazioni, annegamenti di massa, gasamenti, inoculazioni di tifo, sovradosaggi di morfina: tutte le varianti della malvagità. I nazisti ebbero di che studiare e apprendere.
Il governo turco non ne ha mai riconosciuto la responsabilità, quindi nessuna elaborazione della colpa, nessuna individuazione dei colpevoli, nessuna metabolizzazione della crudeltà. Il genocidio armeno è come se non fosse mai avvenuto.
Dario Calimani
L'Uruguay e l'Onu
Il 14 settembre 2020 il Consiglio Economico e sociale dell’Onu (Ecosoc) ha votato l’ennesima risoluzione di condanna ad Israele, in cui “ribadisce che l’occupazione israeliana costituisce un ostacolo grave per la realizzazione dei diritti, per il progresso, l’autonomia, l’integrazione e lo sviluppo sociale delle donne palestinesi”.
Il Comitato Centrale Israelitico dell’Uruguay, a tale riguardo, si è chiesto, nella sua pagina web se, visto che secondo gli Accordi d’Oslo, nelle zone A e B, l’autorità civile è quella palestinese, non si dovesse chiedere ad Hamas e all’Anp di tutelare le donne palestinesi.
Emanuele Calò
L'antirazzismo della formazione
Alba Dorata, il famigerato gruppo politico neonazista greco, è stato dichiarato fuori legge dalla giustizia ellenica; è divenuto ufficialmente una associazione a delinquere, una struttura criminale. Si tratta di un grande traguardo di civiltà per la Grecia e per l’Europa intera, che finalmente hanno concrete armi giuridiche per combattere una delle organizzazioni più pericolose tra i seminatori di odio del nostro continente. Davanti a un traguardo di questo rilievo si impongono alcune considerazioni.
David Sorani
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