Facebook e la svolta sul negazionismo
‘Vigileremo perché si passi ai fatti’

“Il mio pensiero, così come le nostre politiche più ampie sull’incitamento all’odio, si sono evolute quando ho visto i dati che mostrano un aumento della violenza antisemita. Tracciare le giuste linee tra ciò che è e non è un discorso accettabile non è semplice, ma considerato lo stato attuale del mondo credo che questo sia il giusto equilibrio”. 
Dopo anni di irresponsabile gestione, Facebook sembra voltare pagina. Sul popolare social network ideato da Mark Zuckerberg non sarà più legittimata la pubblicazione di post e documenti in cui si nega la Shoah. Almeno così ha annunciato il suo fondatore, spesso sotto accusa per lo scarso argine posto davanti alle parole d’odio, ai contenuti razzisti e antisemiti che impunemente imperversano da anni su questo e altri social. 
Un tema di cui quello che un tempo era celebrato come “l’ebreo più influente della contemporaneità” non era certo all’oscuro. Nel 2018, in una intervista con il sito Recode, gli fu infatti chiesto: “Zuckerberg, lei dice che vuole dare una voce a tutti. Ma cosa succede quando chi scrive nega la Shoah”?. La priorità, rispondeva l’intervistato, è “la libertà di espressione, anche di chi è nel torto”. In seguito, raggiunto da una massiccia contestazione, Zuckerberg precisava: “C’è una cosa su cui voglio essere chiaro. Ritengo la negazione della Shoah profondamente offensiva, e non volevo assolutamente difendere le persone che negano quanto è accaduto”. Nonostante ciò, i post negazionisti hanno continuato a circolare senza ostacoli di sorta. 
La svolta di queste ore, seguita con attenzione anche dall’ufficio di presidenza UCEI, sembra il preludio a un cambio di passo. Il risultato di un importante lavoro di pressione.
Tra gli enti che rivendicano un successo c’è l’Anti-Defamation League, ong ebraica fondata nel 1913 che in estate è stata tra le promotrici della campagna “Stop hate for profit” che ha portato vari colossi industriali e pure diverse star di Hollywood a sospendere la propria attività pubblicitaria su Facebook. Una protesta anche simbolica ritenuta necessaria dopo che, per anni, Zuckerberg ha rifiutato ogni forma di collaborazione. 
“Facebook ha fatto entrare nelle nostre case e nelle nostre vite alcuni dei peggiori elementi della società” l’accusa di Jonathan Greenblatt, dal 2014 alla guida dell’Anti-Defamation League. Le dichiarazioni sono oggi di diverso tenore. Si riconosce a Facebook il fatto di aver colto la criticità di un problema assai lungamente eluso. Ma si avverte anche che la vigilanza sarà stretta affinché dalle parole si passi davvero ai fatti. 

(13 ottobre 2020)