Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     19 Febbraio 2021 - 7 Adar 5781
IN LIBRERIA IL TESTAMENTO SPIRITUALE DEL RAV SACKS

"Senza moralità non c'è futuro"

“Non apparterrà mai al passato”. Nel giorno doloroso del commiato, rav Ephraim Mirvis, rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth, salutava il suo predecessore rav Jonathan Sacks con queste parole.
Rabbino, intellettuale e formidabile comunicatore, rav Sacks ha scritto svariate decine di libri e trattati. Morality: Restoring the Common Good in Divided Times, uscito in lingua inglese nel 2020, quando l’intera umanità precipitava nell’incubo della pandemia, è tra le sue prove più alte. Una sorta di testamento spirituale in cui il rav, scomparso in novembre all’età di 72 anni, si confronta con i grandi temi del presente declinando in modo magistrale la lezione particolare e al tempo stesso universale dell’ebraismo, ma anche rifacendosi ad illustri pensatori di altre tradizioni, correnti, visioni del mondo.
Moralità. Ristabilire il bene comune in tempi di divisioni, la versione italiana in libreria grazie alla casa editrice Giuntina, che ne ha affidato la traduzione a Rosanella Volponi, è un libro da non perdere e che guarda lontano, molto lontano. Anche a un mondo post-pandemia in cui la sfida sarà quella di “ricostruire le nostre vite insieme” non gettando alle ortiche quello che abbiamo comunque imparato in questi mesi d’isolamento e distanziamento.
Non c’è praticamente argomento sul quale il rav non si soffermi, attingendo anche da quello che, nell’introduzione, definisce il suo primo amore: la filosofia morale appresa al tempo degli studi universitari.
Ama il tuo prossimo. Ama lo straniero. Ascolta il grido di chi altrimenti è inascoltato. Affranca il povero dalla povertà. Abbi a cuore la dignità di tutti. Fa’ che coloro che hanno più di quanto abbiano necessità condividano le loro benedizioni con coloro che hanno meno. Dai da mangiare agli affamati, dai una casa a chi non ce l’ha e cura i malati nel corpo e nell’anima. Combatti l’ingiustizia, da chiunque sia praticata e contro chiunque sia perpetrata.
E fai queste cose, sottolinea il rav Sacks, “perché, essendo umani, siamo moralmente obbligati da un patto di solidarietà umana, indipendentemente dal colore della pelle o dalla cultura, dal ceto o dal credo religioso”.
Dai social network alla politica, dalla sfida della convivenza al ritorno della gogna pubblica: il viaggio compiuto dal grande rabbino attraversa un ampio spettro di questioni e problemi aperti.
Lezioni di grandi personaggi del nostro tempo si intrecciano costantemente ad esperienze e incontri personali. Come quello con la signora della Silicon Valley che, mentre stanno realizzando un podcast insieme, gli parla della dipendenza da social dei figli, del loro uso smodato del web e delle tecnologie.
Così rav Sacks ricorda quel confronto: “La decisione presa fu che un giorno alla settimana sarebbe stato libero da ogni tipo di schermo: niente telefoni, niente tablet, niente computer portatili, solo comunicazione faccia a faccia, insomma stare insieme. ‘Le piacerà il nome che abbiamo dato a quel giorno’, disse. ‘Abbiamo deciso di chiamarlo shabbat’. Aveva ragione. Mi piacque l’ironia. Trentatré secoli fa Mosè liberava gli israeliti dalla schiavitù d’Egitto. Ora, la stessa istituzione liberava dei giovani dalla schiavitù degli smartphone. Abbiamo bisogno di questa liberazione”.
Lo sottolineava già alcuni anni fa, in una grande intervista con Pagine Ebraiche in cui anticipava alcune tendenze di cui si coglievano allora i primi segni. “La tecnologia e internet – sosteneva al riguardo – sono un potentissimo strumento che permette di educare. Ma dall’altra parte in questa dimensione c’è un forte pericolo di incentivare la paranoia. Il contatto personale è minacciato, qual è il contatto che può esserci davanti a uno schermo? Il monitor ha un effetto divisore, le persone non stanno più realmente insieme, ma solo virtualmente. Il rapporto umano è molto importante nelle relazioni e per il futuro della nostra società”.
Tra i temi che affronta c’è anche la difesa della civiltà, da intendersi come qualcosa di molto più alto e complesso di un mero compendio di buone maniere. “È il riconoscimento – spiega con illuminanti parole – che un discorso violento conduce ad azioni violente; che ascoltare rispettosamente i tuoi avversari è una parte necessaria della politica di una società libera; e che la democrazia liberale, fondata così com’è sulla dignità della diversità, deve mantenere la pace tra i gruppi contendenti rispettandoci tutti ugualmente, sia nelle nostre diversità che nelle cose che abbiamo in comune”.
Un valore che, a detta del rav Sacks, appare oggi sempre più minacciato. A livello di classe politica e per riverbero nell’insieme della società. “Qualcosa di nuovo – riflette angosciato – sta accadendo: la sensazione che l’altra parte non sia pienamente umana, che i suoi sostenitori non facciano parte come noi della stessa comunità morale, che in qualche modo le loro sensibilità siano estranee e minacciose, come se non si trattasse dell’opposizione all’interno dell’arena politica, ma il nemico e basta”.
Un vento d’odio di cui si nutre il populismo, capace forse di offrire “reali vantaggi nel breve termine” ma che, alla prova dei primi veri problemi, finisce per agire con la classica modalità del capro espiatorio a cui i leader populisti possano “dare la colpa per il loro fallimento: l’élite, i media, gli immigranti, i musulmani, gli ebrei”. La premessa per la costituzione di un vortice di autoritarismo “che spazza via i diritti, la giustizia e la stessa libertà”.
Nel libro si fa comunque strada la speranza, intesa come processo di maturazione consapevole e attivo. Un concetto al quale aveva dedicato la parte centrale di un magistrale intervento tenuto in aprile, nell’ambito dei TedTalks, in quella che è stata una delle sue ultime apparizioni pubbliche: “L’ottimismo – aveva spiegato allora – è la fiducia nel fatto che le cose miglioreranno. La speranza è la convinzione che se lavoriamo abbastanza duramente riusciremo migliorare le cose. Per essere ottimisti non ci vuole coraggio anzi c’è una buona dose di ingenuità. Ma ci vuole molto coraggio ad avere speranza. Io cerco di portare un messaggio di speranza e non di ottimismo”.
Un messaggio di cui il Moralità è permeato dalla prima all’ultima pagina.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

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