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PAGINE EBRAICHE DI MAGGIO - L'INTERVISTA A FRANK LONDON

“Venezia, cuore del mondo”

Alcuni anni fa, invitato come artista in residenza, Frank London componeva la musica della prima storica messinscena del Mercante di Venezia in Campo di Ghetto.
Un appuntamento tra i più rilevanti del ricco calendario di eventi approntato per i 500 anni dall’istituzione di quello che fu, per secoli, non il pittoresco quartiere che oggi ci appare ma un luogo di costrizione. E ciò nonostante un centro pulsante di vita, identità e creatività.
Iniziava, in quei giorni, una felice collaborazione con l’associazione “Beit Venezia. Casa della cultura ebraica”. Il suo frutto più significativo lo possiamo cogliere in queste settimane con la pubblicazione del cd Ghetto Songs. Partendo dal cuore della Laguna, un viaggio in musica che abbraccia anche altri ghetti di ieri e di oggi per trasmetterci un messaggio di consapevolezza, impegno e speranza.

Perché Venezia? Che cos’ha di così speciale?
Non si può che partire da qui. Intanto perché la parola ‘ghetto’ nasce proprio a Venezia, dal nome dell’area dell’antica fonderia (geto) che fu scelta a questo scopo. E poi, ancor più importante, per la straordinaria prova di resistenza di cui gli ebrei veneziani furono capaci di generazione in generazione. Mai si smise di studiare e produrre cultura ad alto livello, andando a influenzare, attraverso molteplici strade, anche la società esterna. È una storia che conoscevo solo a grandi in linee e in modo superficiale. Oggi, colmate varie lacune, ne sono innamorato. Non sarebbe potuto avvenire senza una conoscenza diretta dei luoghi, senza una immersione a fondo nel quartiere e nei suoi simboli. Anche di questo sono grato a Beit Venezia, che mi ha guidato e stimolato in questa scoperta.

Ghetto Songs si apre con il brano Amore an, composto per la produzione del Mercante di Venezia. A cosa è ispirato?
All’opera di Angelo Beolco, noto anche come Ruzante, che nel Cinquecento scrisse varie commedie in lingua pavana affrescando in modo vivido la quotidianità della campagna veneta. È anche un omaggio all’Italia, al suo estro e alla sua vivacità. A partire dal genio di Fellini.

Il viaggio prosegue con O dolcezz’amarissime, dedicato a uno dei più grandi interpreti ebrei dell’epoca rinascimentale: Salomone de’ Rossi.
Forse il più grande in assoluto, attivo non solo presso la corte mantovana dei Gonzaga ma anche a Venezia. In Laguna pubblicò le sue raccolte musicali e interagì con il rabbino Leone Modena e forse anche con Sara Copio Sullam. Due figure indimenticabili che sono il simbolo di un’epoca e della sua capacità di infrangere le barriere e le divisioni da altri imposte.

Dall’Italia alla Polonia nel segno di Mordechai Gebirtig, il più importante compositore di musica folk yiddish, e della sua struggente canzone “Minutn fun bitokhn”.
Gebirtig fu assassinato a Cracovia il 4 giugno del 1942, nel famigerato Giovedì di sangue. Minutn fun bitokhn, cioè “Momenti di speranza”, fu scritto nel ghetto in cui gli ebrei furono a lungo confinati dai nazisti. È un testo che, con le sue parole di sfida, incoraggia a essere pazienti e forti nella certezza che giustizia verrà fatta.

 

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PAGINE EBRAICHE - L'INTERVENTO DI RAV ALBERTO MOSHE SOMEKH

Monte Meron, il dramma e la superstizione
Restare in silenzio non è la strada

“Vi sono eventi dinanzi ai quali chi detiene una responsabilità politica, morale o religiosa sente di dover intervenire”.
Così esordivo quattro anni fa su queste stesse colonne (Pagine Ebraiche, agosto 2017) commentando quanto avvenuto quel 3 giugno in Piazza San Carlo a Torino durante la diretta di un importante evento calcistico: il panico suscitato da un falso allarme produsse un morto e oltre millecinquecento feriti fra la numerosa folla. Gli amministratori sono poi stati giudicati e condannati, sindaca in testa. Ora mi duole tornare a parlarne in seguito ad un evento simile accaduto poche settimane fa, con la differenza che questa volta si è trattato di una manifestazione religiosa del popolo ebraico (cfr. ‘Avodah Zarah 31b). Mi riferisco ai 45 morti, alcuni dei quali in giovane età, durante il tradizionale pellegrinaggio al Monte Meron, vicino a Safed, la sera di Lag ba-’Omer. Molti di noi hanno reagito proponendo un velo di silenzio sulle responsabilità della tragedia. Non sono d’accordo. È vero che per morti e feriti non deve mai mancare la Tefillah: nessuno la nega, ma mi rifiuto di pensare che ciò basti.
Il potere distruttivo della calca è ben noto al Tanakh: ai tempi del Profeta Elishà’ si narra di quell’uomo che non credeva che D. potesse revocare una carestia e morì travolto dalla folla giunta in città per fare finalmente le compere (2Melakhim 7,20). La Torah ammette un certo fatalismo negli umani eventi ma ci ammonisce di non arrenderci a esso. “Quando costruirai una casa nuova farai un parapetto attorno al tuo tetto per non essere colpevole se verrà versato del sangue in casa tua qualora qualcuno, pur destinato a cadere, dovesse precipitare da esso” (Devarim 22,8 e Rashì). Se da un lato è vero che non si muove foglia in basso che D. non lo voglia in alto (Chullin 7b), è pur sacrosanto compito degli uomini vigilare che certe tragedie non si verifichino (R. Bachyè ad loc.; Sefer ha-Chinnukh, prec. 546). Per Yom Kippur ci saremmo aspettati una partecipazione corale alla ‘Avodah finalizzata all’espiazione delle trasgressioni di tutto il popolo e invece la Torah la affida interamente a un unico alto rappresentante: il Kohen Gadol, che entra nel Qòdesh ha-Qodashim da solo mentre tutti gli altri lo attendono all’esterno. Secondo un’interpretazione proprio questa fu la mancanza per cui Nadav e Avihù figli di Aharon morirono fulminati. Erano entrati a offrire l’incenso perché non si sarebbero fidati della delega al padre e volevano presenziare personalmente (Talelè Chayim).
La tradizione che situa sul Monte Meron la tomba di R. Shim’on bar Yochay cui è attribuito lo Zohar è tarda e incerta. La più recente letteratura halakhica popolare la presenta spesso in modo confuso. Un esempio per tutti riguarda fonti italiane. Riferendosi alla Hillulà (il matrimonio mistico, ovvero il trapasso) di R. Shim’on il giorno di Lag ba-’Omer, il Sefer ha-Toda’ah scrive che esso è ricordato in una lettera di R. ‘Ovadyah da Bertinoro del 1489: “il 18 Iyar… arriva gente da tutte le zone vicine e si accendono grandi falò” (Morashà, Milano, 2013, vol. 3, p. 26). Peccato che R. ‘Ovadyah parli invece dell’anniversario di Shemuel a Nabi Samwil il 28 Iyar (“Lettere dalla Terra Santa” a cura di G. Busi, Luisè, Rimini, 1991, p. 66), che è un’altra cosa. Illustri Posseqim del XIX secolo esprimono seri dubbi sull’opportunità del pellegrinaggio di Lag ba-’Omer (Chatam Sofer, Resp. Yoreh De’ah n. 233).
Non intendo qui discutere di questo argomento. È perfettamente comprensibile che anche il nostro popolo avverta il bisogno di indulgere in manifestazioni di devozione popolare. Mi limito a domandarmi se è giusto e meritorio morire per l’evento in questione. Davvero i 45 hanno diritto alla patente di martiri? Vado oltre. Trovo estremamente triste che l’ebraismo contemporaneo dia spesso l’impressione di proporre la superstizione come unica valida alternativa all’assimilazione. Non c’è una terza via? Voglio concludere pertanto con una nota differente. Fra gli usi accreditati ma non codificati di Lag ba-’Omer vi è quello di giocare con archi e frecce. Lo studioso Theodor Gaster (“Festivals of the Jewish Year”, Sloane, New York, 1953, p. 54) lo mette in relazione con la volontà di contrastare le forze del male che in primavera cercherebbero di distruggere i primi raccolti, diffusa soprattutto nella Mitteleuropa, ma la nostra tradizione ne dà una spiegazione tutta diversa. Finché R. Shim’on bar Yochay visse, si racconta, non si vide mai l’arcobaleno. I suoi meriti sarebbero stati talmente forti da contrastare la punizione Divina cui l’apparizione dell’arcobaleno allude, come nel racconto biblico del Diluvio (Bereshit 9,16),
Arco e arcobaleno si designano in ebraico con la stessa parola: qeshet. Il Talmud afferma che fin dalla Creazione D. aveva stipulato un patto che se il popolo d’Israel avesse accettato la Torah D. non avrebbe restituito il mondo al caos. Domanda il Toledot Itzchaq: come avrebbe potuto D. impegnarsi già al tempo di Noach che non avrebbe più distrutto il mondo? La parola qeshet è formata dalle tre iniziali di qarà, shanah e tanà, i verbi che designano rispettivamente lo studio della Torah scritta, della Mishnah e del Talmud. Se fra noi regnerà lo Studio, simboleggiato dal qeshet, “Io lo vedrò per ricordarmi del Patto antico”. È lo studio approfondito della Torah l’unico strumento che garantisce il futuro del popolo d’Israel.

Rav Alberto Moshe Somekh 

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IL 19ENNE UCCISO DA UN TERRORISTA PALESTINESE   

Yehuda, giovane vittima dell'odio

Yehuda Guetta, 19 anni, è l'ultima vittima del terrorismo palestinese. Il giovane è morto per le ferite riportate nel corso dell'attentato terroristico di domenica scorsa presso l'incrocio Tapuach, in Cisgiordania. Guetta stava aspettando assieme a due amici l'autobus, quando l'attentatore, avvicinatosi in auto, ha aperto il fuoco contro di loro. Ricoverato in ospedale in condizioni gravi, il giovane è morto nella notte. “Mando un abbraccio di coraggio, forza e preghiera per confortare la famiglia di Yehuda Guetta, ucciso in una sparatoria. Quanto dolore e sofferenza per una vita presa in questo modo...", le parole di cordoglio del Presidente d'Israele Reuven Rivlin. “Non resteremo in disparte - ha aggiunto Rivlin - mentre il terrore crudele rialza la testa, e combatteremo fino in fondo, con perseveranza e determinazione”. Ad esprimere la propria vicinanza alla famiglia Guetta in questo momento di lutto, anche l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
“Era un ragazzo molto talentuoso e intelligente. Faceva tutto velocemente, seriamente e con determinazione, con molto amore”, ha raccontato la madre di Yehuda Guetta, Milka, alla radio dell'esercito israeliano.

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AL LEADER DI YESH ATID L'INCARICO DI FORMARE UN GOVERNO    

Yair Lapid e l'occasione di guidare Israele

Un pugile dai calzoncini firmati Prada e con il mantello ricoperto dalla sigla di Bank Hapoalim, a indicare l’appartenenza sociale agiata. Sui guantoni il simbolo del quotidiano Yedioth Ahronoth e del Canale 2, di cui era giornalista di punta prima di dimettersi per dedicarsi alla politica. Con questa vignetta Haaretz raffigurava nel 2013 Yair Lapid all’indomani della sua scelta di fondare un partito, Yesh Atid, che sarebbe dovuto diventare la voce della classe media d'Israele. 
Un ex editorialista e autore di primo piano, Lapid ha trascorso anni sotto i riflettori televisivi, prima ospitando un proprio talk show a tarda notte e poi conducendo il notiziario del venerdì sera più seguito del paese. Sfruttando la sua popolarità dell'epoca, decise di entrare in politica e seguire l'esempio del padre, Joseph “Tommy” Lapid, entrato in politica da giornalista. Allora le battaglie di Lapid, sulla scia di quelle paterne, erano legate a rafforzare la laicità all'interno del paese, ad integrare il mondo haredi all'interno del mercato del lavoro, a una soluzione dei Due stati con il mantenimento di alcuni insediamenti in tema di pace con i palestinesi. E ancora, lotta all'evasione fiscale e contro il carovita, erano altri cavalli di battaglia del suo Yesh Atid. 
In questi otto anni di politica, dopo una breve parentesi al ministero delle Finanze in un governo a guida Benjamin Netanyahu, Lapid non ha però avuto modo di dare seguito a quelle promesse iniziali. Molti di quei temi sono rimasti però rilevanti per la società israeliana, seppur scomparsi dal dibattito politico, ridotto alla divisione tra sostenitori di Netanyahu e antagonisti. Tra questi ultimi, proprio Lapid, che in queste ore ha la sua fragile occasione per dettare l'agenda del paese. Il Presidente d'Israele Reuven Rivlin gli ha affidato l'incarico di formare il prossimo governo, dopo il precedente tentativo di Netanyahu, risultato in un fallimento. 

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Setirot - Uccelli migratori 
Diasporici. Migranti. Esuli. Perseguitati. Discriminati. Affamati. In fuga da guerre e pregiudizi. Alla ricerca di una vita migliore per sé e per i propri figli. «Forse solo gli uccelli migratori / sospesi tra terra e cielo conoscono/ il dolore per due patrie». Leah Goldberg (29 maggio 1911 Königsberg – 15 gennaio 1970 Gerusalemme). 
Stefano Jesurum
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I conti con la storia
Il titolo di questa nota, riferita agli arresti dei brigatisti rossi latitanti in Francia, può apparire banale e certamente non è originale perché è già stato usato da alcuni organi di informazione. Tuttavia appare quello che meglio esprime ciò che è avvenuto perché gli arresti chiudono una lunga fase nei rapporti tra Italia e Francia durante la quale era viva e lacerante l’idea che la protezione offerta a chi si era macchiato di crimini di sangue violava principi fondamentali e costituiva un vulnus permanente nei rapporti tra i due Paesi, così come era avvenuto per il caso di Cesare Battisti.
Valentino Baldacci
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Spuntino - Fede terra terra
Perché la Torah è stata donata al popolo ebraico solo dopo 50 giorni e non immediatamente, al momento dell'uscita dall'Egitto? Per creare un senso di subordinazione e di dipendenza totale dal Redentore, innescando così la fede, che è un prerequisito imprescindibile, certamente non intelligibile, per ricevere ed accettare le mitzvot. Rashì si chiede (Lev. 25:1): per quale motivo a rappresentare le mitzvot date in blocco sul monte Sinai (BeHar Sinai) c'è proprio quella dell'anno sabbatico?
Raphael Barki
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