I conti con la storia
Il titolo di questa nota, riferita agli arresti dei brigatisti rossi latitanti in Francia, può apparire banale e certamente non è originale perché è già stato usato da alcuni organi di informazione. Tuttavia appare quello che meglio esprime ciò che è avvenuto perché gli arresti chiudono una lunga fase nei rapporti tra Italia e Francia durante la quale era viva e lacerante l’idea che la protezione offerta a chi si era macchiato di crimini di sangue violava principi fondamentali e costituiva un vulnus permanente nei rapporti tra i due Paesi, così come era avvenuto per il caso di Cesare Battisti.
Le reazioni in Italia, espresse soprattutto dagli organi di informazione ma anche dai social, sono state in larga misura positive e sono andate al di là dell’episodio in sé. Bisogna comunque prendere in considerazione alcune obiezioni critiche che sono state sollevate, per la verità in modo abbastanza confuso, ma che è necessario esaminare. Le obiezioni di chi ha in qualche modo criticato l’operazione si sono fondate su due argomenti: l’età avanzata degli arrestati e il cambiamento di contesto politico rispetto al periodo nel quale furono commessi i delitti per i quali i dieci latitanti erano stati condannati. Delitti di sangue, va sottolineato, omicidi commessi a danno di persone inermi, non esternazione di tesi e di opinioni politiche.
Si tratta, come si vede, di obiezioni inconsistenti. Se dovessero essere prese in considerazione dovrebbero valere anche per quei nazisti che sono stati individuati e condannati a distanza di decenni dalla fine della II guerra mondiale, quando avevano un’età ancora più avanzata dei brigatisti rossi e nell’ambito di un contesto ancora più cambiato. Eppure in quei casi nessuno – eccetto gli esponenti di associazioni neonaziste – ha, per fortuna, sollevato obiezioni.
L’istituto della prescrizione vale per gli imputati che devono essere processati e che hanno diritto a un giusto processo in tempi ragionevoli, non per persone che sono state già condannate e che solo con la fuga si sono sottratte alla punizione dei loro crimini.
In realtà dietro certe obiezioni che sono state sollevate nei giorni scorsi si scorge ancora l’ombra di tesi che si sperava appartenessero ormai al passato, come quelle che un tempo si manifestavano con espressione del tipo “sono compagni che sbagliano” oppure “né con lo Stato né con le Brigate rosse”. Altre obiezioni nascono da un’interpretazione erronea dell’art. 27 della Costituzione: ma questo articolo chiede la rieducazione del condannato, non la sua impunità. Si può capire che per chi è nato dopo quel tragico periodo quegli eventi possano apparire come qualcosa di così lontano da non meritare più di essere preso in considerazione. Ma così non è per chi ha vissuto quel periodo e soprattutto per chi è consapevole di quanto la scelta della lotta armata abbia condizionato a lungo la vita politica e sociale del nostro Paese.
Un’ultima considerazione riguarda i promotori della richiesta di estradizione alla Francia: il capo del governo Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Non si può evitare di sottolineare come anche questo episodio mette in evidenza la diversità di cultura politica e di tensione etica che caratterizza gli esponenti di questo governo, e in particolare proprio i due personaggi in questione, rispetto ai governi del passato, di sinistra o di destra che fossero. Non si può fare a mano di sottolineare che sia Draghi che Cartabia non sono persone di partito ma vengono da un altro tipo di formazione, sono statisti nel senso pieno della parola. Anche questo episodio imporrebbe ai partiti una riflessione sulla loro funzione e sui processi di formazione della classe politica che proprio attraverso i partiti si compie.
Infine, per quanto riguarda Macron, il fatto che le procedure della giustizia francese richiedano tempi lunghi per l’effettiva estradizione in Italia e prevedano anche la concessione della libertà vigilata niente toglie al valore e al coraggio della sua decisione che, tra l’altro, ha messo in evidenza che non era la cosiddetta “dottrina Mitterand”, che escludeva i delitti di sangue, a impedire l’estradizione dei terroristi, ma una sua interpretazione estensiva che chiama in causa la responsabilità dei Presidenti che si sono succeduti nel corso di circa quaranta anni.
Valentino Baldacci