LA POSSIBILE INTESA PER DARE UN ESECUTIVO A ISRAELE TORNA D'ATTUALITÀ

Accordo di governo tra Bennett e Lapid,
il rilancio delle trattative

Il cessate il fuoco con i movimenti terroristici di Gaza sta tenendo, e ora Israele guarda al suo interno. “La fine dell'operazione militare non significa che lo scontro all'interno del paese sia finito”, avverte il capo della polizia Kobi Shabtai. Il riferimento è agli scontri avvenuti nel corso delle ultime settimane nelle città miste d'Israele, con violenze da parte della minoranza araba così come da parte ebraica. Violenze portate avanti da frange minoritarie ed estremiste che lo stesso Shabtai aveva definito come terrorismo. E che cercheranno di rialzare la testa, il timore del capo della polizia. Per questo “il grande dispiegamento di forze di sicurezza in tutto il paese continua, almeno per ora”. Gerusalemme è sicuramente uno dei luoghi più sensibili. Ma nella capitale il dibattito sulla sicurezza acquista anche un risvolto politico importante. Criticando aspramente il governo e in particolare il Primo ministro Benjamin Netanyahu, il leader del partito Yamina (Destra, in ebraico) Naftali Bennett attraverso i social network sembra riaprire a un possibile accordo per la formazione di un “governo del cambiamento”. Ovvero un governo senza Netanyahu. 
“Non ricordo un tale periodo di debolezza, mancanza di funzionamento e imbarazzo nazionale”, le parole di Bennett affidate ad un commento sui social network. La situazione d'Israele “si è deteriorata a un livello insopportabile”, la sua valutazione per poi affermare di avere “diverse opzioni per formare un governo, se solo revochiamo i nostri boicottaggi reciproci e comprendiamo l'importanza del momento”. Bennett non ha esplicitato le opzioni sul suo tavolo. L'immediato attacco del Likud di Netanyahu contro di lui sembra però presagire che tra queste non vi sia un'intesa con l'attuale Premier. Potrebbe essere solo una tattica per ottenere di più da Netanyahu, scrivono i quotidiani israeliani.

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L'APPELLO DELLE ORGANIZZAZIONI EBRAICHE USA E DEL PRESIDENTE D'ISRAELE

"Dopo il conflitto a Gaza, antisemitismo in crescita
I governi intervengano per tutelare gli ebrei"

“Temiamo che il modo in cui il conflitto è stato usato per amplificare la retorica antisemita, incoraggiare attori pericolosi e attaccare gli ebrei e le comunità ebraiche avrà ramificazioni ben oltre queste ultime due settimane. Noi la esortiamo a parlare con forza contro questa tendenza pericolosa e a stare al fianco della comunità ebraica di fronte a questa ondata di odio prima che peggiori”. È la lettera inviata da diverse organizzazione ebraiche americane al Presidente degli Stati Uniti Joe Biden nella giornata di venerdì. Un appello affinché la Casa Bianca prenda decise contromisure per combattere l'antisemitismo, riemerso attraverso una serie di attacchi a ebrei in tutto il paese legati al conflitto tra Israele e il movimento terroristico di Hamas. Violenze che si sono verificate anche in Europa, dalla Gran Bretagna alla Germania. Fino a Milano, dove ci sono stati due casi nelle ultime ore inquietanti.
“Alcune persone pro-palestinesi negli Stati Uniti hanno deciso che un canale appropriato per le loro frustrazioni e la loro rabbia per il conflitto tra Hamas e Israele è quello di aggredire gli ebrei americani e in qualche modo ritenerli responsabili di ciò che sta accadendo in Israele. ... È un comportamento offensivo e francamente non è diverso da quello degli asiatici americani che vengono aggrediti a causa di idee sbagliate sul coronavirus o dei musulmani americani che vengono aggrediti a causa dell'11 settembre”, ha detto Nathan Diament della Orthodox Union. “È sinceramente doloroso che finora i leader eletti sembrano essere lenti nel riconoscere e denunciare la violenza antiebraica con la stessa rapidità con cui hanno adeguatamente denunciato la violenza contro altre minoranze”.
Il consolato d'Israele a New York, proprio mentre entrava in vigore il cessate il fuoco con Gaza, ha segnalato come l'ondata di proteste anti-israeliane è stata più violenta di quanto visto in precedenza nella zona, anche quando le tensioni erano alte. “Le manifestazioni sono più grandi, più tossiche e purtroppo anche più violente. C'è una connessione diretta tra l'agenda dichiarata di Hamas che promette la distruzione di Israele e gli slogan dei manifestanti che minano la legittimità di Israele come stato-nazione ebraico”, l'analisi del consolato in una nota dai toni allarmati per i violenti episodi antisemiti e contro Israele.

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FESTIVAL DELLA GIUSTIZIA PENALE - L'INCONTRO SUI CRIMINI DI NAZIFASCISTI

“Effetti leggi del ’38 non si sono esauriti,
Italia faccia i conti con la sua storia”

Studiosi di diritto, docenti universitari, giudici costituzionali, rappresentanti della magistratura e dell’avvocatura. Numerose e autorevoli le voci a confronto attorno al tema “vittime di reato”, filo conduttore della seconda edizione del Festival della giustizia penale che va concludendosi in queste ore.
A caratterizzare la giornata inaugurale un incontro su “La difficile giustizia per i crimini di guerra nazifascisti in Italia” (clicca qui per rivederlo) svoltosi presso il campo di concentramento di Fossoli, luogo simbolo della persecuzione degli ebrei italiani. Tra gli ospiti di un dibattito che ha messo al centro anche la vicenda processuale relativa all’eccidio delle Fosse Ardeatine, nel venticinquesimo anniversario dall’avvio del procedimento a Roma contro il criminale nazista Erich Priebke, la Presidente UCEI Noemi Di Segni. Voce tra gli altri anche a Ferruccio Laffi, sopravvissuto all’eccidio di Marzabotto. E a Marco De Paolis, procuratore generale militare a Roma.
“La sfida – ha esordito Di Segni – è quella di una corretta impostazione della Memoria, non appiattita solo sulle colpe dei nazisti. La Shoah non è soltanto Auschwitz. L’Italia deve prendersi le sue responsabilità”. A partire dalle promulgazione delle leggi antiebraiche del ’38 i cui effetti, ha ricordato Di Segni, non “si sono certo esauriti con la loro abrogazione”. Emblematica la travagliata questione delle benemerenze ai perseguitati, parzialmente risolta appena pochi mesi fa con l’introduzione della presunzione di persecuzione connessa all’emanazione stessa delle leggi antisemite. Parzialmente perché, ha evidenziato la Presidente UCEI, “esistono ancora delle storture”. Come nel caso degli ostacoli che ancora non permettono il riconoscimento di questo diritto a specifiche fattispecie di individui (ad esempio chi, per evitare arresti e deportazioni, fuggì in Svizzera).

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Spazio all'incertezza
Ho tenuto in questi giorni il mio segnalibro su due pagine diverse: la prima è al capitolo 32 di Isaia, laddove si confida nella realizzazione del sogno; l’altra è al salmo 31 laddove il salmista invoca la forza per trovare la strada e così uscire da una condizione senza uscita. Alle volte il sogno utopico è troppo grande per trovare un riscontro. Si tratta allora di dare spazio all'incertezza, senza accantonarla.
                                                                          David Bidussa
Una mano tesa 
Finalmente, dopo più di un anno, abbiamo di nuovo festeggiato insieme. Tutto il kibbutz. Sul palco, ornato di spighe di grano e cesti colmi di hallot e frutti di ogni sorta, hanno sfilato le nostre primizie, i bimbi e le bimbe nati quest’anno. Ragazze e ragazzi in abiti candidi hanno danzato e la gioia era tutta intorno. Ho voluto tradurre il messaggio di Roy Rashkes, il mazkir del kibbutz, che mi ha lasciato una profonda speranza nel cuore.
Angelica Edna Calò Livne
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