LE REAZIONI ALLE MANIFESTAZIONI NO VAX
Le pericolose piazze dei complottisti
Sollevano grande preoccupazione nel mondo ebraico e non solo le immagini arrivate dalle piazze italiane nelle ultime ore. Le proteste contro l’introduzione del sistema del Green pass sono infatti diventate, come era prevedibile, lo sfogatoio per il più becero complottismo, con annessi rigurgiti antisemiti e banalizzazioni della Shoah. Foto del Presidente del Consiglio Mario Draghi trasformato in Hitler, manifestanti che urlavano “Norimberga Norimberga" in riferimento al processo ai gerarchi nazisti nel dopoguerra, stelle di David con la scritta "non vaccinati = ebrei”. Ma anche riferimenti a presunti manovratori della pandemia, da Soros e ai Rothschild, tra comizi improvvisati e spesso dominati dai movimenti neofascisti. Un clima inquietante che proviene da una minoranza rumorosa che cerca di coalizzarsi presentandosi come paladina della libertà. Una finzione che coinvolge l’Italia, ma anche altri paesi come la vicina Francia, dove anche i rappresentanti religiosi si sono impegnati a contrastare chi si oppone ai vaccini o a misure come il Green Pass. “Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per convincere gli scettici e combattere gli oppositori della vaccinazione che, con il pretesto della libertà, vogliono affermare il loro diritto di essere un pericolo per gli altri. - l’editoriale pubblicato da Le Figaro e firmato tra gli altri dal Gran Rabbino Haim Korsia - Questi ultimi usano la libertà, uno dei pilastri essenziali del nostro trittico repubblicano, come uno spaventapasseri per gridare allo scandalo o addirittura alla cospirazione. Una minoranza di francesi invoca a gran voce, e talvolta in modo indecente, le proprie libertà individuali per rifiutare il vaccino contro la pandemia che sta devastando il pianeta”. Ma rifiutare il vaccino, ricordano rav Korsia e gli altri firmatari, non solo metto a rischio se stessi ma vuol dire “praticamente armare il proprio corpo, come si tirerebbe la linguetta di una granata, per trasformarla in un ordigno potenzialmente letale, colpendo alla cieca e a caso intorno a noi”.
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LA RIFLESSIONE DI RAV SOMEKH SULLE PROTESTE NO VAX
Il dibattito sul Green Pass e l'interesse dei cittadini
Il dibattito sul Green pass sta suscitando nel mondo politico e culturale reazioni abnormi che richiedono una risposta argomentata. Paragonare le eventuali restrizioni nei confronti dei non vaccinati contro il Covid alle persecuzioni razziali e alla Shoah, infatti, va ben oltre una terribile e inaccettabile banalizzazione. Allora non si poteva decidere se essere cittadini di serie A o B: si era ebrei e basta. Sotto i nazisti neanche l’abiura poteva cambiare le cose. Insomma, essere perseguitati per ciò che si è assume un tono ben differente dall’essere perseguiti per ciò che semplicemente si fa, o meglio si può scegliere di fare o non fare.
Ma la deriva antisemita è solo uno degli aspetti impliciti in quel modo distorto di ragionare. In linea di principio la tutela della sanità pubblica è uno dei compiti istituzionali dello Stato. Se il governo ritiene che nell’interesse dei cittadini sia indispensabile imporre delle restrizioni temporanee alla libertà personale per garantirne la salute esso ha non solo il diritto, ma anche il dovere di farlo senza essere giudicato alla stregua di una dittatura. Si può naturalmente dibattere se nelle condizioni attuali gli strumenti che abbiamo per gestire la pandemia e le conoscenze scientifiche che possediamo sulla loro efficacia giustifichino simili provvedimenti: su questo mi manca la competenza necessaria per esprimermi e lascio il parere agli esperti. In ogni caso si discuterebbe solo sul come e non sul se: tutto un altro piano.
Rav Alberto Moshe Somekh
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IL PRESIDENTE DELLA COMUNITÀ DI FIRENZE FINK SULLE PROTESTE NO VAX
"Distorsione della Shoah, indignazione profonda"
Anche Firenze ha visto sfilare cartelli che paragonavano il green pass alle leggi razziali, un preludio alle camere a gas; manifestanti con stelle di David gialle appuntate sul petto. E da parte della Comunità Ebraica il sentimento non può essere che di indignazione profonda. Il primo pensiero che ti sale in mente è il desiderio che, in uno dei fantastici viaggi virtuali che l’informatica oggi ci offre, a quei manifestanti fosse consentito per un istante di provare sulla propria pelle l’esperienza di persecuzioni secolari, di segni distintivi imposti sui vestiti, di ghetti e conversioni forzate: e poi di discriminazione approvata per legge, che sulla base della tua nascita ti esclude da lavoro scuola società, ti emargina e ti allontana; poi di persecuzione attiva, che ricerca con l’autorità della divisa e delle armi uomini, donne e bambini, li scova, li rapisce, li rinchiude in campi di concentramento, li affida a un alleato che li porta altrove per massacrarli dopo viaggi di giorni come bestie o per i più sfortunati dopo settimane di sopravvivenza in luoghi infernali di tortura. E dopo un istante come questo, naturalmente, il desiderio è che quei manifestanti tornassero sani e salvi in sé, che l’esperienza fosse appunto solo virtuale perché un destino simile non si augura proprio a nessuno, soprattutto quando la tua famiglia l’ha vissuto davvero. Che quei manifestassero tornassero sani e salvi in sé: quanti ancora penserebbero di cucirsi stelle gialle sul petto?
Enrico Fink, presidente Comunità Ebraica di Firenze
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LE MEDAGLIE NEL TAEKWONDO DI VITO DELL'AQUILA E AVISHAG SEMBERG
Italia e Israele, le prime gioie olimpiche
 
Esordio nel medagliere olimpico, per l’Italia come per Israele, nel segno del taekwondo. Metalli diversi, ma la stessa gioia sul volto di Vito Dell’Aquila oro nella categoria 58 chili (dove ha sconfitto il tunisino Mohamed Khalil Jendoubi) e di Avishag Semberg bronzo in quella femminile dei 49 (dove ha avuto la meglio della turca Rukiye Yildirim).
Un inizio positivo che fa ben sperare per una spedizione azzurra che ha l’obiettivo di almeno otto ori e trenta medaglie complessive (così si è espresso il presidente del Coni Giovanni Malagò negli scorsi giorni). Molto alte, in proporzione, anche le aspettative israeliane. Con autorevoli osservatori che si sono spinti a fare una proiezione su un totale di sette medaglie.
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Utoya, prima e dopo

Il progetto di memoriale che ricorda la strage di Utoya (22 luglio 2011) è una struttura che ricalca il profilo dell’isola, tagliandolo verticalmente in due come a stabilire un «prima» e un «dopo». A prescindere dall’intenzione del progettista, a dieci anni di distanza quel «dopo» registra che Anders Behring Breivik ha degli emuli entusiasti e l’odio è in crescita.
David Bidussa
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Negare la vita per esistere

Beninteso: poiché oggi è il 25 luglio, sarà meglio rammentarci tutti che si ricorda la caduta del regime fascista, indecorosamente crollato nelle segrete stanze di Palazzo, luogo di trame, e tra l’ingenuo tripudio popolare, dopo un ventennio di dittatura. Quest’ultima nel consenso dei tanti e, soprattutto, cosa ancora più importante, con il dissenso dei pochi. Posto questo paletto, non di mera circostanza, rimane il resto. Che si raccorda con ciò che fu. «Who controls the past controls the future. Who controls the present controls the past», affermava il supercitato George Orwell. Bisognerà pur chiedersi, in un tale contesto, soprattutto in questa età, al medesimo tempo pandemica e sindemica (crisi sanitaria mondiale sommata alla crisi economica subita dai tanti), a cosa corrisponda ciò che definiamo con il nome di «negazionismo».
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