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IL MINISTRO DEGLI ESTERI STA VALUTANDO UN RIENTRO NELL'AGENZIA ONU

Unesco, Israele cambia orientamento
e pensa a un possibile ritorno

A fine 2018 Gerusalemme e Washington avevano deciso di dare un segnale forte alle Nazioni Unite. Per protestare contro il proliferare di iniziative e risoluzioni ostili a Israele, erano uscite ufficialmente dall’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. “Dal 2009 ad oggi, all’Unesco sono state approvate 71 risoluzioni di condanna di Israele. E due sole che riguardavano tutti gli altri Paesi messi insieme. In poche parole, una vergogna” il commento all’epoca del Primo ministro Benjamin Netanyahu. Tra i sostenitori dell’addio d’Israele all’ente internazionale, anche l’allora ministro dell’Educazione Naftali Bennett, che già nel 2016 aveva preso provvedimenti in tal senso. Dopo l’approvazione di una contestata risoluzione, promossa dai palestinesi, in cui si ignoravano deliberatamente i legami ebraici con il Monte del Tempio, Bennett aveva infatti deciso di tagliare i rapporti tra il suo ministero e l’agenzia Onu.
Oggi il governo da lui guidato potrebbe invertire la rotta e riportare Israele a sedere tra i paesi Unesco. Secondo il giornalista Barak Ravid (Axios), a valutare seriamente questa possibilità è attualmente il ministro degli Esteri Yair Lapid. Il capo della diplomazia di Gerusalemme ha infatti dato mandato al suo ufficio di analizzare un possibile rientro. La mossa rientrerebbe nel cambio di orientamento impresso da Lapid alla politica estera d’Israele: meno contrasti duri, più dialogo conciliante. In questo caso con l’Unesco. Il punto di vista di Lapid, scrive il giornalista di Axios, è che il ritiro di Israele dai forum internazionali a causa della loro faziosità abbia reso la politica estera del paese meno efficace invece che il contrario. Un portavoce del ministero degli Esteri ha comunque spiegato che Israele coordinerà ogni decisione che prenderà riguardo all’Unesco con gli Stati Uniti. E anche Washington sta valutando se rientrare.

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LA STORICA DELL'ARTE ANDREINA DRAGHI E IL BANDO DELLA FBCEI

“Sud ebraico, la sfida della catalogazione”

“Un avvicinarsi progressivo e graduale a una cultura di grande fascino. In questi anni è come se avessi scoperto un mondo”. 
Già direttrice del Museo Nazionale di Palazzo Venezia e tra le storiche dell’arte più autorevoli in circolazione, Andreina Draghi siede da qualche tempo nel Consiglio della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia. Un’esperienza che la sta vedendo al lavoro su più fronti. A partire dagli impegni legati alla riscoperta, tutela e valorizzazione del patrimonio ebraico nel Meridione.
Ambito cui guarda un nuovo progetto di cui è referente, con un bando appena diffuso per la ricerca di giovani ricercatori interessati a lavorare nella catalogazione sia attraverso l’aggiornamento dei dati raccolti nell’ambito del Progetto ARS – Presenza ebraica in Italia, conservati in formato cartaceo presso il Centro Bibliografico UCEI, sia attraverso la stesura di ulteriori schede. Al centro della ricognizione che si andrà ad intraprendere tre regioni tra le più ricche di testimonianze: Campania, Puglia e Sicilia.
“Un’iniziativa – spiega Draghi a Pagine Ebraiche – che è inquadrata nell’impegno di catalogazione lanciato a livello nazionale nel 2016. Due esigenze: da un lato informatizzare ciò che è già stato censito, dall’altro occuparsi del nuovo”. Un nuovo che, in un Meridione dove l’interesse verso l’ebraismo è da tempo in crescita, è foriero di molti spunti.
“Le opportunità sono senz’altro significative”, osserva Draghi. “Il cardine è la Campania, anche per il suo essere punto di riferimento per tutto il Sud ebraico. Ma anche da Puglia e Sicilia gli stimoli non mancheranno di certo”. Ex novo sarà ad esempio il lavoro “su realtà come Brindisi, Oria e Trani”. Mentre in Sicilia l’impegno sarà soprattutto quello di “informatizzare”.
“Se hai meno di 35 anni il tuo talento può fare la differenza”, lo slogan del bando da qualche giorno in rete. Quel “fare la differenza” che è, da tempo, la cifra della Fondazione. “Sono orgogliosa – commenta Draghi – di far parte di un gruppo di lavoro che sta lasciando un segno in vari ambiti. Penso ad esempio al progetto legato al restauro del cimitero di Valdirose, protagonista del dossier per le due Gorizie capitali europee della cultura nel 2025. Un risultato prestigioso e gratificante”. 
Anche il Sud vede la Fondazione in prima linea: dal recupero delle catacombe di Venosa in Basilicata alla valorizzazione dell’Aron di Agira in Sicilia: si tratta del più antico Aron in pietra d’Europa. Proprio nel segno di un Aron, racconta Draghi, è iniziato il suo rapporto con il mondo ebraico. Un restauro, naturalmente: quello del cinquecentesco armadio di Scola Catalana, memoria delle “cinque scole” che caratterizzavano la vita sinagogale della Roma ebraica nei secoli del Ghetto.

Clicca qui per il bando dedicato alla catalogazione del patrimonio ebraico dell’Italia meridionale

(Nelle immagini, dall’alto in basso: l’esterno della sinagoga Scolanova di Trani; la storica dell’arte Andreina Draghi, la pubblicità del bando della Fondazione)

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LA SCOMPARSA DEL PROPRIETARIO E DIRETTORE DI ADELPHI

Roberto Calasso (1941-2021)

   

Lutto nel mondo dell’editoria: all’età di 80 anni è scomparso Roberto Calasso, proprietario e direttore di Adephi. Un grande intellettuale e protagonista del mercato librario cui ha contributo anche come autore di libri sempre stimolanti. Autorevole studioso e traduttore tra gli altri di Franz Kafka e Karl Kraus, Calasso ha firmato una delle opere più significative pubblicate di recente in Italia: Il libro di tutti i libri, interamente dedicata al testo biblico.
Numerose le reazioni alla notizia della sua morte. “Un pilastro dell’editoria italiana e un intellettuale straordinario capace di una sapiente visione della nostra cultura e delle sue radici”, il cordoglio del ministro della Cultura Dario Franceschini. “Calasso ha segnato profondamente la cultura italiana del Novecento e del nuovo secolo, come editore e come scrittore. Ha guidato per cinquant’anni la casa editrice Adelphi, pubblicando nel nostro Paese libri che sono pilastri della civiltà europea (e non solo) e ha contribuito in maniera fondamentale a promuovere la cultura italiana all’estero”, le parole del presidente dell’Associazione Italiana Editori Ricardo Franco Levi.

Il libro di tutti i libri

Non sono molti i libri importanti, quelli che restano a lungo dopo averli letti. Tanto meno se il tema che affrontano è il Sacro. In questa epoca desacralizzata – chiese e sinagoghe sempre più vuote, oroscopi e fattucchiere a gogò – la nostra disattenzione spirituale ci espone all’incertezza, e siamo facile preda per imbonitori, politici o commerciali. Spesso, inoltre, i libri del genere che vengono pubblicati sono astrusi, difficili, da addetti ai lavori. Il libro di tutti i libri è invece un libro che – come quasi tutti quelli di Roberto Calasso – dovrebbe venir soprattutto letto da chi non è un esperto o un appassionato del sacro e delle sue forme. Da La Rovina di Kasch (1983) in poi, l’editore autore di Adelphi ha ingaggiato una conversazione con il Sacro e l’Attuale che è unica per metodo e completezza, per stile e dedizione. E, per quanto mi riguarda, per riuscita e formazione.A differenza di tutti i precedenti, leggendolo mi sono trovato, se non proprio ‘a casa mia’, certamente in un palazzo o su un’isola di cui riconoscevo odori, angoli, animali, persone… Sensazione comoda ma fuorviante e pericolosa, perché nessuno in realtà conosce il luogo che abita peggio di chi ci abita. Spesso però crede di conoscerlo, e ciò è fatale per una vera comprensione. Se, invece, si usa la propria familiarità come strumento per sentire, annusare, guardare, ascoltare, toccare meglio e dunque mettere in discussione ciò che si crede di conoscere già, allora soglia della vera comprensione si spalanca, e dopo tanto ‘guardare’, si vede. Fatto sta che mi sono perso, cercato e ritrovato, perso ancora, illuminato, spento, perfezionato, e ancora smarrito. Ho preso appunti – come faccio sempre per libri come questo: quando un passo, una frase, un capitolo mi toccava nel profondo, scrivevo, subito, la suggestione, riflessione, provocAzione, che mi suggerivano le parole scritte. Secondo me, se si legge sul serio, si legge per poter attivare nella mente e nello stomaco le aree intellettuali e sentimentali che ci permettono di sentire e nominare, in profondità ed estensione eccezionali, ciò che nessuna parola scritta può fermare e nominare adeguatamente. Eccovi dunque alcuni dei miei appunti in corso di lettura, una modalità che mi permetto di suggerire anche a voi, che ne scriverete altri. Oso infatti pensare che se questo non è il Leggere Ebraico, beh, non so cos’altro lo sia.

«L’elica doppia che è, e simboleggia il dna, è anche metafora perfetta del mito, di ciò che è, è stato e sarà. Vero nel momento in cui è visto e narrato – una descrizione che si fa narrazione nel momento in cui il presente è passato, ma ne anticipa il futuro – si sa mascherare perfettamente in ogni forma senza perdere la sua radice. Forse per questo mitologicizzare è la forma principe di ogni narrazione che voglia proiettarsi nel futuro senza lasciare il passato. Di ciò che è nel medesimo tempo uno e tutto.»

«Il visibile negato, o peggio, dannato; l’invisibile cercato, o meglio, benedetto. Conseguentemente, il bello esaltato e il vuoto temuto. E ancora: la tentazione come allarme e soglia. Re di Contraddizioni Virtuose, così chiamerò Salomone d’ora in poi.»

«Il prodigio come atto fondativo della Legge, il terrore come presupposto della misericordia, la testimonianza come prima, necessaria e sufficiente forma di narrazione.»

«E se l’elezione fosse stata una diminuzione, dalla sicurezza dell’estraneità alle incertezze della competizione?»

«Si dice poco. Che il bisogno di Dio È reciproco.»

«E dopo? Cosa leggerò, dopo, se questo è Il libro di tutti i libri?
Ah, certo: tutti gli altri! Sarà una rilettura, non è vero?»

Valerio Fiandra

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Memoria di un esodo
Chi condivide una concezione razionale della storia di solito ritiene che ricordare un’ingiustizia, una violenza sia il punto di partenza per superarla. Ma non sempre è così. Ci sono delle ingiustizie che non possono essere risarcite, esse resteranno tali per sempre, hanno generato ferite non rimarginabili. Questa è almeno l’impressione che si ricava ascoltando l’audizione di David Meghnagi di fronte alla Commissione Esteri della Camera dei deputati a proposito della sorte degli ebrei nei Paesi arabi.
Ma se ciò che è avvenuto nei Paesi arabi con la cacciata, in un lasso di tempo abbastanza breve, della popolazione ebraica che vi risiedeva da centinaia di anni, non è reversibile, se gli ebrei del Nord Africa ma anche dell’Iraq, della Siria dello Yemen non hanno alcuna possibilità di far ritorno alle loro terre d’origine, né l’hanno i loro discendenti, che senso ha coltivare la memoria dell’esodo, di un’altra diaspora che si è aggiunta a tante già vissute in passato?
Valentino Baldacci
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Miele artificiale
C'è chi ha salutato come una grande e buona innovazione la notizia che due fratelli israeliani, di nome curiosamente Dwash (miele in ebraico), abbiano messo a punto un processo industriale per produrre un composto dolce con caratteristiche simili al miele, al fine di evitare lo “sfruttamento” (sarebbe più corretto parlare di “utilizzo”) delle api per produrre il miele.
L’iniziativa, stando alle spiegazioni di un giornale, sarebbe partita per evitare che le api, “bottinando” in campi infestati da pesticidi, si avvelenino e scompaiano. Preoccupazione più che giusta, ma il rimedio non è altrettanto corretto.
Roberto Jona
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