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L'INTERVISTA A GIOVANNI CANZIO, PRESIDENTE EMERITO DELLA CORTE DI CASSAZIONE

“Memoria, l’Italia cambia passo”

Fare i conti con il passato, in Italia, non è mai stato troppo semplice. Ma la strada intrapresa sembra finalmente quella giusta. Ne è convinto Giovanni Canzio, Primo Presidente emerito della Suprema Corte di Cassazione e Presidente della Commissione di studio che, insediatasi a Palazzo Chigi su impulso dell’UCEI, si è battuta per un aggiornamento della normativa a favore dei perseguitati politici e razziali. Un impegno e un duro lavoro per un risultato che Canzio non esita a definire storico. E questo in ragione di almeno due motivi, affermati nella Legge di bilancio 2021 approvata lo scorso dicembre: il superamento del limite temporale fissato all’otto settembre del ’43, non comprensivo fino a quel momento della fase in cui dalla persecuzione dei diritti si passò anche a quella delle vite; e il ribaltamento di prospettiva sull’onere della prova della persecuzione, con la cessazione di quel degradante meccanismo che obbligava, chi aveva sofferto, a doverlo dimostrare. “Questa svolta è stata definita un ‘piccolo grande gesto che vale tantissimo’. Penso si tratti di una interpretazione corretta”, sottolinea il magistrato.

Come ha lavorato il vostro gruppo?
La composizione era ampia: magistrati, rappresentanti dei ministeri, delegati delle istituzioni ebraiche e di altre organizzazioni. Ci siamo trovati davanti a un’evidenza del sistema. Il nodo era la norma, donde l’impossibilità di procedere con soft law e linee guida. Il vulnus: che l’interessato dovesse dar prova di essere stato perseguitato, quando l’atto di violenza era già scritto e ordinato nelle leggi, nei decreti e nei provvedimenti dello Stato fascista. Un onere antistorico e a dir poco diabolico.

Perché questo cambio di passo proprio adesso?
Determinante è stato il lavoro svolto dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dai difensori degli aventi diritto. Anche attraverso una coraggiosa campagna di stampa, sono emerse tutte le storture di un meccanismo che ha suscitato, in un numero crescente di persone, vero e proprio sconcerto. Rilevante poi l’impatto suscitato dalle iniziative organizzate fin dal 2018 per gli 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziste. E questo perché tutto il Paese, nelle sue principali espressioni istituzionali, si è interrogato su quel tragico periodo storico, in modo collegiale e intelligente, portando alla luce anche gli aspetti più “scomodi” di un passato che non possiamo dimenticare.

È stata anche l’occasione per ricordare che le responsabilità fasciste, nella persecuzione antiebraica, non terminano certo con l’otto settembre.
È proprio così. Finalmente si è riusciti ad affermarlo anche a livello giuridico, facendo sì che fosse superato il limite della data dell’armistizio. Si arriva adesso fino al 25 aprile del ’45. Solo allora, con la sconfitta definitiva del nazifascismo, si può parlare di fine del regime di persecuzione. Sembra incredibile che si sia dovuto aspettare così tanto tempo per affermare un concetto così evidente. Per fortuna ci si è riusciti ed è giusto per tutti.
Un altro esempio: il nodo dell’infanzia perseguitata, con numerose e gravi contraddizioni a livello di giurisprudenza della Corte dei conti. Anche qui si chiedeva una prova, una documentazione specifica sul vissuto del bambino. E anche qui la visuale è stata capovolta: dovrà essere il ministero dell’Economia e delle Finanze, casomai, ad attivarsi. A fornire eventuali evidenze in senso contrario.
Altro capitolo di cui ci siamo occupati è stato il chiarimento della condizione dello status degli ebrei italo-libici, ribadendo come essi e i loro discendenti debbano godere degli stessi diritti dei cittadini ebrei italiani. È stato necessario farlo perché, anche in questo ambito, qualcosa non funzionava in modo esplicito e chiaro.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche Agosto 2021

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IL PROVVEDIMENTO DOVRÀ ORA ESSERE APPROVATO ALLA KNESSET

Bilancio d'Israele, un'attesa lunga tre anni
Il governo trova l'accordo

Quasi ventiquattro ore di discussione, ma il governo Bennett-Lapid è riuscito a portare a casa un primo risultato fondamentale per Israele. Dopo tre anni di attesa, l'esecutivo è riuscito finalmente ad approvare la legge di Bilancio. “Dopo tre anni di stagnazione, il paese si rimette al lavoro”, il commento del Primo ministro Naftali Bennett, dopo l'intesa raggiunta con i colleghi della coalizione. “Chiedo ai membri del governo - ha poi aggiunto il premier - di capire la grandezza di questo momento: dopo anni di abbandono, abbiamo dato vita un bilancio audace, competitivo, utile alle fasce più deboli e attento al futuro dei nostri figli”. Una grande soddisfazione condivisa dall'alleato e ministro degli Esteri Yair Lapid. “Stiamo finalmente rimettendo il paese in pista: ci sarà un bilancio per la salute, la difesa, l'istruzione, il Welfare, i trasporti”, le parole di Lapid. 
Tanti gli elementi di novità di un provvedimento che dovrà ora essere approvato dalla Knesset. Un passaggio fondamentale su cui il governo di Gerusalemme, retto da una esile maggioranza, si gioca gran parte del proprio futuro. Senza l'approvazione entro novembre del Bilancio, l'esecutivo infatti cadrà, il parlamento verrà sciolto e saranno indette nuove elezioni. Considerando che la maggioranza si regge su un solo voto, l'esito positivo non è scontato. Parlando con la radio Reshet Bet, il direttore del ministero delle Finanze Ram Blinkov si è però detto ottimista: già a settembre, la sua valutazione, il Bilancio verrà approvato e senza grandi modifiche.

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LA MEDAGLIA DELL'ATLETA E IL DIBATTITO GENERATO DALLE PAROLE DELLA MADRE

Artem Dolgopyat e l'oro che emoziona Israele
“Eroe nazionale, ma non può sposarsi”

“Dove eri, cosa facevi il Primo agosto?” È una domanda che ci si porrà chissà per quanti anni ancora, memori dell’indimenticabile giornata vissuta dall’atletica e dallo sport italiano. Rideclinata in ebraico, suona così: “Eifo ha’yita uma asita barishon le’ogust?”. Perché, anche per Israele, quella di ieri è stata una giornata storica. Secondo oro olimpico di sempre, a distanza di 17 anni dall’affermazione del velista Gal Fridman ad Atene.
Sul gradino più alto del podio è salito Artem Dolgopyat, primo nel corpo libero a pari punti con lo spagnolo Rayderley Zapata ma unico titolare dell’oro visto l’esercizio di maggior difficoltà compiuto. Israele torna sulla mappa dei Giochi con una storia non banale, quella di un giovane campione nato a Dnipro in Ucraina ma formatosi come sportivo di alto livello a Tel Aviv, dove la sua famiglia è emigrata quando aveva 12 anni.
Un oro per Israele è un evento talmente raro che il Primo ministro Naftali Bennett ha interrotto il Consiglio dei ministri in svolgimento negli stessi minuti per congratularsi con Dolgopyat: “Grazie Artem, hai fatto la storia e ci hai regalato una gioia enorme”, gli ha detto al telefono. Anche il capo dello Stato Isaac Herzog non è stato da meno: “Grazie dal profondo del cuore a nome di tutti gli israeliani”. Lui dal canto suo ha replicato: “Sono fiero che tutto il Paese mi abbia seguito. Tutto quello che ho fatto è stato per Israele”.
Nel giorno della festa un piccolo caso l’ha aperto la madre Angela, con alcune dichiarazioni al vetriolo che hanno agitato il post-gara: suo figlio, ha raccontato, è fidanzato con una ragazza bielorussa da tre anni. Vorrebbe sposarsi in Israele, ma non può farlo perché il matrimonio civile non è ad oggi contemplato.

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I veri nemici della democrazia
In mezzo a tanta confusione, alle orripilanti affermazioni di chi, già – e ancora – negatore della Shoah, dà del nazista al governo democratico del nostro paese, in mezzo a chi chiede per sé la libertà di infettare gli altri e accusa chi gliela nega di essere contro la democrazia e la Costituzione… In mezzo a tutto questo, alla politicizzazione, guidata dai neofascisti, delle paure e delle voglie di complotto di tanti.. Be’ ci si dimentica che c’è stato nel nostro Paese, l’Italia, chi ha effettivamente attentato alla democrazia, voluto cancellare tutte le conquiste del dopoguerra, ritornare al fascismo sconfitto. Non mi dimentico delle Brigate Rosse, che anche loro questo hanno fatto, facendo calare sul nostro Paese una notte assai cupa. E neppure mi dimentico della mafia, delle sue stragi, dei suoi legami occulti o meno occulti con l’eversione. Ma la data di oggi mi porta all’eversione fascista, quella che percorre la nostra storia da piazza Fontana in poi: Brescia, l’Italicus, e ancora quella di cui oggi ricordiamo il 41° anniversario, la più sanguinosa di tutti, la strage di Bologna, 2 agosto 1980, 85 vittime.
Anna Foa
Oltremare - L'inno 
Ci vuole proprio una persona poco attenta alle cose sportive come me, per scoprire solo adesso che alle premiazioni durante le Olimpiadi, nonostante per ogni specialità vengano attribuite tre o perfino quattro medaglie, un solo inno viene suonato, quello relativo al detentore della medaglia d'oro. Fino a ieri alle 10:30 del mattino ora israeliana questo era un gran peccato, perché fino a quel punto Israele aveva ottenuto, o conquistato, solo due bronzi e tutti e due in modo abbastanza inatteso. Quindi grande felicità ma niente inno, e io ci ero rimasta un po' male perché so quanto l'Hatikwa sia ubiqua nella nostra vita di israeliani.
Daniela Fubini
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Controvento - Si può fermare l’Apocalisse del Pianeta?
Il 29 luglio è stato un giorno funesto per il pianeta. Incendi devastanti scoppiati ovunque -biblico quello sulle coste dell’Anatolia, in Turchia, passato praticamente inosservato in Italia, dove i media sono concentrati sul Covid, le Olimpiadi e le schermaglie politiche: sono bruciati migliaia di ettari di foresta protetta, antichissima, già nota ai greci e ai romani che occuparono quel fertile e meraviglioso territorio, migliaia di case andate in fumo e di persone evacuate. Sopra l’isola greca dove mi trovo, a 6 miglia dall’Anatolia, il cielo è stato nero per due giorni. E da noi le “bombe” di gradine, le frane, i fiumi esondati, i fuochi in Sardegna e Sicilia… Crudele la natura o incosciente l’umanità, che sembra ballare sul ponte del Titanic che affonda, dove il Titanic è il nostro pianeta?
Viviana Kasam
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Storie di Libia - Betti Guetta
Betti nata a Tripoli, ebrea di Libia. Dedica l’intervista alla memoria dei suoi genitori. La sua famiglia era religiosa, osservante e tradizionalista. Non ha ricordi di vita in Libia perché si erano trasferiti in Italia nel 1957 quando lei aveva solo 11 mesi. Il padre aveva deciso per questo passo perché temeva quello che poi sarebbe successo e si diresse a Milano dove non aveva nessun familiare e aprì una attività commerciale. In casa si parlava in italiano e in arabo. Sono rimasti apolidi per circa 14 anni, e in casa prevaleva una forte identità ebraica. Attualmente si considera integrata. Ricorda alcuni frammenti di vacanze estive a casa della nonna a Tripoli. 
David Gerbi
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