Storie di Libia – Betti Guetta
Betti nata a Tripoli, ebrea di Libia. Dedica l’intervista alla memoria dei suoi genitori. La sua famiglia era religiosa, osservante e tradizionalista. Non ha ricordi di vita in Libia perché si erano trasferiti in Italia nel 1957 quando lei aveva solo 11 mesi. Il padre aveva deciso per questo passo perché temeva quello che poi sarebbe successo e si diresse a Milano dove non aveva nessun familiare e aprì una attività commerciale. In casa si parlava in italiano e in arabo. Sono rimasti apolidi per circa 14 anni, e in casa prevaleva una forte identità ebraica. Attualmente si considera integrata. Ricorda alcuni frammenti di vacanze estive a casa della nonna a Tripoli. Ha alcuni ricordi nitidi della Hara e della spiaggia di Tripoli. L’abbigliamento dei nonni in Libia era tipicamente arabo. Ricorda che andavano al mare con la carrozza e che una volta, tornando dal mare, mentre scendeva dalla carrozza, un gruppetto di bambini arabi le lanciò contro dei sassi e si azzuffarono con i suoi cugini accorsi in aiuto. Nel 1967 vivevano a Tripoli molti suoi familiari e tutti riuscirono a salvarsi. Di Tripoli ricorda che tutti nel palazzo si chiamavano zio e zia e c’era un senso di unità, di familiarità tra gli ebrei. Gli ebrei di Libia hanno un gran bagaglio di resilienza a suo parere. La sua famiglia ha conservato le tradizioni ebraiche libiche religiose e gastronomiche.
Betti cerca di mantenere le tradizioni identitarie e nonostante un percorso di vita non osservante esprime la profondità della sua religiosità. Ci dice “Se Dio vuole e se Dio non vuole”, “non sappiamo cosa è in serbo per noi, ma la fede in Dio dona grande forza”.
Betti vive a Milano dove non c’è una comunità di ebrei di Libia numerosa come quella romana. Si considera integrata nella società italiana ma con “un sottofondo di musica araba”. Ricorda dai tempi della scuola, delle famiglie di compagni che chi proveniva dall’Egitto parlava con nostalgia dei bei tempi passati mentre chi proveniva da Tripoli era solo felice dello scampato pericolo.
Le piacerebbe poter vedere Tripoli e andare a visitare le tombe dei suoi nonni ma è un pensiero remoto: sa che non sarà possibile e avrebbe comunque paura di andarci. Ritiene giusto che le persone possano riavere quanto è stato loro confiscato.
La sua identità è composita, si sente a casa in Italia così come in Israele.
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(Per contattare l’autore, anche per eventuali testimonianze sulle storie e le memorie degli ebrei di Libia, è possibile scrivere a: davidgerbi26@gmail.com)
David Gerbi, psicoanalista junghiano
(2 agosto 2021)