IL DOSSIER PADOVA EBRAICA
Ramhal, i tormenti del grande mistico

Il numero di agosto di Pagine Ebraiche in distribuzione ha al suo interno uno speciale dossier dedicato alla Padova ebraica. Tra passato, presente e futuro, lo sguardo su una Comunità unica nel suo genere, punto di riferimento per molte generazioni anche del pensiero e della tradizione rabbinica.
Uno dei tanti ambiti che saranno ripercorsi in occasione della prossima Giornata Europea della Cultura Ebraica di cui Padova sarà città capofila per l’Italia.
Conosciuto anche con l’acronimo Ramhal, Moshé Chaim Luzzatto (1707-1746) è stato uno dei più influenti rabbini e Maestri di ogni epoca. Uno dei tanti figli illustri di quella Padova ebraica che fu anche centro d’irradiazione nella sfera, affascinante e complessa, del misticismo. Ambito spinoso che lo portò a scontrarsi con la classe rabbinica del suo tempo, rischiando a più riprese l’imposizione di provvedimenti molto duri. Fino alla decisione di emigrare prima a Francoforte e poi ad Amsterdam, alla ricerca di un contesto meno ostile dove esporre le sue idee e convinzioni, e poi in terra d’Israele dove morirà, ancora piuttosto giovane, a causa di una pestilenza. Un prestigioso convegno in due giornate, svoltosi tra Padova e Ravenna nel trecentesimo anniversario dalla nascita e in collaborazione con l’associazione italiana per lo Studio del Giudaismo (AISG), ha riportato luce e attenzione su questa figura.
Punto di svolta della sua vita il momento in cui, a vent’anni, affermò di ricevere istruzioni direttamente da un essere mistico, un maggid. Storie simili non erano estranee ai circoli cabalistici. Ma, come ricordavamo allora su Pagine Ebraiche, non era mai successo che una persona così giovane ricevesse il privilegio di poter parlare con un messaggero divino. I suoi colleghi ne restarono affascinati, ma le autorità superiori dei rabbini veneziani non furono dello stesso avviso. E così, per il Ramhal, iniziarono guai e peregrinazioni.
Tra i vari temi al centro della due giorni la dottrina del gilgul (reincarnazione) di cui Ramchal, ricordava rav Alberto Moshe Somekh, si fece portavoce “sulla scia di una lunga tradizione”. Una dottrina nata per rispondere a vari ordini di problemi. Una forma di reazione, in un certo senso, all’esperienza di popolo in esilio acuitasi alcuni secoli prima con l’infame Cacciata dalla Spagna della limpieza de sangre. “È in questo contesto – veniva fatto notare – che l’esilio diviene metafora cosmica dell’esilio della Shekinah in cerca di riparazione (tiqqun)”.
Una vicenda storica dalla quale matureranno una serie di considerazioni di carattere più generale e universale. Come la teodicea segnata da questa domanda angosciante, presente anche nel mistico padovano: “Perché i giusti soffrono e i malvagi prosperano?”.
Per Amos Luzzatto, uno dei meriti che vanno riconosciuti al Ramhal, a livello di approccio ai testi è quello di “avere fatto uno sforzo per uscire da una metodologia di studio basata sulla esclusività di canoni classici tradizionali (le middot, sviluppate dai commentatori e nelle yeshivot)” e un’apertura al confronto con “metodi logici generali, che sono validi nella loro genericità e, se vogliamo, nella loro astrazione, dando loro validità indipendentemente dal contenuto specifico del singolo caso”.
Per Alessandro Guetta il Ramhal è stato una figura ponte tra mondi: “Quello sempre vivo del pensiero e della devozione cabbalistica e quello del razionalismo settecentesco, improntato alla metodologia scientifica e all’ottimismo sul destino dell’Umanità”.
(Nelle immagini: un affresco ad Acri in onore del Ramhal; il diploma rabbinico suo e di Moshe David Valle e Isaia Romanin; la lapide tombaria a Tiberiade)
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DALL'11 AGOSTO PREVISTA LA QUARANTENA PER CHI ARRIVA DALL'ITALIA
“Vogliamo tenere aperta Israele,
ma tutti devono vaccinarsi”

Con oltre tremila contagi registrati per il secondo giorno consecutivo, in Israele si torna persino a parlare di lockdown. “Il nostro obiettivo è mantenere Israele aperta, ma non permettere che si arrivi a una situazione in cui gli ospedali debbano dire 'non abbiamo spazio, non potete entrare'”, ha avvisato in queste ore il Primo ministro Naftali Bennett. Il suo governo nella notte ha approvato l'introduzione di nuove misure restrittive perché la variante Delta del coronavirus Sars-CoV-2 continua a diffondersi nel paese. Dei 449 pazienti ricoverati, 237 sono in gravi condizioni, con 48 collegati a ventilatori. Si è ancora lontani dal raggiungere il punto critico, ma il governo di Gerusalemme non vuole fare errori. Tanto da aver deciso di fare da apripista per l'inoculazione della terza dose di vaccino alle fasce della popolazione considerate più fragili. Ma la priorità, afferma Bennett, rimane quella di far vaccinare chi ancora non l'ha fatto. “Per non attuare misure più dure, dobbiamo vaccinarci. Ci sono un milione di giovani e altri 1,2 milioni che devono ancora ricevere il vaccino. Se indossiamo le mascherine e ci atteniamo alla distanza sociale, avremo successo”.
A partire dal prossimo 11 agosto i viaggiatori in arrivo in Israele da Italia, Stati Uniti, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi e altri 12 Paesi dovranno inoltre rispettare una quarantena di almeno sette giorni, anche se pienamente vaccinati o guariti dal Covid-19.
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L'ATLETA AFRICANO, RIFUGIATO IN ISRAELE, IN GARA A TOKYO
Dal Darfur a Tel Aviv, il sogno olimpico di Jamal

“Se oggi o domani mi chiedessero di rappresentare Israele, direi subito di sì. Mi sento israeliano e vorrei restituire qualcosa al paese che mi ha accolto”. Dopo aver ottenuto nel palcoscenico più importante, le Olimpiadi di Tokyo, il proprio record personale sui 5000 metri, Jamal Abdelmaji Eisa Mohammed racconta il suo sogno di poter un giorno correre con i colori del paese in cui si è ricostruito una vita. Per il momento a Tokyo la maglia che ha indossato è stata quella della squadra olimpica dei rifugiati. Ci è arrivato grazie agli allenamenti a Tel Aviv e all'essersi guadagnato con i risultati una borsa di studio del Comitato olimpico internazionale. “Correre a Tokyo è stato davvero divertente, mi sono goduto ogni momento in cui ho gareggiato ed è stata un'esperienza straordinaria”, le sue parole all'emittente israeliana Kan. Su 37 corridori in gara è arrivato ventitreesimo, abbassando di ben 12 secondi il proprio personale. È soddisfatto, ma nelle gambe si sente tempi migliori. “È come se non avessi ancora veramente iniziato. So che parlare in questo modo non è saggio, ma è così che mi sento. Avrei potuto correre meglio di quanto ho fatto, ero solo stupito dalla concorrenza”, spiega l'atleta, che dimostra una certa fiducia nei suoi mezzi. Lui che all'atletica ci è arrivato per caso.
La sua storia inizia nel Darfur, regione del Sudan Occidentale. Quando nel 2003 scoppia il conflitto, alcuni miliziani entrano nel suo villaggio e uccidono 97 persone tra cui il padre. Jamal, che ha dieci anni, assieme ai tre fratelli e alla madre scappa. Per anni cerca di lasciare il paese, rimanendo schiacciato tra la guerra e la violenza dei trafficanti di esseri umani. Nel 2010 riesce finalmente nel suo intento. Inizialmente gli viene promesso un biglietto per il Canada. Lui, racconterà in un'intervista, non sa neanche dove sia quel paese, l'importante è partire. Non sa neanche dove sia Israele, ma è lì che lo dirigono in realtà i trafficanti.
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LA SCOMPARSA DELLO SCRITTORE, PREMIO STREGA CON "CANALE MUSSOLINI"
Antonio Pennacchi (1950-2021)
“La cosa di cui sono più orgoglioso in tutta la mia vita è d’essermi offerto volontario nel 1967 per la guerra dei sei giorni. Avevo diciassette anni e andai apposta all’ambasciata d’Israele a Roma. Ad iscrivermi negli elenchi. Poi loro per fortuna mia e probabilmente pure loro non m’hanno preso. Però io ci sono andato e resto a tutti gli effetti un volontario”.
C’era anche questo nell’avventurosa esistenza di Antonio Pennacchi, il grande scrittore nativo di Latina scomparso nelle scorse ore all’età di 71. Arrivato al successo dopo una lunga serie di rifiuti editoriali, aveva esordito con Mammut (1994). Mentre nel 2003 era stata la volta de Il fasciocomunista. Nel 2010 la ribalta nazionale con Canale Mussolini, vincitore tra gli altri del Premio Strega.
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Ticketless - Storie di ordinaria povertà
 Questa settimana vorrei suggerire una lettura per il mese di agosto. Potrei dire che è il libro di storia che più mi ha convinto nell’anno in corso. Lo ha scritto Luciano Allegra ( La povertà degli ebrei. Voci dal ghetto, Zamorani): “L’idea che nel mondo occidentale, dal medioevo fino ai giorni nostri, ci si è fatta degli ebrei è che fossero – e siano – pressoché tutti ricchi”, spiega l’autore: “Gli ebrei vengono associati a una sorta di opulenza quasi congenita. Questa caratterizzazione si è incarnata in una lunga serie di raffigurazioni sarcastiche e spregiative, fra cui spiccano quelle novecentesche, che hanno nutrito la persistenza di stereotipi difficili da superare.
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Il Paradiso al tempo di Dante
 Come abbiamo scritto mercoledì scorso, tra le terzine della Commedia dedicate al popolo ebraico un posto di primo piano occupano, certamente, quelle, del quarto canto dell’Inferno, dedicate all’ascesa in Paradiso dell’antico popolo di Israele.
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Dodici anni di oblio
 Il grande compositore tedesco Richard Strauss, dopo una iniziale e mai convinta adesione alla Reichsmusikkammer, ne prese le distanze; nel 1938 sua nuora ebrea Alice fu posta agli arresti domiciliari presso il cottage bavarese del maestro a Garmisch-Partenkirchen, Strauss mosse le sue conoscenze berlinesi per garantirne l’incolumità ma qualche anno dopo nulla poté per far rilasciare la nonna ebrea di Alice deportata a Theresienstadt (i genitori di Alice erano al sicuro in Svizzera).
Francesco Lotoro
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