L'INTERVISTA AL REGISTA ISRAELIANO YAIR QEDAR
La scrittura, gli ideali, l'amore per l'Italia:
il mondo di A.B Yehoshua

La figlia unica, l’ultimo romanzo di Abraham B. Yehoshua, è un libro straordinario. Stimolante in ogni sua pagina ed efficace in particolare nella sua capacità di suscitare riflessioni su temi e dilemmi identitari al centro del dibattito anche di quell’Italia ebraica di cui si dimostra profondo conoscitore. Un libro che è anche un grande atto d’amore verso un Paese col quale lo scrittore israeliano, che a dicembre compirà 85 anni, sente di avere un feeling speciale. “L’ultimo capitolo di A.B Yehoshua”, film-documentario del regista suo connazionale Yair Qedar, ci racconta qualcosa di più su questo aspetto e su molto altro ancora. Un’occasione davvero unica per cogliere alcuni aspetti più intimi della sua vita, delle sue convinzioni, del suo modo di agire e stare al mondo.
“Il documentario fa parte di una serie incentrata su grandi figure della letteratura ebraica intitolata Ha-ivrim/The Hebrews. È il sedicesimo episodio di questo percorso, il primo che ho scelto di dedicare a una persona ancora in vita” spiega il regista a Pagine Ebraiche, pronto ormai a prendere un volo con destinazione Venezia dove giovedì pomeriggio sarà protagonista di un evento-proiezione in programma all’Università Ca’ Foscari su iniziativa di ambasciata d’Israele in Italia e Comunità ebraica veneziana (parteciperà, collegato a distanza, lo stesso Yehoshua).
“Ho scelto di fare un’eccezione – prosegue Qedar – perché quella di trascorrere del tempo con un così grande personaggio si è rivelata un’opportunità di quelle che passano una sola volta nella vita. Nell’accogliermi nel suo mondo Yehoshua ha esordito spiegando di non avere molto tempo davanti a sé, anche per via della malattia che lo affligge. Non l’unico motivo di sofferenza con cui deve confrontarsi oggigiorno. Parliamo di un uomo che, duramente provato da ciò, dal 2016 è vedovo. Ciò nonostante Yehoshua ha ancora la freschezza e la curiosità tipiche di un ventenne”.

Due caratteristiche, secondo Qedar, sono in lui predominanti: “Una forte curiosità, per l’appunto. Ma anche il tentativo persistente di creare un clima armonico attorno a sé. L’ho visto in azione, con questo slancio, nei contesti più diversi. Come mediatore tra esseri umani in dissenso, ma anche nel pieno della sua lotta al tumore. Oggi mi sento di dirlo più che consapevolmente: Yehoshua è un uomo tranquillo”. Tranquillo, ma all’occorrenza anche combattivo: “L’ho visto infervorarsi piuttosto spesso, sia che si trattasse di criticare l’ex premier Netanyahu di cui come noto non è un fan che di contestare le misure del governo in materia di contrasto alla pandemia. Mite senz’altro, però mai arrendevole. Mi pare un fatto positivo”.
Nel film Qedar immortala Yehoshua all’opera come scrittore (“Quando ha un’idea la scrive di getto. Se sorride è un buon segnale”) e parla con lui anche di Italia. Un legame che nasce all’inizio degli Anni Ottanta quando, sottolinea il regista, “il vostro era uno dei pochi Paesi in cui lui aveva più successo di Amos Oz”. Non a caso il film si sarebbe dovuto girare in parte qui “ma purtroppo, per via del Covid, non se ne è potuto fare niente”. Yehoshua ha visto “L’ultimo capitolo” appena una settimana prima che fosse presentato e prendesse la strada di proiezioni e festival. “È stato, da parte sua, un atto di fiducia che mi onora. Lo abbiamo guardato insieme, nel suo studio. Ogni tanto piangeva, ogni tanto rideva: buon segnale, ormai lo conosco. Alla fine mi ha dato un bacio sulla guancia”.
Il titolo dell’opera l’ha scelto lui personalmente. Ma non è detta che, per Yehoshua artista e Maestro della parola, sia finita qui. “D’altronde – ricorda Qedar – nei libri dopo l’ultimo capitolo può esserci talvolta anche un epilogo. Tenderei a non escluderlo”.
(Nelle immagini: A.B. Yehoshua nella sua abitazione; insieme al regista Yair Qedar)
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LA CERIMONIA A ROMA
“Chanukkah, testimonianza di vita e valori"

Torna ad accendersi, in molte piazze italiane, la luce di Chanukkah.
Per il 34esimo anno consecutivo a Roma uno degli scenari più significativi è Piazza Barberini, dove da qualche ora è collocata la grande Chanukkiah sempre illuminata dal 1987 ad oggi su iniziativa del movimento Chabad Lubavitch e in particolare della famiglia Hazan. Ad intervenire all'accensione del primo lume, tra gli altri, il sindaco Roberto Gualtieri, la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni.
Il primo cittadino ha esordito lodando l'impegno ultradecennale della famiglia Hazan e il grande ruolo anche sociale e culturale svolto, in oltre due millenni di presenza, dagli ebrei romani. "La Comunità ebraica è forse la più romana tra le componenti della città. Al tempo è stesso dotata di una proiezione internazionale che arricchisce tutti noi", la sua riflessione al riguardo. Il sindaco ha anche esaltato il significato di una festa che dimostra come "la difesa della propria identità sia compatibile con l'apertura e il dialogo".
Fu proprio in occasione degli eventi celebrati a Chanukkah, ha ricordato Dureghello, che i Maccabei scelsero di rivolgersi al Senato con una richiesto d'aiuto. L'inizio di una lunga storia di relazioni e intrecci. "Da allora - il suo messaggio - Roma e Israele sono legate indissolubilmente". Chanukkah, festa della luce e della consapevolezza. Come ha evidenziato il rav Di Segni, "siamo qui per ricordarci chi siamo, per difendere i nostri valori contro chiunque li voglia cancellare".
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LE ACCENSIONI NELLE SINAGOGHE E NELLE PIAZZE
Chanukkah, luce in tutta l'Italia ebraica




Luce nelle piazze e nelle sinagoghe di tutto il Paese. Nelle immagini le cerimonie di accensione della Chanukkiah in piazza San Carlo a Milano e nei Beth haKnesset di Firenze, Torino e Livorno.
(La foto di Firenze è di Noemi Coen)
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LA CERIMONIA A FERRARA
Luce in via Mazzini, una storica prima volta

Luci accese per la prima volta nella via principale dell’ex ghetto di Ferrara: via Mazzini, proprio di fronte all’edificio che accoglie le tre sinagoghe. A festeggiare l’ingresso di Chanukkah anche l’amministrazione comunale, che ha fatto dono alla città di un suggestivo candelabro davanti al quale si sono recitate le benedizioni e i canti tradizionali.
“Fortemente voluta dal sindaco Alan Fabbri, la cerimonia è stata condotta dal rabbino capo rav Luciano Caro e dal presidente della Comunità ebraica Fortunato Arbib alla presenza del primo cittadino, del prefetto e delle maggiori autorità civili e militari”, riferisce il direttore del Meis Amedeo Spagnoletto. Il Meis festeggerà invece domani con un concerto della Israel Klezmer Orchestra, attesa stasera da una prima prova a Roma su invito della Comunità ebraica e del Centro Pitigliani.
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OTTO GIORNI, OTTO LUMI / 2
È la forza dello studio che ci eleva
Nel brano profetico che leggeremo il prossimo sabato è scritto (Zaccaria 3:7): “…ti concederò di procedere tra coloro che si trovano qui”. Il versetto sottolinea che è prerogativa umana “mehalekhim/precedere, camminare” mentre quella degli angeli è di “omedim/stare fermi”. Il Gaon di Vilna (Eliyahu ben Shlomo Zalman 1720-1797) spiega che nell’ambito dello spirito se una persona non si eleva alla fine recede perché non si può rimane nella medesima situazione, cosa possibile solo per gli angeli. Il pericolo del rimanere fermi nella spiritualità è molto grande e i lumi di Chanukkà, con le loro fiammelle che tendono verso l’alto, rappresentano la forza dello studio della Torà che ci innalza sempre più in ogni istante della nostra vita.
Rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
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RESPINTO IL RICORSO DEL NONNO MATERNO
La sentenza della Corte suprema d'Israele:
il piccolo Eitan dovrà tornare in Italia
Eitan Biran, il bambino israeliano unico sopravvissuto al crollo della funivia del Mottarone, dovrà tornare in Italia. È quanto stabilito dalla Corte suprema d'Israele che ha oggi respinto il ricorso presentato dal nonno materno Shmuel Peleg. Secondo la Corte il bambino ha "vissuto in Italia quasi tutta la sua vita" e quindi non lo si può allontanare dalla "sua residenza abituale". A tal proposito il nonno non avrebbe fornito una motivazione valida "per cui il ritorno in Italia possa provocare al piccolo un danno psichico o fisico".
La sentenza dovrà essere esecutiva entro quindici giorni.
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30 Novembre 1943

Accadde 78 anni fa. Per non dimenticare. In seguito al punto 7 della Carta di Verona che prevedeva che “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica” il 30 novembre 1943 fu emanata dalla Repubblica di Salò questa disposizione: 1. Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale, debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche(...).
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Oltremare - Chiusura

Per la serie delle cose che si sentono di sfuggita alla radio mentre si sta facendo qualcos’altro, e poi ci si domanda se si è sentito bene: il rabbino capo del Sud Africa afferma che tutti gli ebrei del mondo sono una unica comunità, e quindi Israele dovrebbe far entrare anche adesso qualunque ebreo, Covid o non Covid.
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Storie di Libia - Rachele Guetta Bentorà

Rachele Guetta Bentorà, ebrea libica, nata a Tripoli nel 1935. La sua famiglia era molto religiosa e osservava tutte le regole dell’ebraismo, il cibo, le feste, lo Shabbat, che iniziando il venerdì pomeriggio era gradito alla comunità musulmana in quanto il venerdì è giorno sacro per l'Islam e tutti indistintamente dovevano chiudere ogni attività.
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