Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   19 Dicembre 2021 - 15 Tevet 5782
LA GIORNATA DELLA LINGUA EBRAICA - VOCI A CONFRONTO 

"Ebraico, cuore della nostra identità"

“Fino a otto anni e mezzo la mia lingua madre è stata il tedesco. Quando sono arrivato in Israele non avevo più nessuno con cui parlarlo e, ragazzino, ho cominciato a studiare l’ebraico. Ma la lingua madre è come il latte materno. Un uomo che ne viene privato è malato per tutta la vita: la lingua materna non la parli, scorre: quando te la portano via ti si crea dentro una voragine e devi sforzarti in ogni modo di colmarla. Così ho iniziato a studiare l’ebraico e l’ebraico è divenuto la mia lingua madre. È stato un grande sforzo, una fatica impegnativa”. Così lo scrittore israeliano Aharon Appelfeld, sopravvissuto alla Shoah, raccontava a Pagine Ebraiche il suo rapporto con la lingua ebraica. Una lingua conquistata con fatica e impegno quotidiano, con cui scrivere la propria vita e i propri pensieri; con cui definire la propria identità. “Se un ebreo vuole essere tale in modo profondo dovrebbe conoscere l’ebraico, così come dovrebbe conoscere i testi fondamentali della nostra tradizione, la filosofia, la mistica”, sottolineava Appelfeld. Parole che tornano in mente mentre Israele si prepara a celebrare il Giorno della lingua ebraica (quest'anno il 23 dicembre). Un momento per ricordarne il ruolo centrale nella storia dell'ebraismo e d'Israele così come per promuoverne l'insegnamento. “Lo studio dell'ebraico è parte della nostra identità. - ricorda a Pagine Ebraiche rav Giuseppe Momigliano, membro della Giunta dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e rabbino capo di Genova – Spesso quando studiamo una materia non la sentiamo fino in fondo nostra. Con l'ebraico è diverso, dobbiamo realmente sentirla come parte di noi. E come modo per esprimere il nostro forte legame con lo stato d’Israele”. 
Tante sono le iniziative e gli approfondimenti organizzati in Israele per la Giornata della lingua ebraica, che coincide con la data di nascita di Eliezer Ben Yehuda, considerato il padre della sua versione moderna. Per Ben Yehuda, l'ebraico rappresentava la continuità tra le generazioni. “Tanto più gli ebrei non possono essere una nazione viva se non rientrando nella patria dei loro avi, così non possono essere un popolo vivo, se non rientrando della lingua dei loro avi - scrisse nel 1918 nell'introduzione al suo Dizionario della lingua ebraica - e utilizzandola non solamente per i loro libri, per le cose sacre o per la filosofia, ma anche nella lingua di tutti i giorni dei grandi e dei piccini, delle donne e dei bambini, dei ragazzi e delle ragazze, per tutte le cose della vita, in tutte le ore del giorno e della notte, come fanno tutti i popoli che parlano la propria lingua”. 
L'ebraico dunque pensato come lingua della quotidianità in quello che all'epoca di Ben Yehuda era ancora l'Yishuv, il fondamento del futuro Stato d'Israele. In quegli anni, come ricorda Anna Linda Callow nel suo La lingua che visse due volte (Garzanti), si diffondeva lo slogan “Ivri, dabber ivrit!”, “Ebreo, parla ebraico!”. Per la nascente Israele, come è noto, la scelta della lingua nazionale non fu un elemento scontato: l'yiddish, parlato da milioni di ebrei, si contendeva l'onore e onere di diventare la lingua dello Stato ebraico. Vinse l'ebraico grazie alla proposta culturale di Ben Yehuda che si fondava su un progetto ben preciso, sottolinea Callow, docente di ebraico all'Università di Milano, “la conquista del linguaggio senza sconti e senza compromessi”. Per lui la scelta per Israele doveva essere radicale: “rak ivrit”, solo l'ebraico.
Una frase che risuonerà in diverse case israeliane nel corso dei decenni, come racconta Sarah Kaminski, docente di ebraico all'Università di Torino. “La prima lingua che ho imparato era il polacco, la lingua dei miei genitori, del loro quotidiano. Quando iniziai ad andare a scuola, a cinque anni, i compagni di classe mi prendevano in giro per la mia pronuncia in ebraico. Soprattutto per la mia r non da israeliana. E così ricordo che andai a casa e dissi ai miei genitori: basta, si parla solo in ebraico d'ora in avanti”. Rak ivrit. Come lei, spiega Kaminski, molti suoi compagni di classe che diventarono un punto di riferimento per i genitori nell'uso della lingua. “Era una materia in cui eccellevo, forse anche per compensare una situazione un po' traballante in casa. Aiutavo mio padre a scrivere le lettere ufficiali. Lui e mia madre avevano imparato l'ebraico con fatica e con grande determinazione, arrivando a fine anni Cinquanta in Israele dalla Polonia. Erano studenti universitari che si ricostruivano una vita in una lingua diversa, senza tanti aiuti”. 

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IL PROGETTO UCEI DEDICATO AI CAREGIVERS 

“Cultura della disabilità, l’Italia cambi passo”

Quella dei caregivers, i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile, è una minoranza piuttosto consistente: ne fanno parte all’incirca due milioni di persone in tutto il Paese. Non sempre però le misure per sostenerli appaiono adeguate e neanche ben centrate sulle diverse criticità poste da questa situazione. Specie quando si parla di supporto a bambini e giovani affetti da gravi patologie.
“Manca in Italia una vera cultura della disabilità” spiega Caterina Adami Lami, presidente della onlus fiorentina Ulisse impegnata da 25 anni in questo campo. Da una collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è nato l’ultimo progetto, “La famiglia che cura”, realizzato con una quota della raccolta dell’Otto per Mille destinato all’UCEI. Una serie di incontri online, rivolti a familiari, ma anche ad operatori del settore medico-assistenziale, educatori e insegnanti, che ha visto al centro temi come accettazione della malattia; individuazione di un punto di equilibrio tra cura, lavoro e socialità; play therapy e lettura.
Il percorso formativo/informativo è ora interamente fruibile online sul canale YouTube dell’associazione: un patrimonio prezioso di idee e spunti. “Quella con l’UCEI – sottolinea Adami Lami, presidente della onlun – è stata una collaborazione particolarmente significativa. La strada da fare è infatti tanta. Bene quindi unire le forze”. Adami Lami parte da una constatazione: “In piazza, per i propri diritti, scendono tutti. Lo fanno gli insegnanti, lo fanno i medici, i caregivers mai…è come se fossero rassegnati per una situazione che, molte volte, li porta ad annullare se stessi. L’Italia è l’unico Paese d’Europa dove non esistono figure giuridiche che li tutelino in modo adeguato. Al Senato inoltre giace da tempo una legge, comunque non tollerabile per come è proposta. Si prevedono contributi per soli tre anni”. Ma non è, specifica, un problema di sole risorse

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I LAVORI DEL CONGRESSO UGEI A TORINO 

Giovani ebrei italiani al voto
per rinnovare il Consiglio

In svolgimento a Torino il 27esimo Congresso ordinario dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia.
Oltre una settantina i partecipanti da tutto il Paese, a confronto in queste ore su impegni e obiettivi strategici dell’organizzazione di riferimento dell’ebraismo giovanile tra i 18 e i 35 anni. Al centro dei lavori l’approvazione di alcune modifiche statutarie oltre a mozioni su Dialogo interreligioso, progetti aggregativi, di comunicazione e social e di formazione contro l’antisemitismo. Nel pomeriggio è inoltre prevista l’elezione dei membri del nuovo Consiglio in carica dal Primo gennaio prossimo. Per la prima volta nella storia dell’Ugei avrà durata non annuale ma biennale: è quanto prevede la recente riforma varata in occasione dell’ultimo Congresso straordinario tenutosi a Roma. L’appuntamento sarà in seguito in piazzetta Primo Levi per una nuova tappa del progetto “Restaurare la Memoria” dedicato alla ripulitura e valorizzazione delle pietre d’inciampo.
In apertura di Congresso i saluti del vicepresidente UCEI Giulio Disegni, dell’assessore ai giovani della Comunità ebraica torinese Gaia Bertolin e del rabbino capo Ariel Di Porto, che ha tenuto una derashà.

DAFDAF DICEMBRE 2021 

Zeraim, semi di conoscenza

È online il nuovo sito internet dell’Area Cultura e Formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, l’UCEI.
Percorsi di formazione e materiali di studio pensati per i principali attori dell’educazione ebraica in Italia: insegnanti, educatori, studenti, responsabili di programmi educativi nelle comunità ebraiche, ma anche genitori e nonni, che all’interno delle proprie famiglie e per la propria comunità svolgono il ruolo di educatori.
Zeraim suggerisce percorsi differenti, adatti a tutti, e a tutte le fasce di età, con particolare attenzione alle metodologie e ai nuovi linguaggi.
La rete di Zeraim è pensata in modo che ci sentiamo tutti a casa.

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Viaggiatori
Scrive Bernard-Henri Lévy (Sulla strada degli uomini senza nome, La nave di Teseo) che ci sono due tipi di viaggiatori: il viaggiatore che non pensa che a tornare e quello che non fa che partire. Ulisse e Enea.
Forse il potere nella storia si identifica col primo; ma la storia non si farebbe se, periodicamente, non tornasse ad essere protagonista il secondo.
                                                                          David Bidussa
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Ibrido e integrale
Al pluralismo delle società costituzionali, quello che sancisce eguaglianza, giustizia e libertà nel rispetto delle differenze individuali ma anche – e soprattutto - nella lealtà verso il patto di solidarietà reciproca, si contrappone invece l’enfasi sul differenzialismo («noi non siamo come voi, quindi la coabitazione sul medesimo territorio e nello stesso paese potrà avvenire solo se ci manterremo isolati vicendevolmente, frequentando solo i nostri omologhi»).
                                                                          Claudio Vercelli
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