Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   26 Dicembre 2021 - 22 Tevet 5782
IL PROSSIMO 23 GENNAIO LA QUINTA EDIZIONE DELLA RUN FOR MEM

A Novara, di corsa per la vita

Correre per la Memoria, correre per la vita, correre per il futuro. Quinto appuntamento, domenica 23 gennaio 2022 a Novara, con la Run for Mem. La corsa per un ricordo consapevole, organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione, quest'anno, con la Comunità ebraica di Vercelli, Biella, Novara.
Cinque chilometri di percorso con tappe in diversi luoghi simbolo della città piemontese per mantenere viva la Memoria. Una risposta simbolica a quel corteo no vax che, proprio a Novara, aveva strumentalizzato in modo vergognoso la Shoah, con i manifestanti che avevano oltraggiato la storia travestendosi da deportati nei lager. Subito era arrivata la condanna unanime delle istituzioni e della società civile, come aveva ricordato la presidente della Comunità ebraica di Vercelli Rossella Bottini Treves. “A Novara e non solo la società civile ha manifestato in maniera forte il proprio sdegno e che rappresenta l’humus necessario sul quale far crescere l’antidoto al virus dell’ignoranza di fatti storici e del mancato e dovuto rispetto nei confronti delle vittime dei lager”.
Partecipare il 23 gennaio alla Run For Mem sarà dunque una ulteriore occasione per ribadire che la lezione del passato è viva e che non può essere strumentalizzata. Ma sarà anche un momento per celebrare la vita attraverso lo sport. “L’idea è di affermare la vita, che continua nonostante tutti i tentativi, perpetrati nel corso dei secoli, di sterminare gli Ebrei, cosi come altre popolazioni, con genocidi e massacri. - il credo che muove il progetto Run For Mem - La vita continua e la forza di vivere, a volte di sopravvivere, va trasmessa con convinzione, avendo il coraggio di raccontare quanto accaduto affinché non si ripeta mai più”. “Lo faremo – l'invito dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - con la partecipazione di tutta la cittadinanza, attraverso un percorso nel quale incroceremo la storia; correndo assieme trasmetteremo questo forte messaggio di vita”.
A dare il proprio patrocinio all'iniziativa, ANPI Novara, ANPI Vercelli, Prefettura di Novara, Provincia di Novara, Provincia di Vercelli, CONI, MEIS, Fondazione CDEC.
Il percorso prevede la partenza da Piazza Matteotti, diritto per via Fratelli Rosselli, poi Piazza Martiri, si prosegue verso la centrale della Polizia di Stato, si svolta in viale Roma (dove si trova la residenza della famiglia Kaatz), si arriva fino al Cimitero urbano, per poi risalire verso Piazza Santa Caterina, dove si terrà la cerimonia d’installazione di alcune Pietre di inciampo. Punto d'arrivo, la Fondazione BPN - Palazzo Bellini.

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PAGINE EBRAICHE DICEMBRE - SPECIALE CINEMA / 4

Un club a Istanbul

Se mai c’erano ancora dubbi sulla capacità delle piattaforme streaming di schiudere nuovi scenari e orizzonti, la conferma arriva da The Club da poco in onda su Netflix. Dopo serie di strepitoso successo come Unorthodox, Shtisel o The Unorthodox life of Julia Haart – focalizzate sul mondo degli ebrei ashkenaziti strettamente ortodossi – l’attenzione questa volta si sposta su un mondo molto meno raccontato. Kulüp, questo il titolo originale, è un dramma turco che narra la storia di una famiglia sefardita nella Istanbul negli anni Cinquanta. Al centro della storia Matilda, che dopo essere stata rilasciata dalla prigione ritrova l’inquieta figlia Raşel (Rachel). A fare da sfondo all’intricata vicenda, il lussuoso night che dà il titolo alla serie: il club Istanbul, nel centrale quartiere di Galata oggi una delle maggiori attrazioni turistiche e un tempo sede della grande comunità ebraica cittadina. Più dei colpi di scena, tipici delle telenovelas, l’interesse della serie risiede nella sua capacità di portare in scena un mondo finora trascurato. I gesti e le usanze della tradizione – l’accensione delle candele di Shabbat, Purim, il rito in sinagoga, i canti o l’abitudine di baciare la mezuzah – sono parte integrante del racconto e non un pretesto. La complessità dello sfondo storico e sociale, caratterizzato dalla presenza di vivaci minoranze di armeni, ebrei e greci, si riflette nei nomi e nell’alternanza delle lingue. Dal turco i personaggi ebrei spesso passano al ladino, la lingua dell’ebraismo sefardita in cui spagnolo, ebraico e aramaico s’intrecciano al turco, al greco e all’aramaico e il francese costella i dialoghi.

È uno sguardo prezioso sulla realtà dell’ebraismo turco, che oggi conta circa 15 mila persone. A sentire il direttore del giornale ebraico turco Avlaremoz, Eli Haligua, la reazione è stata più che positiva. “Gli ebrei erano semplicemente contenti di vedersi sullo schermo”, ha spiegato a Jewish Telegraphic Agency. Per evitare errori, i produttori hanno coinvolto esperti di ladino della comunità ebraica locale che nella serie interpretano alcuni ruoli minori. In particolare tocca a Izzet Bana, veterano del teatro ladino, ricordare a Matilda, in uno dei momenti salienti della storia, che Purim “è la festa delle contraddizioni, il momento in cui si svela ciò che era nascosto”.
La regista della serie, Zeynep Günay, che ha studiato in Italia al Collegio del Mondo unito di Trieste e si è laureata in Lingua e letteratura italiana all’università di Istanbul, non è un nome nuovo per il pubblico ebraico. Considerata una delle voci di maggiore successo della nuova generazione turca, ha già diretto la serie The Bride of Istanbul, nel 2018 nominata agli Emmy Awards, che ha avuto un enorme successo in Israele dove le soap opera tessuti Nedim, il prestatore su pegno Solomon, l’agente del Mossad Moshe, l’uomo d’affari Mison etc” ha notato Gabi Behari della comunità ebraica di Istanbul in un lungo thread su Twitter all’indomani della messa in onda. “In altre parole, usando tutti i luoghi comuni antisemiti conosciuti si mostrava a chi vive in Turchia un ebreo uniforme e generalizzato”. In questo caso, ha sottolineato il direttore di Avlaremoz, a conquistare gli spettatori è il fatto che “i personaggi ebrei non sono presentati come malvagi o strozzini”. 

Daniela Gross, Pagine Ebraiche Dicembre 2021

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PAGINE EBRAICHE DICEMBRE - SPECIALE CINEMA / 5

Giocare a scacchi, una salvezza

È il 1938. I nazisti marciano nelle vie di Vienna e nessuno si fa più illusioni. L’avvocato Josef Bartok cerca di fuggire con la moglie alla volta degli Stati Uniti ma è arrestato dalla Gestapo che lo confina nel lussuoso hotel Metropol requisito dagli occupanti. Bartok rifiuta di collaborare con le autorità naziste ma l’isolamento a cui è costretto mette a dura prova il suo equilibrio mentale, finché in uno dei rari momenti in cui il controllo si allenta riesce a rubare un vecchio libro di scacchi. È il gesto che cambierà la sua vita dando inizio alla spirale di una pericolosa ossessione. Se la storia sembra familiare è perché si ispira a La novella degli scacchi composta da Stefan Zweig nel 1941, un anno prima di commettere suicidio a Petròpolis in Brasile dove si era rifugiato dopo l’annessione nazista dell’Austria. Già adattato per lo schermo, il suo racconto torna ora al cinema in una rilettura spettacolare e toccante con il titolo The Royal Game per la regia di Philipp Stölzl (The physician, Goethe!). 
Presentato di recente al Jewish Film Festival di Gerusalemme, il film approfondisce l’esplorazione psicologica in un costante rimando fra passato e presente. Dopo aver mostrato l’avvocato Bartok in procinto di imbarcarsi per Rotterdam alla volta di New York per sfuggire ai nazisti, le linee temporali s’intrecciano fino a costruire il ritratto indimenticabile di un uomo ricco, affascinante e arrogante, abituato al meglio che la società viennese dell’epoca può offrire. Precipitato dall’occupazione nazista in un abisso di incertezze, isolamento e tortura psicologica, troverà salvezza negli scacchi che si riveleranno al tempo stesso la sua condanna. 

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DAFDAF DICEMBRE 2021

Saul Steinberg e il fascino della maschera

Prendete un sacchetto di carta, uno normalissimo, di quelli di carta marrone in cui di solito comprate il pane. 
Disegnateci sopra una faccia.
Mettetevelo in testa.
Non è una maschera perfetta? 
La pensava così anche Saul Steinberg, l’artista a cui è dedicata una grande mostra a Milano. Aperta fino a metà marzo e intitolata “Saul Steinberg Milano New York”, raccoglie disegni a matita, a penna, a pastello; opere realizzate con timbri e ad acquerello, maschere di carta, oggetti/sculture, stoffe, collages... un artista dalle tante sfaccettature, che però di se stesso diceva: “Io sono una mano che disegna”.
Nato in Romania nel 1914, dopo aver studiato a Bucarest, si è trasferito a Milano, dove si è laureato in architettura e ha iniziato la carriera di vignettista. Espulso nel 1941 dall’Italia per motivi razziali, Steinberg raggiunge nel 1942 gli Stati Uniti, e ne assume la nazionalità.
Il suo primo successo, “All in line”, è del 1945. Tanti altri seguiranno. Nel 2000 esce “Masquerade”, che racconta una storia iniziata molti anni prima. Nel 1958 la fotografa austriaca Inge Morath si recò a casa di Steinberg, a New York, per realizzare un ritratto dell’artista, che la accolse indossando una delle sue maschere di cartone. Nacquero così, in maniera del tutto casuale i primi scatti. I due collaborarono per sette anni a ritratti fotografici in cui i soggetti posavano con le maschere di Steinberg.

Ada Treves @ada3ves

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ISRAELE, IL RINNOVO DELLE CARICHE DEI COMITATI DEGLI ITALIANI  ALL'ESTERO 

Comites Gerusalemme e Tel Aviv,
nominati i nuovi presidenti

Saranno Beniamino Lazar e Arik Bendaud a guidare rispettivamente il Comitato degli italiani all’estero (Comites) di Gerusalemme e quello di Tel Aviv. La loro nomina è stata decisa all'unanimità dai Consigli dei due Comites (l’organo che rappresenta gli italiani iscritti all’Aire e residenti in Israele nei rapporti con le istituzioni). Ad affiancare Lazar nel direttivo, saranno il segretario Vincenzo Bellomo, i due vicepresidenti Luigi Bisceglia e Samuele Giannetti e il tesoriere Daniel Di Veroli. A Tel Aviv invece vicepresidente di Bendaud sarà Angelica Edna Calò Livne, segretario Lia Spadoni e tesoriere David Debash.

 

Assenteismo
Nell’ottobre 1975, in una delle sue ultime lettere, Pier Paolo Pasolini scrive che l’assenteismo è un sentimento che apre un nuovo tempo perché la stima nei confronti dello Stato da parte dei cittadini è in caduta verticale e, contemporaneamente, non si intravedono politiche in grado di invertire la tendenza. [Pier Paolo Pasolini, «Lettere», Garzanti 2021 p. 1452].
È sempre stupefacente rendersi conto che il tempo ora era già prevedibile due generazioni fa.
                                                                          David Bidussa
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Ancora sulla negazione
Il negazionismo, fenomeno del quale già ci siamo occupati e sul quale – purtroppo – avremo ancora modo di esercitarci, non nasce mai da un vuoto di conoscenze, ossia da un’ignoranza dei fatti. Di questi ultimi ne costituisce semmai una rilettura ribaltata, il cui fondamento si colloca proprio nell’inverosimiglianza e nella manipolazione del loro significato, altrimenti condiviso.
La sua capacità di attrazione, che è anche una delle chiavi di volta per capirne la persistenza, sta nell’offrire a coloro che intendono ascoltarlo una narrazione alternativa – falsamente problematizzante nonché intimamente mistificatoria – della storia così come dell’agire storiografico, l’una e l’altro denunciati come menzogneri in sé poiché espressione di interessi di potere “celati”.
                                                                          Claudio Vercelli
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