Un club a Istanbul
Se mai c’erano ancora dubbi sulla capacità delle piattaforme streaming di schiudere nuovi scenari e orizzonti, la conferma arriva da The Club da poco in onda su Netflix. Dopo serie di strepitoso successo come Unorthodox, Shtisel o The Unorthodox life of Julia Haart – focalizzate sul mondo degli ebrei ashkenaziti strettamente ortodossi – l’attenzione questa volta si sposta su un mondo molto meno raccontato. Kulüp, questo il titolo originale, è un dramma turco che narra la storia di una famiglia sefardita nella Istanbul negli anni Cinquanta. Al centro della storia Matilda, che dopo essere stata rilasciata dalla prigione ritrova l’inquieta figlia Raşel (Rachel). A fare da sfondo all’intricata vicenda, il lussuoso night che dà il titolo alla serie: il club Istanbul, nel centrale quartiere di Galata oggi una delle maggiori attrazioni turistiche e un tempo sede della grande comunità ebraica cittadina. Più dei colpi di scena, tipici delle telenovelas, l’interesse della serie risiede nella sua capacità di portare in scena un mondo finora trascurato. I gesti e le usanze della tradizione – l’accensione delle candele di Shabbat, Purim, il rito in sinagoga, i canti o l’abitudine di baciare la mezuzah – sono parte integrante del racconto e non un pretesto. La complessità dello sfondo storico e sociale, caratterizzato dalla presenza di vivaci minoranze di armeni, ebrei e greci, si riflette nei nomi e nell’alternanza delle lingue. Dal turco i personaggi ebrei spesso passano al ladino, la lingua dell’ebraismo sefardita in cui spagnolo, ebraico e aramaico s’intrecciano al turco, al greco e all’aramaico e il francese costella i dialoghi.
È uno sguardo prezioso sulla realtà dell’ebraismo turco, che oggi conta circa 15 mila persone. A sentire il direttore del giornale ebraico turco Avlaremoz, Eli Haligua, la reazione è stata più che positiva. “Gli ebrei erano semplicemente contenti di vedersi sullo schermo”, ha spiegato a Jewish Telegraphic Agency. Per evitare errori, i produttori hanno coinvolto esperti di ladino della comunità ebraica locale che nella serie interpretano alcuni ruoli minori. In particolare tocca a Izzet Bana, veterano del teatro ladino, ricordare a Matilda, in uno dei momenti salienti della storia, che Purim “è la festa delle contraddizioni, il momento in cui si svela ciò che era nascosto”.
La regista della serie, Zeynep Günay, che ha studiato in Italia al Collegio del Mondo unito di Trieste e si è laureata in Lingua e letteratura italiana all’università di Istanbul, non è un nome nuovo per il pubblico ebraico. Considerata una delle voci di maggiore successo della nuova generazione turca, ha già diretto la serie The Bride of Istanbul, nel 2018 nominata agli Emmy Awards, che ha avuto un enorme successo in Israele dove le soap opera tessuti Nedim, il prestatore su pegno Solomon, l’agente del Mossad Moshe, l’uomo d’affari Mison etc” ha notato Gabi Behari della comunità ebraica di Istanbul in un lungo thread su Twitter all’indomani della messa in onda. “In altre parole, usando tutti i luoghi comuni antisemiti conosciuti si mostrava a chi vive in Turchia un ebreo uniforme e generalizzato”. In questo caso, ha sottolineato il direttore di Avlaremoz, a conquistare gli spettatori è il fatto che “i personaggi ebrei non sono presentati come malvagi o strozzini”. “È una delle prime volte in cui le minoranze e i non musulmani sono rappresentati non come il male o il nemico ma vittime delle politiche di turchificazione”, l’assimilazione culturale da parte turca delle minoranze. Stiamo parlando di soap operas e molti inarcheranno il sopracciglio. Se non che su molti temi del sociale – l’educazione alla salute, la prevenzione degli abusi, i diritti delle donne, il razzismo – è ormai assodato che le soap opera spesso sono riuscite lì dove né gli esperti né i governi erano riusciti ad arrivare. I personaggi che dagli schermi ogni giorno entrano in milioni di case in tutto il mondo hanno la capacità straordinaria di bucare pregiudizi e mostrare altre facce della realtà con la forza irresistibile dell’empatia. Non resta che augurarsi che anche The Club riesca nell’impresa. turche registrano una crescente popolarità.
Non è difficile immaginare che The Club, già molto popolare in Turchia, possa ripetere l’exploit. Tanto più che i personaggi ebrei sono sottratti agli stereotipi che di solito li rappresentano e sono ritratti nella loro contrastata umanità. “Finora avevano solo sentito i nomi di queste persone alla televisione turca: il mercante di tessuti Nedim, il prestatore su pegno Solomon, l’agente del Mossad Moshe, l’uomo d’affari Mison etc” ha notato Gabi Behari della comunità ebraica di Istanbul in un lungo thread su Twitter all’indomani della messa in onda. “In altre parole, usando tutti i luoghi comuni antisemiti conosciuti si mostrava a chi vive in Turchia un ebreo uniforme e generalizzato”.
In questo caso, ha sottolineato il direttore di Avlaremoz, a conquistare gli spettatori è il fatto che “i personaggi ebrei non sono presentati come malvagi o strozzini”. “È una delle prime volte in cui le minoranze e i non musulmani sono rappresentati non come il male o il nemico ma vittime delle politiche di turchificazione”, l’assimilazione culturale da parte turca delle minoranze. Stiamo parlando di soap operas e molti inarcheranno il sopracciglio. Se non che su molti temi del sociale – l’educazione alla salute, la prevenzione degli abusi, i diritti delle donne, il razzismo – è ormai assodato che le soap opera spesso sono riuscite lì dove né gli esperti né i governi erano riusciti ad arrivare. I personaggi che dagli schermi ogni giorno entrano in milioni di case in tutto il mondo hanno la capacità straordinaria di bucare pregiudizi e mostrare altre facce della realtà con la forza irresistibile dell’empatia. Non resta che augurarsi che anche The Club riesca nell’impresa.
Daniela Gross, Pagine Ebraiche Dicembre 2021