Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   2 Gennaio 2022 - 29 Tevet 5782
LA GIURISPRUDENZA DI FRONTE AL DILAGARE DELL'ODIO

Lotta al razzismo e all'antisemitismo,
è il momento di una normativa più efficace   

È di alcuni giorni fa la notizia giornalistica dell’ennesimo scempio della Memoria della Shoah.
Ignoti hanno appeso all’albero di Natale del Comune di Montemurlo (Prato) una decina di palline con effigi naziste e l’immagine di Adolf Hitler con un cuore rosso.
Ha detto molto bene il sindaco di quella cittadina Simone Calamai: “Episodio gravissimo che offende i valori su cui è nata la nostra Repubblica e la nostra democrazia” e, aggiungerei io, la stessa Unione Europea.
Le indagini sono in corso e mi auguro che i responsabili vengano individuati e puniti, anche se, ed è questo lo spunto di riflessione che vorrei condividere con voi, arrivare ad una punizione per tali tipologie di condotte, ahimè sempre più diffuse, è estremamente difficile nel nostro paese.
Questa doverosa battaglia, non solo di civiltà ma anche di difesa della democrazia, sconta, infatti, una normativa interna, complessa, contorta e di difficile applicazione. Tali condotte, oggi, sono essenzialmente punite dall’art. 604 bis del codice penale intitolato “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa”.
In estrema sintesi e alla luce dei non numerosi pronunciamenti giurisprudenziali, possiamo dire che la norma incrimina le manifestazioni di talune tipologie di pensiero discriminatorio, lesivo della uguaglianza e della dignità delle vittime. La giurisprudenza è stata pressoché costante nell’individuare la propaganda penalmente illecita, non nella semplice espressione di idee, ma nell’attività finalizzata a influire concretamente sulla psicologia altrui e, di conseguenza, sull’altrui comportamento attraverso la raccolta di consensi. Una condotta, quindi diretta a influenzare l’opinione pubblica ovvero a modificare le idee e i comportamenti dei destinatari.
Allo stesso modo, l’istigazione da punire è considerata quella diretta a convincere terzi a porre in essere talune condotte delittuose animate dalla finalità discriminatoria. Anche in questo caso la giurisprudenza ha delineato i requisiti necessari affinché il comportamento dell’istigatore possa assumere rilevanza penale. Esso, infatti, deve essere tale da palesare una “indefettibile idoneità dell’azione a suscitare consensi e a provocare attualmente e concretamente il pericolo di adesione al programma illecito”.
È necessario, pertanto, che la manifestazione di pensiero “razzista” (sia esso propaganda o istigazione) determini il concreto rischio di adesione, da parte dei destinatari di tali propalazioni, alle orribili idee discriminatorie. Nell’evidenziare la difficoltà del perseguimento penale di tali condotte non bisogna dimenticare che anche il dubbio sulla sussistenza di una di tali circostanze non può che portare alla assoluzione dell’autore della condotta.
La complessità di tale fattispecie ha portato spesso i nostri giudici a pronunciare sentenze di assoluzione che fanno a pugni con la nostra coscienza e la nostra sensibilità al tema.
Penso ad esempio alla assoluzione dell’editore che aveva pubblicato i tristemente famosi “protocolli dei Savi Anziani di Sion” con una prefazione, una postfazione ed una quarta copertina a cura dell’editore medesimo adesive delle teorie antisemite proprie del libro. Per la Corte di Cassazione l’editore era stato “molto attento (e abilmente spregiudicato) a dirigere le proprie critiche non nei confronti di tutti gli ebrei, bensì solo nei confronti di coloro che egli definisce sionisti”. E questo secondo i magistrati anche quando l’editore faceva propria la frase tratta dal Mein Kampf di Adolf Hitler “Non importa sapere da qual cranio siano uscite tali rivelazioni, è essenziale però il fatto che esse scoprano con orrenda sicurezza la natura e l’attività dei giudei”. Secondo i giudici, pertanto, le affermazioni dell’editore rientravano nel legittimo esercizio di un diritto di critica politica e non costituivano affermazioni istigatrici dell’odio razziale.
Penso agli autori di un orrendo manifesto circolato per la città di Milano a seguito di un grave crimine commesso da un cittadino straniero, su cui era riportata la frase “Clandestino uccide tre italiani a picconate – pena di morte subito!!!” e una immagine raffigurante anche una ghigliottina con lama grondante sangue e, accanto alla stessa l’immagine, la testa di un uomo di colore decapitato.
Orbene per la Cassazione non è stato sufficiente l’esposizione di tale manifesto per le vie della città per integrare il reato di propaganda o istigazione all’odio razziale. La discriminazione per motivi razziali, secondo gli ermellini, deve fondarsi proprio sulla qualità personale del soggetto e non sui suoi comportamenti.
Come dire, a dimostrazione della pericolosità di tali conclusioni, che se si dice che l’ebreo ha il naso adunco allora si commette un reato ma se si scrive che l’ebreo è un usuraio allora l’affermazione è lecita perchè non riguarda una caratteristica razziale ma un comportamento della persona.
Non sono mancate, ovviamente, sentenze di condanna degli autori di analoghe ignobili gesta. Ho assistito recentemente la Comunità ebraica di Torino quale parte civile in un procedimento avanti il Tribunale di Aosta. Un abitante del Comune di Saint Vincent (Aosta) aveva deciso di ornare i cancelli di ingresso della sua bella villa con delle aquile molto simili a quelle del Terzo Reich e con dei triangoli rovesciati che ricordavano quelli apposti sulle divise dei prigionieri dei campi di concentramento. Nel corso delle indagini scaturite dalla denuncia presentata dalla Comunità è emersa la passione di questa persona per la letteratura sul nazismo e la sua abitudine di inviare video di storici negazionisti agli amici. È stata addirittura rinvenuto un bassorilievo nell’androne di casa a forma di svastica. Durante il processo, ed è forse la circostanza che mi ha colpito di più, quasi ferito, nessuno dei conoscenti dell’imputato, sentiti come testimoni, ha manifestato un qualche stupore per i simboli presenti all’interno della casa. Il primo grado del processo (l’appello è in corso) si è concluso con la condanna dell’imputato per il reato di propaganda di idee fondate sulla discriminazione razziale nonché a risarcire il danno cagionato alla Comunità ebraica con il pagamento di una significativa somma di denaro che la Comunità destinerà alla organizzazione di manifestazioni contro il razzismo e l’antisemitismo.
In ogni caso gli esempi citati impongono un cambio di passo nella lotta al razzismo. La magistratura deve mostrare maggiore sensibilità al tema e interpretare la norma in esame con meno formalismi e più attenzione al contesto allarmante.
Il legislatore deve ripensare alle norme che oggi puniscono le condotte discriminatorie e che poc’anzi abbiamo esaminato e che appaiono poco efficaci.
Le ragioni per cui il nostro Parlamento ha partorito una norma cosi complessa, a differenza, bisogna subito dirlo di altri paesi europei, sono di due ordini.
Uno storico e politico a cui posso solo accennare ma che meriterebbe un serio approfondimento. Questo è un paese che, a differenza della Germania, non ha mai fatto seriamente i conti con il proprio passato e che, anche per tali ragioni, ha, oggi, una classe politica che ammicca quotidianamente a queste frange estremiste e che utilizza “l’odio” come strumento di propaganda politica.
Significativa dell’atteggiamento della classe politica italiana è la riforma recente relativa alla punizione del c.d. reato di negazionismo. L’Unione Europea, già nel 2008, aveva chiesto agli Stati membri di introdurre tale reato. Quello italiano lo ha fatto solo nel 2016 (ci sono voluti ben otto anni) con una scelta normativa alquanto discutibile. È stata introdotta nel nostro ordinamento non una fattispecie autonoma di reato, ma una aggravante del già esaminato reato di istigazione e propaganda all’odio razziale. La complessità della norma di base rende sostanzialmente impossibile la punizione delle condotte negazioniste della Shoah.
La seconda ragione è di ordine giuridico. Illustri studiosi di primissimo ordine e sicuramente non dalle ideologie razziste, sono contrari alla punizione dei c.d. reati di opinione, tra cui fanno rientrare anche il reato di istigazione all’odio razziale.
Dicono, con argomentazioni raffinatissime, che lo Stato democratico non può criminalizzare chi esprime una propria idea, indipendentemente da quale essa sia e che la nostra Costituzione prevede e tutela la libera manifestazione del pensiero. Non condivido tali prestigiose opinioni. Le ritengo anacronistiche e non allineate al mondo di oggi in cui sono saltate le regole della comunicazione, della stampa e della informazione.
Oggi condiziona di più l’opinione pubblica un post di un influencer che un dotto e argomentato articolo di un affermato giornalista o studioso.
Molti accadimenti recenti dimostrano le fragilità delle attuali democrazie: l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio dello scorso anno e i provvedimenti normativi pacificamente discriminatori di Polonia ed Ungheria, membri della civilissima Unione Europea, costituiscono dei significativi campanelli di allarme.
Ritengo necessario che i paesi democratici inizino a difendere i principi base della democrazia tra cui, ovviamente, quello della uguaglianza, e che si intensifichino le battaglie contro il razzismo e l’antisemitismo anche con le sanzioni penali.
Chi promuove idee antidemocratiche, come il razzismo e l’antisemitismo, o espone pubblicamente simboli che esaltano regimi antidemocratici, come quello nazista tedesco, non può andare esente da responsabilità penale solo perché i regimi democratici tutelano la libertà di pensiero.
Mi pare un eccesso di garantismo che conduce a conclusioni paradossali. La democrazia che legittima e protegge i pensieri dei suoi nemici.
Ritengo necessario, pertanto, una modifica della norma che oggi punisce le condotte di discriminazione razziale e la repressione dei c.d hate speech (razzismo e hate speech sono due facce dello stesso fenomeno sociale).
Mi piace molto la soluzione adottata dalla Germania. L’articolo 130, comma 1, del codice penale tedesco (Strafgesetzbuch – StGB) dispone che chi, in maniera tale da disturbare la pace pubblica, incita all’odio o alla violenza contro elementi della popolazione o lede la dignità di altre persone attraverso insulti o offese è punito con una pena detentiva da tre mesi a cinque anni.
Due soli sono i presupposti per l’applicabilità di tale norma: a) la condotta deve aver messo in pericolo il c.d. ordine pubblico; b) la condotta deve aver incitato all’odio o alla violenza contro una parte della popolazione o aver leso la dignità delle persone.
La persona nella sua individualità e dignità è al centro della tutela. Non è più un problema di razze, sesso, nazioni ma è l’individuo in sé con le sue caratteristiche ad essere tutelato da condotte discriminatorie.
Sempre la Germania punisce i provider e i social che entro un certo lasso di tempo non cancellano i messaggi di odio.
Punire i responsabili di tali comportamenti senza se e senza ma e, al contempo, spegnere la luce dei riflettori sulle loro ignobili opinioni mi paiono i due obiettivi che bisogna determinarsi a raggiungere con una normativa più efficace.
Il mondo ebraico in tutte le sue articolazioni, testimone dell’orrore della discriminazione razziale, deve farsi carico di questa battaglia di civiltà e di democrazia.

Tommaso Levi, avvocato del foro di Torino

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DAFDAF GENNAIO 2022

Le parole, figlie della linea

Si apre con una sfida scherzosa l’ultimo numero di DafDaf: in copertina una fotografia di Benedetta Guetta – l’amica storica del giornale ebraico dei bambini anima del sito di “cucina ebraica e non” labna.it – annuncia le pagine curate da Claudia De Benedetti. Nelle prossime settimane, fatte di giornate invernali in cui anche a causa del procedere della pandemia molto tempo passeremo in casa, cosa ci sarà di meglio di una “Sfida all’ultimo muffin”? Che ci si metta alla prova con la ricetta tradizionale, o con i muffin arcobaleno il successo è assicurato. Scrive Claudia: “Le origini dei muffin sono molto dubbie: come raccontano le storie, il nome fu citato la prima volta in Inghilterra nel 1703 con la forma ‘moofin’, che secondo alcuni deriverebbe dal francese, ‘mouflet’, o dal tedesco, ‘muffen’, i cui significati sono ‘soffice’ e ‘torta’ e si riferiscono alle caratteristiche tipiche del nostro oggetto del desiderio”.
Se dedicarsi ai dolci non bastasse allora sarà l’arte di Saul Steinberg a offrire spunti per trascorrere ore serene: sono mille i giochi che si possono fare partendo dalla guida che Electa ha preparato per i giovani visitatori della mostra aperta in queste settimane a Milano, in Triennale. Steinberg diceva che le lettere sono più importanti delle parole perché sono “figlie della linea”, sono cioè disegni da guardare, prima che da leggere. Stese ad asciugare su un filo del bucato, o trasformate in case, alberi e montagne, nei suoi disegni le lettere a volte diventano addirittura personaggi con un carattere, delle passioni e dei sentimenti.

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IL CORDOGLIO DELL'EBRAISMO ITALIANO

Piero Dello Strologo (1936-2022)


Da Elie Wiesel ad Willy Brandt, da Jakob Finci a Liliana Segre. Grandi figure del nostro tempo che hanno in comune la caratteristica di aver vinto, in momenti diversi, il premio annuale conferito dal Centro culturale Primo Levi a personalità che, con la loro testimonianza, “contribuiscono alla pace e alla giustizia per un mondo libero da pregiudizi, razzismo e intolleranza”.Trent’anni di impegno che resteranno una delle eredità più vive di Piero Dello Strologo, il presidente e l’anima della prestigiosa istituzione genovese scomparso nelle scorse ore all’età di 85 anni. Profondo in cordoglio in tutta la città e in tutto l’ebraismo italiano nel ricordo di un uomo di enorme spessore che molto aveva dato all’Italia ebraica stessa in qualità sia di presidente della Comunità di Genova, oggi guidata dal figlio Ariel, che di Consigliere e Proboviro UCEI. Nel 2004, in occasione di Genova Capitale Europea della Cultura, era stato tra gli artefici del Museo ebraico locale e lì aveva fatto accogliere alcune opere del suo concittadino Lele Luzzati.
Un’avventura, quella del Centro culturale, che era nata il 16 dicembre 1990 “davanti a un notaio e all’interno di una libreria chiusa al pubblico” e con la partecipazione attiva, raccontava Dello Strologo, di “una ventina di persone di diverso credo religioso, origine e opinione politica”. Il nome scelto fu quello di Primo Levi che, da poco morto, “non aveva ancora raggiunto la fama di testimone e di scrittore che lo rende oggi non solo il simbolo più alto della sofferenza di un popolo ma anche del riscatto ottenuto attraverso una testimonianza priva di odio e di rancore nei confronti della atroce violenza subita”.
L’inizio di una storia straordinaria che ha portato a Genova alcuni dei più importanti intellettuali italiani e internazionali. Il fiore all’occhiello di un Centro la cui missione si è dipanata in varie direzioni, sempre nel segno di una Memoria vigile e consapevole. Come in occasione, tra i vari appuntamenti promossi durante l’anno, del grande corteo che ogni mese di novembre ricorda la deportazione degli ebrei genovesi prendendo le mosse dalla galleria Mazzini. “Un punto di riferimento autorevole, stimatissimo e riconosciuto per la sua dedizione e per gli infiniti contributi al mondo ebraico”, la vicinanza espressa al figlio Ariel, a nome di tutto il Consiglio UCEI, dalla Presidente Noemi Di Segni. “Tu in particolare, e noi assieme a te, abbiamo lui dinanzi agli occhi anche nella scelta di partecipare a questo consesso”, ha poi aggiunto Di Segni.
Proprio il figlio, commentando la sua scomparsa, ha affermato: “Mio padre ha avuto una vita iniziata nel peggiore dei modi, con la persecuzione. A otto anni aveva attraversato tutto il Nord Italia per mettersi in salvo in Svizzera con la famiglia. Quell’esperienza lo ha segnato, perché ha poi saputo aggredire la vita con una forza d’animo senza pari”. Molte le reazioni a livello istituzionale. “Con Piero Dello Strologo se ne va una figura di grande cultura, riferimento autentico dell’antifascismo, anima culturale della città, strenuo difensore dei valori costituzionali”, il ricordo del governatore della Regione Liguria Giovanni Toti e dell’assessore regionale alla Cultura Ilaria Cavo.
Dello Strologo, che è stato un protagonista della vita genovese anche fuori dal contesto ebraico, aveva ricevuto nel 2006 il Grifo d’oro massima onorificenza cittadina e più recentemente aveva festeggiato la Medaglia d’onore del Presidente della Repubblica conferita a quel Centro cui aveva scelto di dedicarsi con incrollabile passione e che, sotto la sua presidenza, ha scritto pagine indelebili nella coscienza collettiva. Sia il suo ricordo di benedizione.

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PIERO DELLO STROLOGO (1936-2022) - LA TESTIMONIANZA

La Memoria e quegli incontri nati come un sogno

La prima volta che ci siamo incontrati faceva freddissimo, era la fine di gennaio ed eravamo a Genova, nel cortile del Palazzo Ducale. Si leggeva un libro di Aharon Appelfeld per intero, Storia di una vita. “Dall’alba al tramonto” si chiamava l’iniziativa, maratona del ricordo attraverso la letteratura, ma anche attraverso il freddo e la fatica, che nessuno però dei presenti si sentiva autorizzato a manifestare, data l’instancabilità della persona più anziana e apparentemente fragile, il promotore e conduttore, l’ideatore e organizzatore della lettura, Piero Dello Strologo, il Presidente del Centro culturale Primo Levi di Genova. Era l’inverno di tre anni fa, mancava ancora un anno esatto all’inizio della pandemia e i progetti c’erano ancora. Piero stava in piedi, amministrava le letture, i lettori e le lettrici che si alternavano, qualche pagina a testa, per compiere un rito, tributare un omaggio, offrire qualcosa di sé – qualche grado centigrado di temperatura corporea e un po’ di voce – alla memoria degli assassinati e degli esiliati, dei distrutti dalla Shoah e delle loro generazioni recise. Piero, che era bambino al tempo del rastrellamento degli ebrei di Genova il 3 Novembre ’43 e che si era salvato riparando con la famiglia in Svizzera, aveva un approccio al tema della Memoria della Shoah che lo portava a coinvolgere, a rendere partecipi. Chiunque passasse quella domenica mattina fra i cortili e le stanze di Palazzo Ducale avrebbe ascoltato una sillaba, una pagina, una parola dello scrittore ebreo di Czernowitz, forse alcuni addirittura si sarebbero offerti di leggere a loro volta. Un’idea semplice e perciò geniale: leggere e far leggere, far ascoltare e ascoltare, stare assieme a lungo o per poco. 

(Nell'immagine la cerimonia di conferimento del premio del Centro Primo Levi a Liliana Segre)

Miriam Camerini 

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ERA UNA DELLE ULTIME TESTIMONI DELLA SHOAH ANCORA IN VITA

Rosa Hanan (1920-2022)

È scomparsa Rosa Hanan, 101 anni, tra le pochissime superstiti dall’annientamento della comunità ebraica di Rodi nei campi di sterminio nazisti. Era una delle ultime Testimoni italiane della Shoah ancora in vita.
Figlia di Mosè Hanan e Maria Leon, era nata l’8 settembre del 1920 e fu arrestata, insieme agli altri membri di quella comunità, nel luglio del 1944.
A-24360 il numero di matricola che le fu tatuato al braccio al suo arrivo ad Auschwitz-Birkenau il 16 agosto. “Un dito per indicare chi andava a morire subito e chi aveva ancora qualche speranza di vivere. A volte senza un criterio sceglievano chi dovesse andare a destra, chi a sinistra, tanti giovani forti ed abili al lavoro sono finiti subito nella camera a gas”, la sua testimonianza.


Sopravvissuta ad Auschwitz e ad altre drammatiche esperienze, aveva ricostruito la sua vita insieme ad un altro ebreo di Rodi, Giuseppe Mallel, incontrato a Milano ma sposato nel 1947 nell'isola natia. "Un matrimonio tra le rovine", documenterà il giornale di lingua ladina La Boz de Turkiye in una cronaca. La coppia si trasferirà poi in seguito a Roma. Molto forte il legame con Sami Modiano, anche lui originario dell'isola delle rose e anche lui Testimone dello stesso orrore. 
Questo il messaggio di Rosa Hanan ai giovani: “Quando stanno in compagnia di qualcuno che è razzista o che nega la Shoah facciano in modo di allontanarlo”. 
Una "donna straordinaria", la ricorda Marcello Pezzetti. "Ho avuto la possibilità di trascorrere a casa sua più di uno Shabbat. Un'esperienza indimenticabile, commovente. Conosceva tutta la ritualità e tutte le canzoni in ladino a memoria". 
Sia il suo ricordo di benedizione. 

(Nell'immagine in alto Rosa Hanan; in basso la cronaca del suo matrimonio in ladino)

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Una saggezza di pochi
Piero Dello Strologo mi ha sempre colpito per la sua modernità nel pensiero e nelle idee, per essere sempre combattivo, con fermezza e rigore, ma con una punta di proverbiale gentilezza e anche di elegante ironia, che lo caratterizzavano e lo differenziavano da altri. Il suo impegno ebraico, al pari di quello civile, è stato costante e innovativo, perché ha saputo far dialogare componenti ebraiche e componenti della società, con un grande equilibrio e una saggezza che è di pochi.
 
                                                                          Giulio Disegni
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Non mollare
Alla periferia della storia qualcuno escluso c’è sempre. Combattere qualunque pregiudizio è il compito degli uomini che non accettano il destino. Ci sarà tempo per riflettere sulla dimensione civile di investire in cultura (storia, memoria, sapere critico) propria di Piero Dello Strologo, mancato ieri, nonché della esperienza e della rilevanza nazionale del Centro culturale Primo Levi di Genova come pratica per promuovere consapevolezza e fare cittadinanza. Il punto oggi è “Non mollare”.
Baruch Dayan haEmet.
                                                                          David Bidussa
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Settarismo
“…L’insistenza sui dati scientifici e sulla loro critica, o sulla loro difesa, fa perdere di vista altre dimensioni di pensiero e di discussione pubblica. Proprio chi è consapevole del valore dei dati scientifici dovrebbe rendersi conto anche dei loro limiti e ammettere che ci sono spazi di discussione che sono inevitabilmente politici, e non scientifici. Per esempio, la decisione su quanti e quali rischi assumersi, e quanti rischi far correre ai propri concittadini non può essere scientifica – o almeno non può derivare soltanto dalle scienze naturali...". 
 
                                                                          Claudio Vercelli
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