ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO, L'ESEMPIO ISRAELIANO

Uno scienziato alla presidenza d'Israele,
Einstein e l'offerta di Ben Gurion

Siamo ormai entrati nel vivo di quello che è chiamato Quirinal game. Andando indietro di 70 anni, alle elezioni del secondo Capo dello Stato d’Israele, troviamo una storia curiosa. Chaim Weizmann, uno dei padri fondatori dello Stato e suo primo presidente, era mancato il 9 novembre 1952. Si doveva procedere all’elezione del suo successore. David Ben Gurion, a capo del governo peraltro non sempre in linea con Weizmann, incaricò Abba Eban, ambasciatore di Israele negli USA, di sondare la disponibilità di Albert Einstein ad accettare l’incarico. Ovviamente Einstein, che viveva negli Stati Uniti, avrebbe dovuto assumere la cittadinanza d’Israele e trasferirvisi, ma gli fu assicurato che avrebbe potuto continuare l’attività scientifica senza interferenze. Einstein era considerato non solo il più famoso scienziato del mondo, ma anche l’ebreo più illustre di tutto il pianeta. Era anche da più di trent’anni un grande sostenitore dell’impresa sionista. Fu uno dei fondatori dell’Università Ebraica di Gerusalemme, insieme con Martin Buber, Sigmund Freud, Chaim Nahman Bialik e Chaim Weizmann e, prima ancora, Zvi Hermann Schapira (un matematico lituano con formazione rabbinica che fu anche il “padre” del Keren Kayemet leIsrael).

Il 7 febbraio 1923, sul Monte Scopus a Gerusalemme, nel luogo dove due anni dopo sarebbe stata ultimata la costruzione dell’università, Einstein tenne una lezione scientifica inaugurale sulla Teoria della relatività, dapprima in francese e poi ripetuta in tedesco, ma preceduta da alcune frasi di circostanza in ebraico (vedi il biglietto d’invito nell’immagine in alto). In quel viaggio di 12 giorni, l’unico che compì in Israele, Einstein pronunciò le seguenti parole alla scuola Lemel di Gerusalemme: “Considero questo giorno il più grande della mia vita (…) Questa è una grande era, è l’era della liberazione dell’anima ebraica, ed è stata conseguita attraverso il movimento sionista, sicché nessuno nel mondo la potrà distruggere”.
Abba Eban scrisse a Einstein il 17 novembre 1952 una lettera ufficiale su carta intestata dell’ambasciata (vedi immagine in basso) trasmettendo la proposta di Ben Gurion di nominare Einstein presidente d’Israele. Dalla lettera si ricava che, in un’antecedente conversazione telefonica, Einstein aveva già espresso le proprie perplessità ad accettare l’offerta. Scrive Eban:
“Israele è un piccolo Stato per dimensioni fisiche, ma può innalzarsi a grandi livelli nella misura in cui saprà essere un esempio delle più elevate tradizioni spirituali e intellettuali che il popolo ebraico ha istituito tramite le sue migliori menti e cuori sia nell’antichità che nei tempi moderni. Il nostro primo presidente, come lei sa, ci ha insegnato a vedere il nostro destino in queste grandi prospettive, come lei stesso ci ha spesso esortato a fare”.

Yitzhak Navon, allora segretario di Ben Gurion e lui stesso divenuto presidente dello Stato d’Israele diversi decenni dopo, nel 1978, raccontava che il Primo ministro si era sentito obbligato a fare quella proposta a Einstein, non solo perché Einstein era l’ebreo più importante della generazione ma anche per mostrare al mondo che il giovane Stato teneva in grande considerazione soprattutto le conquiste della scienza e della cultura. Ben Gurion aveva però aggiunto: “E che facciamo se poi dice di sì? Saremo nei guai”. Il timore era che Einstein, notoriamente poco incline a compromessi, avrebbe potuto creare situazioni imbarazzanti. Del resto, se Einstein non avesse avuto una spiccata indipendenza di giudizio, non sarebbe diventato quel grande scienziato che fu.
Ma come sappiamo, Einstein disse di no. Gentilmente rifiutò l’offerta di diventare presidente dello Stato d’Israele. Ecco come rispose:
“Sono profondamente commosso per l’offerta ricevuta dal nostro Stato d’Israele, ma allo stesso tempo sono rattristato e imbarazzato perché non posso accettarla. Tutta la mia vita mi sono occupato di fatti oggettivi, perciò mi manca l’attitudine naturale e l’esperienza necessaria per trattare in modo appropriato con le persone e per esercitare ruoli ufficiali. Già questi motivi basterebbero per rendermi inadatto a un ruolo di così alto livello, se non fosse anche che l’età avanzata indebolisce sempre più le mie forze. Sono tanto più dispiaciuto giacché la mia relazione con il popolo ebraico è diventata il legame umano più forte che io abbia, da quando sono diventato consapevole della nostra situazione precaria in mezzo alle nazioni del mondo”.
In una lettera privata del 21 novembre indirizzata a Azriel Carlebach, direttore del Maariv, che si era dato molto da fare per appoggiare la candidatura dello scienziato, Einstein fornì un ulteriore motivo per reputarsi inadatto all’incarico, ossia la difficile situazione che si sarebbe potuta verificare se il governo o il parlamento d’Israele avessero preso decisioni contrarie alla propria coscienza. L’impossibilità a influenzare il corso degli eventi, visto il ruolo più che altro cerimoniale della carica presidenziale, non lo avrebbe comunque assolto dalla responsabilità morale. Alla fine, fu eletto presidente Itzhak Ben-Zvi, un politico e autore di numerosi saggi di storia degli ebrei del Medio Oriente, che Ben Gurion conosceva bene essendo stato suo compagno di studi all’Università di Istanbul. A suo nome è stato intitolato a Gerusalemme lo Yad Ben-Zvi, Institute for the study of Jewish communities in the East.
L’auspicio di Ben Gurion di eleggere un esponente del mondo della scienza e della cultura, tuttavia, si realizzò anni dopo, nel 1973, pochi mesi prima della morte dell'ex Primo ministro, quando fu nominato presidente d’Israele Ephraim Katzir (Katchalsky), direttore del Dipartimento di biofisica all’Istituto Weizmann di Rehovot. Anche suo fratello Aharon Katzir-Katchalsky era uno scienziato illustre, esperto di biochimica fisica di fama internazionale, morto tragicamente insieme con altre 23 vittime il 30 maggio 1972 durante un attentato di matrice palestinese compiuto da terroristi giapponesi all’aeroporto di Lod. Ephraim Katzir fu eletto dalla Knesset presidente d’Israele con 25 voti in più rispetto a Ephraim Urbach, uno dei maggiori studiosi della letteratura talmudica e rabbinica del secolo scorso, autore di saggi fondamentali. Urbach, nato in Polonia nel 1912 da una famiglia chassidica, è particolarmente rilevante per queste colonne grazie ai suoi stretti legami con l’Italia e le Comunità ebraiche italiane: si laureò a Roma nel 1935 e, dopo la aliyà in Eretz Israel nel 1938, servì come rabbino militare dell’esercito britannico negli anni 1942-44, in particolare nel Sud-Italia e a Roma, come lui stesso racconta (in ebraico) in Scritti in memoria di Enzo Sereni, a cura di D. Carpi, A. Milano e U. Nahon (Milano e Gerusalemme 1970). Ma questa è un’altra storia.
Tornando alle elezioni in Italia, a quando una/o scienziata/o Presidente? Limitandoci ai senatori a vita, ce ne sono due, una/o per genere.

Rav Gianfranco Di Segni

(Nelle immagini: Founders wall, particolare del murale all’ingresso dell’Università Ebraica di Gerusalemme, campus di Ghivat Ram. Da sinistra: Judah Magnes, primo rettore e presidente dell’Università, Albert Einstein, Chaim Weizmann, Zvi Hermann Schapira - la vicinanza di Magnes e Einstein nell’immagine non corrisponde a una sintonia di idee e intenti tra di loro. Nell'immagine al centro, invito in ebraico, arabo e inglese per la lezione di Einstein sulla Teoria della Relatività a Gerusalemme, Monte Scopus, il 7 febbraio 1923, Archivio A. Einstein, Gerusalemme. In basso, la lettera di Abba Eban, ambasciatore di Israele negli USA, a Einstein, Archivio A. Einstein, Gerusalemme).

 

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PAGINE EBRAICHE - THE MUSEUM OF THE SOUTHERN JEWISH EXPERIENCE

Vivere nel Sud degli Stati Uniti,
la prospettiva ebraica

L’approdo a Ellis Island. Il Lower East Side con le sue vie pulsanti di vita e gremite di bambini, gli appartamenti affollati, la povertà bruciante, le manifatture. Quando si pensa alla saga dell’emigrazione ebraica in America, la mente corre a New York. Al mondo raccontato da Henry Roth, Avraham Cahan e Hollywood. Sono i luoghi in cui si sedimenta la memoria collettiva, evocativi e carichi di nostalgia. L’esperienza degli ebrei negli Stati Uniti non si esaurisce però qui. Fin dall’epoca coloniale un sostenuto flusso di emigrazione dalla Germania, dalla Francia e dall’Est Europa si dirige negli stati del Sud ed è tutta un’altra storia. 
A raccontarla, per la prima volta nella sua complessità, è il Museum of the Southern Jewish Experience da poco inaugurato a New Orleans che attraverso una collezione impressionante di oggetti e immagini ricostruisce un percorso dipanatosi nell’arco di 350 anni. “Quella degli ebrei nel Sud è una vicenda diversa e poco conosciuta. Ed è una storia al tempo stesso americana e universale perché riguarda la capacità umana di inserirsi e prosperare ovunque”, spiega il direttore esecutivo Kenneth Hoffman. Per questi immigrati il punto di ingresso nel nuovo mondo non è Ellis Island ma il porto di Galveston in Texas. Anziché stabilirsi in quartieri omogenei e la vorare nelle manifatture, i nuovi arrivati si dedicano per lo più al commercio minuto di pentole, abiti, giocattoli, attrezzi e si spingono verso la frontiera. Nella solitudine del Sud rurale, questi venditori ambulanti sono accolti a braccia aperte. Portano merci ambite, portano notizie. Molti finiscono per stabilirsi in comunità ospitali dove fondano sinagoghe e aprono negozi, spesso così lussuosi da anticipare la moda dei grandi magazzini. Molti hanno la possibilità, negata in Europa, di acquistare terre o dedicarsi all’artigianato. 
Gli ebrei si ritrovano così a giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo economico dell’area e le tracce di quel passato sono ancora visibili in negozi che ancora conservano l’eleganza di un tempo e monumentali sinagoghe spesso sbarrate o abbandonate al degrado. 
Qui come in altre zone del paese, da tempo le campagne sono in via di spopolamento e le piccole città che un tempo ne erano il tessuto connettivo non fanno eccezione. Il risultato è che oggi la popolazione ebraica negli Stati del Sudest conta poco più di un milione di persone. Un numero assai ridotto rispetto a New York o alla California. Molti dei discendenti di quegli immigrati vivono ormai nelle metropoli – Dallas, Atlanta o Miami. 

Daniela Gross, Pagine Ebraiche Gennaio 2022

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PAGINE EBRAICHE - THE MUSEUM OF THE SOUTHERN JEWISH EXPERIENCE

Tra bagel, quilt e cavalli

Il carretto di un venditore ambulante; lo stravagante quilt creato nel 1885 dal circolo di cucito ebraico di Canton, Mississippi; il bagel-gioiello lanciato durante il Carnevale a New Orleans dalla compagnia ebraica; la campana che annunciava i pasti in una piantagione. 
La collezione del Museum of Southern Jewish Experience (Msje) ha poco in comune con i musei ebraici a cui siamo abituati – non ci sono argenti, tessuti preziosi o antichi manoscritti. Gli oggetti in mostra – spesso modesti e d’uso quotidiano - evocano un risvolto dell’esperienza ebraica che spicca per la sua diversità. 
“L’obiettivo è sorprendere i visitatori e insegnare che cosa significa essere ebrei nel Sud degli Stati Uniti nella realtà della gente qualunque e nella vita di tutti i giorni” spiega il direttore esecutivo Kenneth Hoffman, storico e già direttore dei programmi educativi del Museo della Seconda guerra mondiale di New Orleans (uno dei musei più visitati degli Stati Uniti), che incontro su zoom. 
Dal baule che Rachmeil Shapiro porta in Texas dalla Russia al diario della tredicenne Elsa Hamburger Phillips scampata alla Shoah e stabilitasi con la famiglia in Arkansas, l’esposizione dipinge un quadro ricco di contrasti. “Quella degli ebrei a Sud è in sostanza una storia di integrazione”, nota Hoffman. Il fatto che la loro presenza sia ridotta, il territorio immenso e in molte regioni viva un’unica famiglia ebraica ne fa un’esperienza agli antipodi del Lower East Side. Molte comunità danno loro il benvenuto, tanto che spesso vi raggiungono una posizione di rilievo diventando sindaci o sceriffi.

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LE DISPOSIZIONI DEL GOVERNO DI GERUSALEMME

Frontiere aperte e scuola in presenza,
le nuove linee guida d'Israele 

L'impegno che accomuna i diversi governi di fronte alla pandemia è quello a mantenere il più possibile i propri paesi aperti. Le disposizioni che arrivano da Israele ne sono un chiaro esempio. Nonostante un significativo aumento dei contagi - il numero più alto registrato da un anno a questa parte (oltre 17mila) -, dalle scorse ore i confini del paese sono stati riaperti ai cittadini stranieri e diverse misure legate alla scuola sono state allentate. Rispetto al sistema scolastico, il Primo ministro Naftali Bennett ha annunciato la fornitura gratuita dei test antigenici a domicilio a studenti e personale docente. “Ogni bambino e membro del personale riceverà tre kit di test. Abbiamo avuto cura di consegnare le scorte alle scuole in modo tempestivo”, ha detto Bennett all'inizio della riunione di gabinetto. “Siamo in contatto con le catene di farmacie per abbassare i prezzi dei test, che caleranno in ogni caso nel prossimo futuro”, ha aggiunto il Premier. Un calo, ha spiegato, legato  all'arrivo sul mercato israeliano di nuovi test Covid fai da te. Una necessità alla luce della scelta dell'esecutivo di riservare quelli molecolari gratuiti (Pcr) solo per alcune fasce di età e per gruppi considerati a rischio. Questo per evitare quanto accaduto nelle scorse settimane, ovvero la congestione del sistema di tracciamento.

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DAFDAF GENNAIO 2022

Una sfida golosa

Presentando il numero 129 di DafDaf, in distribuzione in questi giorni, abbiamo anticipato che le pagine del giornale ebraico dei bambini questo mese si aprono con una sfida scherzosa: in copertina una fotografia di Benedetta Guetta - amica storica del giornale ebraico dei bambini anima del sito di “cucina ebraica e non” labna.it - ad annunciare le pagine curate da Claudia De Benedetti e dedicate alla cucina. Nelle prossime settimane, fatte di giornate invernali in cui anche a causa del procedere della pandemia molto tempo passeremo in casa, cosa c’è di meglio di una “Sfida all’ultimo muffin”? 
Che ci si metta alla prova con la ricetta tradizionale, o con i muffin arcobaleno il successo è assicurato. Scrive Claudia: “Le origini dei muffin sono molto dubbie: come raccontano le storie, il nome fu citato la prima volta in Inghilterra nel 1703 con la forma ‘moofin’, che secondo alcuni deriverebbe dal francese, ‘mouflet’, o dal tedesco, ‘muffen’, i cui significati sono ‘soffice’ e ‘torta’ e si riferiscono alle caratteristiche tipiche del nostro oggetto del desiderio”.

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Gesti
Ci stiamo perdendo molte cose tra umani: stringersi la mano (anche se non sempre quel gesto ha voluto dire amicizia); annusarsi (anche se quell’atto non sempre voleva dire voglio conoscersi meglio); abbracciarsi (anche se quell’azione non sempre era amore).
Non li stiamo sostituendo con nulla. Non so se sia mancanza di creatività. Forse siamo solo in attesa che ritornino.
                                                                          David Bidussa
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Ministeri della corruzione
Da che mondo è mondo, ossia da quando è divenuto un luogo di complesse relazioni sociali, un modo fondamentale per stabilire il proprio predominio nella lotta per il potere è quello di autoproclamarsi campioni di virtù e, quindi, moralizzatori dell’altrui condotta. Spesso le rivoluzioni si sono presentate in tali termini, decretando da subito il loro declino in un qualche inferno a venire. "Ripristinare le virtù corrotte dallo spirito dei tempi" è da sempre la bandiera dei reazionari di ogni risma, ammaliati e innamorati di un passato inesistente, falsamente raffigurato come edenico.
                                                                          Claudio Vercelli
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