Vivere nel Sud degli Stati Uniti,
l’esperienza ebraica

L’approdo a Ellis Island. Il Lower East Side con le sue vie pulsanti di vita e gremite di bambini, gli appartamenti affollati, la povertà bruciante, le manifatture. Quando si pensa alla saga dell’emigrazione ebraica in America, la mente corre a New York. Al mondo raccontato da Henry Roth, Avraham Cahan e Hollywood. Sono i luoghi in cui si sedimenta la memoria collettiva, evocativi e carichi di nostalgia. L’esperienza degli ebrei negli Stati Uniti non si esaurisce però qui. Fin dall’epoca coloniale un sostenuto flusso di emigrazione dalla Germania, dalla Francia e dall’Est Europa si dirige negli stati del Sud ed è tutta un’altra storia.
A raccontarla, per la prima volta nella sua complessità, è il Museum of the Southern Jewish Experience da poco inaugurato a New Orleans che attraverso una collezione impressionante di oggetti e immagini ricostruisce un percorso dipanatosi nell’arco di 350 anni. “Quella degli ebrei nel Sud è una vicenda diversa e poco conosciuta. Ed è una storia al tempo stesso americana e universale perché riguarda la capacità umana di inserirsi e prosperare ovunque”, spiega il direttore esecutivo Kenneth Hoffman. Per questi immigrati il punto di ingresso nel nuovo mondo non è Ellis Island ma il porto di Galveston in Texas. Anziché stabilirsi in quartieri omogenei e la vorare nelle manifatture, i nuovi arrivati si dedicano per lo più al commercio minuto di pentole, abiti, giocattoli, attrezzi e si spingono verso la frontiera. Nella solitudine del Sud rurale, questi venditori ambulanti sono accolti a braccia aperte. Portano merci ambite, portano notizie. Molti finiscono per stabilirsi in comunità ospitali dove fondano sinagoghe e aprono negozi, spesso così lussuosi da anticipare la moda dei grandi magazzini. Molti hanno la possibilità, negata in Europa, di acquistare terre o dedicarsi all’artigianato.
Gli ebrei si ritrovano così a giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo economico dell’area e le tracce di quel passato sono ancora visibili in negozi che ancora conservano l’eleganza di un tempo e monumentali sinagoghe spesso sbarrate o abbandonate al degrado.
Qui come in altre zone del paese, da tempo le campagne sono in via di spopolamento e le piccole città che un tempo ne erano il tessuto connettivo non fanno eccezione. Il risultato è che oggi la popolazione ebraica negli Stati del Sudest conta poco più di un milione di persone. Un numero assai ridotto rispetto a New York o alla California. Molti dei discendenti di quegli immigrati vivono ormai nelle metropoli – Dallas, Atlanta o Miami.
La memoria dell’immigrazione ebraica non è però mai stata abbandonata. Lettere, oggetti e documenti sono stati a lungo conservati a Utica, in Mississippi, in un edificio che in passato ospitava campeggi estivi ebraici. Per quanto ricca e aperta agli studiosi, la collezione era così decentrata da attirare pochi visitatori e nel 2012 era stata sistemata in un magazzino.
A restituirla al pubblico è stato un gruppo di filantropi, discendenti da famiglie di immigrati, che si sono prodigati perché un museo dell’ebraismo del Sud divenisse infine realtà. Allestito nella frequentata zona museale di New Orleans – città in cui è presente una vivace comunità ebraica – il Museum of the Southern Jewish Experience ha richiesto un investimento iniziale di circa nove milioni, interamente frutto di donazioni. La pandemia ha complicato la situazione rinviando l’apertura di quasi un anno. E l’uragano Ida a fine agosto ha dato il colpo di grazia. I generatori hanno salvato la collezione ma il museo ha dovuto chiudere per qualche settimana. In attesa di tempi migliori, tanti programmi si svolgono online. In futuro si attendono però almeno 30 mila visitatori l’anno.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche Gennaio 2022