C’è un’altra epidemia di cui dobbiamo preoccuparci con urgenza. Ed è quella dell’odio. È quanto evidenzia l’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio, nel suo ultimo rapporto. Ben 1379 le aggressioni “razziste, omotransfobiche, antisemite e abiliste” registrate nel 2021. Un dato che fa segnare un’impennata vorticosa rispetto al 2020, quando tale numero si attestava a 913. In calo apparente l’odio virtuale, in aumento vistoso quello fisico. Nel 2020 le aggressioni non online erano il 65 per cento del totale, nel 2021 sono state l’82 per cento. “La discriminazione abbandona il virtuale e torna a sommergere la vita reale delle persone, nelle loro relazioni familiari e di vicinato, nei luoghi che frequentano o dai quali vengono allontanati o preclusi”, la sintesi dell’Unar.
Un effetto rimbalzo che Triantafillos Loukarelis, il direttore dell’Unar, aveva già pronosticato mesi fa a Pagine Ebraiche. “Purtroppo – conferma oggi – questa è la fotografia di un Paese che vive, dal punto di vista sociale, una situazione delicata”. Il risultato di alcuni errori vistosi anche dal punto di vista della comunicazione. “Abbiamo permesso che, sulla questione del vaccino, gli estremisti potessero mettere il loro cappello sul no e sullo scetticismo che andava diffondendosi in alcuni gruppi non necessariamente estremi. Non siamo stati capaci, al contrario, di coinvolgere chi, in modo conscio o inconscio, aveva paura. Su questo vuoto si sono innestate manifestazioni che sono andate ben oltre la questione sanitaria”. Di tutto ciò “paghiamo adesso un caro prezzo”.
Una questione, anche, di qualità dell’informazione. “Purtroppo il 2021 passerà alla storia anche come un anno di forte complottismo online e offline. Che è molto più di una deriva cognitiva ma un fattore che, cinicamente alimentato, rischia di influenzare e disintegrare le democrazie nei loro valori fondamentali. In particolare quel pluralismo che è il cardine del nostro stare insieme, quel rispetto che non deve mai mancare nei confronti dell’Altro. Qualunque cosa si intenda con esso”.
Al primo posto del vertice dell’odio, riferisce l’Unar, le persone aggredite per motivi etnico-razziali: il 2021 ha registrato 709 casi rispetto ai 545 del 2020. Sono invece 241 i casi denunciati di discriminazioni per “religione o convinzioni personali”, rispetto ai 183 dei dodici mesi precedenti. A crescere in particolare l’antisemitismo: ben 170 i casi censiti (erano 89 nel 2020).
“È il dato che passa più all’occhio”, riconosce Loukarelis. Sintomo di un Paese che sembra smarrire una rotta e in cui anche la conoscenza storica relativa alle ferite del recente passato non appare, in molti casi, all’altezza. “C’è un problema di cultura inadeguata”, sottolinea il direttore dell’Unar. Il riferimento è a uno dei casi più eclatanti: la circolare diffusa dal ministero dell’Istruzione nel Giorno del Ricordo, con l’impossibile equiparazione tra Shoah, foibe e vicende dell’esodo giuliano-dalmata che ha suscitato sconcerto e al tempo stesso sconforto. “È il segno – afferma – che nel fare Memoria consapevole non si è riusciti a raggiungere non solo chi ha meno strumenti per comprendere ma anche persone di cultura, che leggono e si informano. O almeno dovrebbero. Una mancanza, davvero inquietante, che ci conferma quanto lavoro resti da fare”.
Si avvicina, per l’Unar, uno degli appuntamenti più importanti: la settimana di azione contro il razzismo, che si svolgerà quest’anno dal 15 al 21 marzo. “C’è stata una grande ricchezza di progetti, ben 143 candidature in totale, tra le quali abbiamo dovuto effettuare una selezione. Nel complesso – dice Loukarelis – un insieme di proposte di alto livello e qualità”. Molti i temi su cui si spazierà: tra gli altri Cultura, Scuola e Sport. Un fronte quest’ultimo di costante progettualità per l’Unar, che lavora da anni a stretto contatto sia con la Federcalcio che con la Lega Serie A. Ma l'impegno non si ferma al calcio, come è possibile riscontrare anche con l'adesione di molte federazioni all'Osservatorio nazionale contro le discriminazioni nello sport.
Il tutto si svolgerà sotto un cappello significativo: quello della presidenza italiana del Consiglio d’Europa. Loukarelis lancia un appello: “Sul tema dei diritti umani, purtroppo, l’attenzione non è molto alta. I media possono e devono fare di più. Questa può essere l’occasione per uno scatto di consapevolezza”.
(Nell'immagine in alto Triantafillos Loukarelis, il direttore dell'Unar)
Un pubblico numeroso ha accolto con entusiasmo l’anteprima assoluta dello spettacolo “Qinà Shemor. Ester, la regina del ghetto”, ospitata ieri al Teatro Comunale di Ferrara. Centinaia le persone che hanno applaudito la rappresentazione scritta e diretta da Teatro Nucleo e realizzata in collaborazione con il Meis in occasione della mostra “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”. Al centro dell’azione, il rabbino e intellettuale Leone da Modena che nel ghetto di Venezia del ‘600 scrive “L’Ester, tragedia tratta dalla Sacra Scrittura”, dedicata alla storia di Purim e al coraggio della regina Ester, donna ebrea che si impose in un mondo governato dagli uomini salvando il popolo ebraico. Con “Qinà Shemor. Ester, la regina del ghetto” i registi Horacio Czertok e Marco Luciano hanno voluto calare sui riferimenti storici inserti di circo contemporaneo, danza e musica dal vivo, seguendo il meccanismo scenico del “teatro nel teatro”. Lo spettacolo crea così un susseguirsi di scene dai risultati sorprendenti e fa dialogare l’opera con le avventurose vicende del suo autore. L’innesco narrativo parte proprio da Leone da Modena, intento nella preparazione della tragedia che vorrebbe presentare durante la cena di Purim, portando così sul palco un cast di attori eclettico, capace di rendere il sapore dell’epoca e creare rimandi alla contemporaneità.
Nella parashà della settimana la Torà ci narra, nella sua prima parte, la grave colpa commessa dal popolo nel costruire un vitello d’oro e nella sua adorazione. Mentre Moshè si trova sul monte Sinai a ricevere la Torà, il Signore gli comanda di scendere dal monte a rendersi conto della situazione. L’espressione della Torà suona con le seguenti parole: “Va jomer A’ el Moshè lekh red – D-o disse a Moshè va’, scendi” (Shemòt 32;7). Nel Talmud (Berakhot 32,b) troviamo insegnato il significato di questa espressione: “Quando Israele fece il vitello, il Santo Benedetto Egli sia disse a Moshè ‘va’, scendi dalla tua grandezza”.
Ho una passione smodata per i film che parlano di giornalisti mentre trovo quasi sempre insopportabili (con qualche lodevole eccezione) i film che parlano di scuola. Questo potrebbe essere un pessimo segno, considerato che sono una giornalista quasi dilettante (diciamo amatoriale) e la mia occupazione principale, quella che mi dà da vivere, è l’insegnamento. Chissà, forse ho sbagliato mestiere? Il bello è che nei film sui giornalisti non solo mi appassiono, ma paradossalmente e irrazionalmente mi identifico. Perché a volte un piccolo giornale in un contesto piccolo (come una Comunità ebraica italiana di medie dimensioni) può avere un impatto paragonabile a quello di un grande giornale in un contesto ampio, e quindi i dubbi e i problemi un po’ alla lontana si somigliano.
Chissà perché Italo Svevo nelle sue tre opere scelga per i suoi personaggi triestini cognomi così lontani dal territorio giuliano. Se si esclude qualche eccezione come il banchiere Maller di “Una Vita” o Guido Speier nella “Coscienza di Zeno”, la scelta verte soprattutto su cognomi di aree gallo-italiche, emiliani e lombardi in primis. Penso per esempio a “Senilità” dove compaiono il Brentani, il Balli, il Leandri, il Sorniani, la Zarri, la Chierici o i Deluigi. Una scelta che salta all’occhio, e che come per la lingua usata, “il toscano”, finisce per suonare alquanto artificiosa. Certo, nonostante Svevo si ricolleghi inevitabilmente alla tradizione letteraria mitteleuropea e austriaca, il fine era probabilmente quello di oltrepassare i confini imperial-regi e cercare il favore di un lettore fiorentino o milanese, il quale in mezzo a tali nomi avrebbe potuto sentirsi ipoteticamente più a proprio agio.