La realtà non è affascinante
Ho una passione smodata per i film che parlano di giornalisti mentre trovo quasi sempre insopportabili (con qualche lodevole eccezione) i film che parlano di scuola. Questo potrebbe essere un pessimo segno, considerato che sono una giornalista quasi dilettante (diciamo amatoriale) e la mia occupazione principale, quella che mi dà da vivere, è l’insegnamento. Chissà, forse ho sbagliato mestiere?
Il bello è che nei film sui giornalisti non solo mi appassiono, ma paradossalmente e irrazionalmente mi identifico. Perché a volte un piccolo giornale in un contesto piccolo (come una Comunità Ebraica italiana di medie dimensioni) può avere un impatto paragonabile a quello di un grande giornale in un contesto ampio, e quindi i dubbi e i problemi un po’ alla lontana si somigliano: proteggere le fonti con l’anonimato? Riportare integralmente interviste scomode? Pubblicare articoli che certamente faranno arrabbiare qualcuno? E poi, lo confesso, mi identifico con quel misto di rabbia e soddisfazione che si prova nell’essere attaccati: con una punta di orgoglio penso alla mia piccola collezione accumulata negli anni di lettere offensive, insulti sui social, persino una denuncia davanti al Tribunale Rabbinico (vicenda per fortuna poi rientrata grazie alla capacità di mediazione del nostro rabbino capo).
Se la mia capacità di immedesimarmi arriva a questi livelli, in teoria con i film su scuola e insegnanti dovrei andare a nozze; anche lì non mancano personaggi affascinanti e vicende intriganti: allievi ostili che poi si appassionano, insegnanti che lavorano in contesti difficili, che difendono eroicamente la propria libertà e autonomia, che riflettono e discutono sul senso del loro mestiere. Invece, come dicevo all’inizio, nella maggior parte dei casi i film sugli insegnanti mi infastidiscono e mi urtano; ci trovo sempre qualcosa di falso, di forzato. Possono parlare di grandi problemi ma quasi mai delle difficoltà pratiche, della burocrazia, della quotidianità. Le classi dei film hanno spesso un modo molto ordinato di essere disordinate: un allievo o un’allieva lancia una provocazione e tutti ridono e magari attaccano tutti insieme l’insegnante (ma questo presupporrebbe che tutti stiano facendo attenzione); possono fare cose terribili ma difficilmente li vediamo intenti a ripassare la lezione per l’ora successiva.
A pensarci bene non credo di aver sbagliato mestiere. Se avessi fatto la giornalista probabilmente troverei falsi e fastidiosi i film sui giornalisti. Se gli attacchi e gli insulti fossero la mia routine quotidiana forse la fatica di dover decidere di volta in volta come reagire prevarrebbe sull’orgoglio. Se il giornalismo fosse il mio mestiere principale forse giudicherei più angoscianti che intriganti tutte le vicende che potrebbero mettere in pericolo la stabilità del mio posto di lavoro. E probabilmente troverei falsi e forzati i film che ne parlano.
Insomma, gli argomenti su cui siamo competenti hanno per noi poco fascino. E, così come non siamo affascinati, non siamo capaci di affascinare. Ho capito che quando scrivo di scuola non sono mai abbastanza interessante. A quanto pare i miei tentativi di spiegare le difficoltà, i problemi burocratici, le anomalie causate da due anni di pandemia, la necessità di trovare soluzioni eque e realistiche in una situazione del tutto eccezionale e anomala sono così poco appassionanti che possono essere completamente ignorati persino da chi scrive pochi giorni dopo su queste stesse colonne sullo stesso argomento. È stato un po’ frustrante ma è stata una lezione utile.
Anna Segre
(18 febbraio 2022)