Un tic molto triestino

Chissà perché Italo Svevo nelle sue tre opere scelga per i suoi personaggi triestini cognomi così lontani dal territorio giuliano. Se si esclude qualche eccezione come il banchiere Maller di “Una Vita” o Guido Speier nella “Coscienza di Zeno”, la scelta verte soprattutto su cognomi di aree gallo-italiche, emiliani e lombardi in primis. Penso per esempio a “Senilità” dove compaiono il Brentani, il Balli, il Leandri, il Sorniani, la Zarri, la Chierici o i Deluigi. Una scelta che salta all’occhio, e che come per la lingua usata, “il toscano”, finisce per suonare alquanto artificiosa. Certo, nonostante Svevo si ricolleghi inevitabilmente alla tradizione letteraria mitteleuropea e austriaca, il fine era probabilmente quello di oltrepassare i confini imperial-regi e cercare il favore di un lettore fiorentino o milanese, il quale in mezzo a tali nomi avrebbe potuto sentirsi ipoteticamente più a proprio agio. Svevo con queste operazioni però finisce per rispecchiare un tic molto triestino, o più in generale umano: più ci sforziamo di voler assomigliare all’altro imitandolo e più mettiamo in luce il nostro distacco da questi, col risultato di scimmiottarlo. Ma forse, vai a sapere, l’intenzione era proprio questa…

Francesco Moises Bassano

(18 febbraio 2022)