PAGINE EBRAICHE MARZO 2022 - L'INTERVISTA A MASSIMO POPOLIZIO

"M, l’Italia manipolata dal potere"

Il ghigno di un Italo Balbo che si arruola tra le squadracce fasciste per denaro e si diverte nel distribuire violenza. I modi eleganti di Margherita Sarfatti, donna di cultura e fascino che apre le porte delle élite a Mussolini per poi esserne usata e abbandonata. Il voltafaccia di Nicola Bombacci, prima simbolo socialista, vate della rivoluzione e poi, svanito il sogno proletario, fascista. L’umanità di Giacomo Matteotti, senza la patina stantia dell’eroe, innamorato, a tratti goffo, ma sinceramente impegnato a combattere per i diritti dei suoi concittadini, dei suoi conterranei. E poi i due Mussolini, il teatrante da avanspettacolo che imbonisce il pubblico italiano e il reietto che gradualmente si fa strada e sale fino in cima alla scala del potere.
Sono alcuni dei personaggi che si alternano in scena in “M. Figlio del secolo”. Tre ore di spettacolo con cui Massimo Popolizio, regista e interprete del Mussolini teatrante, porta in scena il libro premio Strega 2019 di Antonio Scurati. Trentuno quadri scenici con diciotto attori che interpretano ottanta personaggi, che si alternano su scenografie essenziali quanto d’effetto. Sul palco si racconta l’ascesa di Mussolini (quello borghese interpretato da Tommaso Ragno), dalla fondazione dei fasci di combattimento, passando per la Marcia su Roma, fino al discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925 e al dilagare dello squadrismo. “Il mio obiettivo non era fare un bignami delle 800 pagine di Antonio né fare una puntata di Rai Storia. Ma prendermi dei rischi e mettere in scena un’allegoria del potere, dove l’Italia viene rappresentata come una sorta di laboratorio di un disastro futuro. E soprattutto non volevo che il pubblico uscisse dal teatro indifferente”, racconta a Pagine Ebraiche Popolizio, apprestandosi a portare a Roma il suo M (in scena al Teatro Argentina fino ai primi di aprile).
Al Piccolo Teatro di Milano, che ha coprodotto la pièce assieme al Teatro di Roma e Luce Cinecittà, per un mese il pubblico ha riempito la sala. Una presenza costante. La miglior risposta all’invito del regista e attore a non rimanere indifferenti a un racconto che parla dell’Italia e degli italiani. Ma non solo.

Ironico. Brechtiano. Cinematografico. Felliniano. Sono alcune delle definizioni che la critica ha dato del suo M. Come ha affrontato la sfida di condensare ottocento pagine di storia in uno spettacolo?
È stato un rischio. Molti degli spettacoli sono interpretazioni di testi già noti: possono venire bene oppure no, ma il testo sai che funziona. Con M no, la riduzione non era mai stata fatta. Per questo dico che era rischioso, una sfida bella e incosciente. E siamo riusciti a realizzare uno spettacolo complesso, ma popolare. La forma “brechtiana” del romanzo poi mi ha permesso di scegliere una chiave grottesca, con momenti di varietà, cori, canzoni. I trentuno quadri sono veloci e dinamici. Non si procede in ordine cronologico, ma per temi: Arditi, Donne, il Teatrante, Elezioni Rosse, Il Cadavere, Matteotti. Gli attori, in questa costante alternanza, devono restituire l’idea di una specie di furore.

I suoi due Mussolini in scena non hanno neppure le fattezze di quello storico, eppure questo non toglie credibilità alla narrazione.
Se guardiamo il bellissimo film del ‘73 di Vancini, Il delitto Matteotti, lì gli attori, che sono il meglio del meglio, facevano di tutto per assomigliare fisicamente ai personaggi storici. La pellicola funziona ed è ancora straordinaria. A teatro non credo che avrebbe fatto lo stesso effetto. Poi io l’ho fatto Mussolini (nel film Sono tornato di Luca Miniero) e so cosa significa caricarsi di tutto un bagaglio di immagini e se vuoi stereotipi. Non volevo metterli in M, anche per dare spazio ad altri significati e riflessioni.

Qual è per lei il cuore di queste riflessioni?
Credo sia una domanda: come fa un movimento guidato da un uomo in soli sei anni anni a conquistare l’Italia? Non dimentichiamo come inizia: con Mussolini che si rivolge agli arditi, che rappresentano la feccia del paese. Sono persone fuori di testa, diecimila mine vaganti che vengono assoldate immediatamente da Mussolini. Poi li abbandona, perché “il piccolo borghese ha bisogno di rassicurazioni”. M è mercuriale, cambia posizione continuamente. La rivoluzione, dice, i socialisti non la faranno mai, perché hanno “l’intoppo dell’etica, la zavorra dei princìpi”. Bisogna essere capaci di cavalcare il malcontento per la conquista del potere.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche Marzo 2022

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PAGINE EBRAICHE MARZO 2022

Il teatro come antitesi del fascismo

Il teatro è un’espressione artistica. Per questo, spiega il regista e attore Massimo Popolizio, in M Benito Mussolini, Margherita Sarfatti, Giacomo Matteotti, Gabriele D’annunzio non sono fedeli ricostruzioni storiche di personaggi realmente esistiti, ma allegorie. Sono rappresentazioni di idee, di concetti. Nel guardarli bisogna andare al di là del loro ruolo storico, raccontato da Antonio Scurati nel suo M, da cui lo spettacolo è tratto. “Il Matteotti impersonato da Raffaele Esposito per esempio non somiglia all’originale, né l’attrice Sandra Toffolatti ha qualcosa del personaggio Margherita Sarfatti, e così il D’Annunzio impersonato da Riccardo Bocci”. Ed è il fascino di M, in cui si vede un Mussolini da avanspettacolo ballare il tiptap e allo stesso tempo dire cose terrificanti. In cui Giacomo Matteotti appare, come spiega Esposito, “in una veste un po’ scassata, un po’ trasandata: il nostro Matteotti è un uomo solo, come del resto lo fu davvero di fronte al fascismo”. Ma anche un uomo innamorato di sua moglie Velia, con cui intrattiene una commovente relazione epistolare. Oltre ad essere un politico profondamente legato alla sua terra, impegnato a difendere i suoi concittadini del Polesine. “Matteotti è una vera vittima. È un eroe positivo e un martire volgarmente ucciso”, rileva Popolizio.

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L'INTERVENTO ALLA KNESSET RILANCIATO IN PIAZZA A TEL AVIV

"Tutta Israele ascolti Zelensky"

Da quando è iniziata l’invasione russa, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha usato con abilità la comunicazione come strumento per aiutare il suo paese. I suoi discorsi hanno contribuito a convincere l’Europa a fornire al popolo ucraino non solo aiuti umanitari ma anche militari. Hanno persuaso l’Occidente sulla necessità di mettere in campo sanzioni durissime contro la Russia. E ora Zelensky vuole usare le parole per ottenere anche da Israele ulteriore sostegno. Il governo di Gerusalemme si è già impegnato in queste settimane nell’invio di aiuti umanitari a Kiev. Sta lavorando alla realizzazione di un ospedale da campo e ha fatto partire da Roma nelle scorse ore sei generatori per alcune strutture sanitarie di Leopoli. Per evitare però lo scontro diretto con la Russia, con cui ha bisogno di cooperare in Siria, Gerusalemme ha scelto di non accogliere le richieste ucraine rispetto alle forniture militari. Richieste che Zelensky ha fatto direttamente a Bennett e che presto ci si aspetta farà a tutto il parlamento israeliano. Nei prossimi giorni infatti, dopo qualche ostacolo organizzativo, lo speaker della Knesset Michael Levy ha annunciato che Zelensky parlerà in una riunione aperta a tutti i parlamentari. Nel mentre il sindaco di Tel Aviv Ron Huldai ha rilanciato e proposto “all’ambasciata ucraina di trasmettere il discorso in piazza Habima, in modo che l’intero pubblico israeliano possa ascoltare in diretta le parole del presidente”.

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SORGENTE DI VITA

In fuga dall'Ucraina

Si apre con un servizio sulla situazione degli ebrei in Ucraina la puntata di Sorgente di Vita in onda su Rai Due in prima emissione martedì 15 marzo (e non domenica 13, a causa della concomitante messa in onda delle Paralimpiadi invernali).
L’aggressione della Russia all’Ucraina ha proiettato la situazione geopolitica in una fase nuova, estremamente pericolosa e dalle prospettive cupe, cambiando di colpo gli scenari globali. A essere coinvolti anche gli ebrei ucraini: decine di migliaia di persone in fuga dalle violenze, aiutate da diverse istituzioni ebraiche. 
Le voci del rabbino capo di Ucraina Yaakov Bleich, del rabbino di Odessa Mendel Wolf, dei profughi ebrei in fuga verso lo Stato d’Israele, e il racconto della realtà e della storia ebraica in Ucraina nell’intervento del giornalista e scrittore Wlodek Goldkorn. .

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Anziani di Sion e legalità
Ha ragione Roberto Coen a giudicare “pericolosa” la sentenza con cui la giudice Chiara Mastracchio ha deciso il non luogo a procedere nei confronti del senatore Elio Lannutti (scritto sbagliato, con una sola t, nella sentenza emessa dal tribunale di Terni). L’esponente politico aveva indicato sui social il testo dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion come fonte autorevole e credibile per “spiegare” le dinamiche di potere che governerebbero il mondo degli affari e dell’alta finanza. In poche parole (come al solito) i banchieri ebrei sarebbero padroni del destino del mondo.
Gadi Luzzatto Voghera
L'umiltà del leader
La caratteristica del primo versetto della nostra parashà è quella di avere la sua prima parola "waiqrà" con la alef finale più piccola rispetto al resto delle altre lettere.
Il Ba'al ha turim (Rabbì Ya'aqov ben Asher 1269 Colonia - 1343 Toledo) commenta dicendo che è a causa dell'umiltà di Moshè, il quale non volendo mettere in risalto la sua persona per essere in continuo contatto con D-o, voleva scrivere "vaiqer" che significa "capitare, incontrare", quindi rapportarsi con la divinità in modo più vicino agli uomini qualsiasi.
Rav Alberto Sermoneta
Le pagelle della democrazia
Ammetto di aver scoperto l’acqua calda ma il mio mestiere consiste appunto in gran parte nel far conoscere l’acqua calda al maggior numero possibile di persone. Sapevo dell’esistenza del Democracy Index – l’elenco stilato annualmente dal settimanale The Economist che ordina 167 paesi in base al loro grado di democrazia – ma non avevo mai provato a consultare direttamente la classifica. L’ho fatto due giorni fa con gli allievi di quinta ginnasio, scandalizzatissimi per la posizione dell’Italia tra le “flawed democracies”, “democrazie imperfette”, in compagnia di paesi che ai loro occhi apparivano assai meno democratici di noi, per esempio l’India o il Sudafrica, ma anche gli Stati Uniti e Israele. 
Anna Segre
Domande da lontano
Negli ultimi giorni uno tra i dibattiti più accesi in Occidente è stato in merito all’invio o al non invio di armi all’esercito ucraino. In molti probabilmente ha prevalso più che un reale sentimento pacifista una sorta di istinto di conservazione, comunque giustificabile, ovvero il timore di un’ulteriore escalation del conflitto. 
Alcuni commentatori sui principali media hanno avanzato la perplessità che le armi alla resistenza ucraina potrebbero rivelarsi solo un primo passo per un successivo coinvolgimento più diretto sul campo, o hanno ipotizzato una ritorsione militare nei nostri confronti da parte dei russi. Per quanto in realtà la guerra fredda abbia dimostrato che fornire armi a un paese aggredito non significhi automaticamente un ingresso in guerra contro l’aggressore.
Francesco Moises Bassano
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