Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     18 Marzo 2022 - 15 Adar 5782
ALLA COMMEMORAZIONE MACRON INSIEME AD HERZOG

La ferita di Tolosa, dieci anni dopo
La Francia si ferma a riflettere

L’attentato alla scuola Ozar HaTorah di Tolosa ha rappresentato uno spartiacque per la società francese. Dalla mattina del 19 marzo del 2012 infatti la striscia di sangue si è costantemente allungata, colpendo a più riprese realtà ebraiche, luoghi di aggregazione, redazioni di giornali. Il mondo della scuola e quello delle comunità di culto. Tutte le possibili manifestazioni di quel diritto ad esistere ed esprimersi in libertà avversato dal fanatismo islamico.
Dieci anni dopo la Francia tornerà a riflettere sull’eredità di quella drammatica giornata. Lo farà nel nome delle vittime – il rabbino Jonathan Sandler, i suoi due figli Gabriel e Aryeh e la piccola Myriam Monsonégo – stringendosi ai familiari e al Crif, il Conseil Représentatif des Institutions Juives de France che ha organizzato per domenica una serie di iniziative che vedranno l’intervento del presidente francese Emmanuel Macron e di quello israeliano Isaac Herzog. Insieme i due leader politici si recheranno davanti all’istituto per deporvi una corona. E insieme prenderanno parte alla cerimonia del Crif. Lunedì 21, al Bataclan, un confronto su “Francia, antisemitismo ed estremismo islamico” vedrà invece tra i relatori i due ex presidenti Nicolas Sarkozy e François Hollande. Una due giorni in ricordo delle quattro vite spezzate alla scuola ebraica ma anche dei tre poliziotti uccisi in precedenza fra Tolosa e Montauban: Imad Ibn-Ziaten, Abel Chennouf e Mohamed Legouad.
“Tolosa è stato il punto di partenza di un’ondata terroristica di matrice islamica. L’auspicio è che la nostra iniziativa rappresenti un momento di mobilitazione generale per porre fine a questa minaccia” la speranza espressa da Franck Touboul, referente locale del Crif. Un appuntamento attraverso il quale fare memoria dei nomi e rileggere quest’intero decennio tra scelte operate anche in ambito repressivo e occasioni mancate. Non sempre infatti la consapevolezza del pericolo è stata sufficiente nell’opinione pubblica. Certamente non nei primi mesi e anni. È quanto evidenziava il Gran Rabbino Haim Korsia in una intervista con Pagine Ebraiche di poco successiva agli attentati del gennaio 2015: “Dopo il massacro di Tolosa molti hanno voluto parlare di un ‘lupo solitario’. Adesso è ben chiaro a tutti che i lupi non sono solitari”.
Il terrore non ha però smesso di uccidere. È il caso di due donne assassinate nel proprio domicilio perché ebree: Mirelle Knoll e Sarah Halimi. Nel secondo caso con lo sconcertante epilogo di una sentenza della Corte di Cassazione che ha messo nero su bianco l’impossibilità di procedere contro l’omicida perché dichiarato incapace di intendere e volere al momento dell’atto. “Verità” e “giustizia”: due concetti che il figlio Yonathan non ha mai smesso di evocare, anche attraverso Pagine Ebraiche, non escludendo se necessario un ricorso alla magistratura d’Israele.
Un libro accompagna l’anniversario: “Toulouse, 19 mars 2012, L’attentat de l’école Ozar Hatorah par ceux qui l’ont vécu”. A curarne la stesura un ex allievo della scuola, il 27enne Jonathan Chétrit, che quel giorno si trovava dentro l’edificio. “Subito dopo l’attentato ho iniziato ad elaborare quel che avevo vissuto, cercando di esprimere le mie emozioni e i miei sentimenti. Come sappiamo la memoria non è infallibile e anche per questo ho sentito il bisogno di fissare su carta alcuni punti. Ho scritto per non dimenticare ed è stato terapeutico”, la sua testimonianza. Un testo personale ma anche collettivo: “Ogni voce conta, ogni storia si completa con le altre”.

Una battaglia da vincere nel segno di convergenze ampie. Lo attesterà la presenza di una figura che è di per sé un simbolo: Hassen Chalghoumi, imam di Drancy e presidente della conferenza degli imam di Francia. Nel suo nuovo libro “Libérons l’islam de l’islamisme”, condiviso in anteprima italiana con Pagine Ebraiche, il religioso si sofferma sulle scelte di coerenza e contro l’odio che lo hanno costretto a una vita sotto scorta. Tra i suoi numerosi antagonisti anche un gruppo che si richiama nel nome allo sceicco Ahmed Yassin fondatore del gruppo terroristico Hamas.
“Sono l’imam di Drancy, una città che ha conosciuto l’orrore e l’odio al tempo della Shoah. Sono il primo a dover mostrare la mia solidarietà al mondo ebraico e il mio impegno contro l’antisemitismo. Anche per questo – ha detto Chalghoumi – domenica sarò a Tolosa”. 

(Nelle immagini: la scuola Ozar HaTorah, il libro di Jonathan Chétrit, l’imam Hassen Chalghoumi ospite del Crif)

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DA KIEV A LEOPOLI, CENTINAIA GLI EDIFICI IN PERICOLO

Sinagoghe e luoghi ebraici a rischio,
l'allarme della fondazione internazionale

Sono oltre 400 sinagoghe a rischio per via del conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina. La stima è della Foundation For Jewish Heritage, ente internazionale con sede a Londra.
Tutte le forze armate, si legge in una nota, hanno “una responsabilità assoluta nel proteggere beni culturali e luoghi di culto”. Realtà, si ricorda, “che sono un patrimonio dei popoli” e che sono tutelate da vari trattati. A partire, citato per primo, dalla Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato stipulata all’Aia nel 1954.
Attacchi deliberati contro luoghi di culto, si sottolinea ancora, “sono perseguibili come crimini di guerra”. In questo senso le tracce della presenza ebraica in Ucraina nelle loro diverse declinazioni “hanno un significato speciale, in quanto collegate a comunità annientate o decimate nella Shoah”. Edifici spesso violati dalla barbarie. Una testimonianza, quindi, “di quel potenziale di inumanità di cui l’uomo è capace: una lezione cruciale al giorno d’oggi”.

(Nell’immagine: la sinagoga Jakob Glanzer di Leopoli)

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La Poesia che salva il mondo
“Essere felici in questo mondo è, ad ogni età, un atto rivoluzionario. Potrebbe trattarsi di una rivoluzione privata, oppure no: lasciamo, questa volta, che appartenga a tutti, che ognuno fiorisca dall’interno per autobenedizione”.
Basterebbero queste potenti parole, che concludono il prologo della raccolta di poesie di Francesca Ruth Brandes “Tutti i pesci del mare” (Zacinto edizioni, Milano 2021), per comprendere quanto siano vani e al contempo tragici gli avvenimenti che accadono attorno a noi. Una guerra, milioni di profughi, migliaia di vite spezzate, poche prospettive di una pace vera.  Eppure, scrive la poetessa veneziana che ha realizzato questa raccolta di versi, siamo noi a dover cercare (e dare) quella pace, trovando il giusto equilibrio nel nostro intimo e nei rapporti con chi ci è vicino.
 
Gadi Luzzatto Voghera
L'importanza di collaborare
“Vaja’as Aharon uvanav et col ha devarim ashr tzivvà A’ bejad Moshè – E fece Aharon e i suoi figli tutte le cose che aveva comandato il Signore per mezzo di Moshè” (Waiqrà 8;36).
La nostra parashà inizia con un imperativo: “tzaw – comanda”. Moshè, fratello più giovane di Aharon, deve ordinare a lui e alla sua discendenza tutte le regole del servizio sacrificale. Eppure, nonostante ciò, la parashà si conclude con l’adempimento di Aharon e dei suoi figli dell’ordine ricevuto da Moshè.
Rav Alberto Sermoneta
Purim e il diritto all'autodifesa
Ogni anno mentre leggiamo la Meghillat Ester la nostra attenzione si sofferma su qualcosa di nuovo, un dettaglio, un’anomalia, spesso qualcosa che finora ci era sfuggito. Ed è inevitabile che il nostro sguardo sia guidato dall’attualità.
Forse non tutti ricordano che la vicenda narrata nella Meghillah non si conclude affatto con l’impiccagione del malvagio Hamman e la nomina di Mordechai al suo posto. Perché in quel momento è ancora in vigore l’editto che ordina l’uccisione di tutti gli ebrei il 13 di Adar successivo (circa undici mesi dopo), e “ciò che è stato scritto in nome del re e sigillato con l’anello del re non può essere revocato”.
Anna Segre
Il ruolo di Zelensky
Non ricordo dove ho letto che se a un abitante della Zona di residenza avessero raccontato che un giorno il presidente dell’Ucraina sarebbe stato un ebreo questi avrebbe riso sonoramente prendendo l’altro per pazzo. Probabilmente neppure Vladimir Putin aveva compreso sino in fondo le capacità e la prodezza di Volodymyr Zelensky. Che ci fosse in mezzo o no un sentimento antisemita, senza dubbio Putin pensava che Zelensky avrebbe tradito il proprio paese o contemporaneamente che l’esercito e i propri concittadini non l’avrebbero sostenuto sino in fondo.
Francesco Moises Bassano
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