LE REAZIONI IN ISRAELE AL DISCORSO DEL PRESIDENTE UCRAINO ALLA KNESSET
"Paragoni con la Shoah impropri e sbagliati,
ma Zelensky e l'Ucraina affrontano un'aggressione"
Il 24 febbraio scorso il presidente ucraino Volodymir Zelensky ha pronunciato davanti ai leader europei un discorso che ha cambiato gli equilibri del conflitto con la Russia. “Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedete vivo. Dovete fare di più per me”, il suo appello lanciato da un bunker di Kiev. Le sue parole hanno avuto effetto. Hanno smosso gli indecisi e portato all’imposizione delle sanzioni più severe mai applicate dall’Unione europea a un paese. La Russia è stata colpita nel profondo e all’Ucraina, paese extra Ue, sono state consegnate armi per difendersi da Mosca. Zelensky con quell’accorato appello aveva colpito nel segno.
Non si può dire la stessa cosa del suo recente discorso alla Knesset, a giudicare dalle reazioni registrate sui media d’Israele e dal suo mondo politico. Anche chi ha ribadito di essere pienamente dalla sua parte, ha precisato di non aver gradito i paragoni fatti dal leader ucraino tra il suo paese invaso dai russi e la Shoah. Ad esempio, la chiusura finale del suo discorso: “Gli ucraini hanno fatto la loro scelta. 80 anni fa. Hanno salvato gli ebrei. Ecco perché i Giusti tra le Nazioni sono tra noi. Popolo d’Israele, ora avete questa scelta”, ha dichiarato Zelensky. Quella che voleva essere un’esortazione ad aiutare è però risuonata come una distorsione storica. Come molti commentatori hanno fatto notare, solo pochissimi ucraini, per quanto eroici, difesero gli ebrei dalla persecuzione. La maggior parte collaborò con i nazisti ed ebbe parte attiva nel genocidio ebraico.
Il paragone quindi non regge. Anzi è stato controproducente, come evidenzia il corrispondente diplomatico dell’emittente pubblica israeliana Kan, Amichai Stein. “Il presidente dell’Ucraina voleva reclutare gli israeliani, ma il suo discorso ha fatto sì che il suo messaggio principale venisse abbandonato a favore del dibattito sulle azioni degli ucraini 80 anni fa”. Secondo il direttore del Times Of Israel, David Horowitz, “piuttosto che indurre empatia o una rivalutazione”, Zelensky ha innescato, da parte di diversi parlamentari, “un’obiezione furiosa per i frequenti parallelismi che ha tracciato tra la situazione dell’Ucraina – le sue città bombardate, migliaia di morti e milioni di senzatetto – e quella degli ebrei nella Shoah”. La sue richieste, miste a durissime critiche, di aiuti militari (tra cui la fornitura di Iron Dome), di sanzioni alla Russia, di interventi più ampi a favore dei rifugiati sono rimaste impigliate nel discorso sui paragoni impossibili. E hanno perso efficacia.
Nel mentre anche uno dei bersagli delle critiche, il Primo ministro Naftali Bennett, ha invitato l’opinione pubblica a guardare oltre. Intervenendo a una conferenza del quotidiano Yedioth Ahronot, Bennett ha sottolineato di non poter immaginare cosa si provi ad essere ora nei panni di Zelensky. “Il suo paese e il suo popolo stanno affrontando una guerra molto difficile, centinaia di morti e milioni di sfollati”, ha ricordato il Premier, ribadendo dall’altro lato che la Shoah non dovrebbe essere usata come termine di paragone.
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IL SOPRAVVISSUTO ALLA SHOAH UCRAINO UCCISO A KHARKIV DAI MISSILI RUSSI
Boris Romantschenko (1926-2022)
Boris Romantschenko, 96 anni, sopravvissuto ucraino ai lager nazisti di Buchenwald, Peenemünde, Dora e Bergen Belsen, è stato ucciso in uno degli attacchi russi a Kharkiv. Un missile ha colpito la sua casa, ha raccontato la nipote di Romantschenko, secondo quando riportato in una nota della Fondazione dei Memoriali di Buchenwald e Mittelbau-Dora. "È con orrore - si legge nella nota - che dobbiamo segnalare la morte violenta di Boris Romantschenko nella guerra in Ucraina. L'ex prigioniero di Buchenwald e vicepresidente del Comitato Internazionale Buchenwald-Dora e Commandos per l'Ucraina (IKBD) è morto venerdì a Kharkiv. Un proiettile ha colpito l'edificio a più piani dove viveva. Il suo appartamento è bruciato".
Romantschenko era nato il 20 gennaio 1926 a Bondari vicino a Sumy (città dell'Ucraina nord-orientale) ed è stato deportato a Dortmund nel 1942, dove fu costretto ai lavori forzati. Cercò di fuggire, ma fu catturato e inviato al campo di concentramento di Buchenwald nell'ottobre 1943. Fu imprigionato anche a Peenemünde, a Mittelbau e Bergen-Belsen.
Romantschenko era parte del Comitato Internazionale Buchenwald-Dora, di cui è stato per molti anni vicepresidente per l'Ucraina. "Il 12 aprile 2015 ha anche pronunciato il giuramento di Buchenwald in russo sull'ex piazza dell'appello del campo di concentramento: "Наш идеал - построить новый мир и свободы." ("Costruire un nuovo mondo di pace e libertà è il nostro ideale!)", il ricordo del Memoriale di Buchenwald. "Piangiamo la perdita di un caro amico. Al figlio e alla nipote, che ci hanno dato la triste notizia, auguriamo molta forza in questi tempi difficili".
(Nelle immagini della Fondazione dei Memoriali di Buchenwald e Mittelbau-Dora, Boris Romantschenko davanti all'ingresso di Buchenwald e durante la cerimonia per commemorare la liberazione del lager nazista)
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LA TESTIMONIANZA DI YULIA E L'ACCOGLIENZA RICEVUTA DALLA COMUNITÀ EBRAICA
“A Venezia la prima emozione positiva,
dopo settimane di dolore e angoscia”
"La prima emozione positiva dall'inizio della guerra. Qualcosa che non dimenticherò mai".
Dopo settimane di angoscia sul volto di Yulia è tornato il sorriso. Merito della Comunità ebraica di Venezia che l'ha ospitata e si è data da fare non soltanto per lei personalmente ma anche per la madre e i due figli di cinque e undici anni che la accompagnano. Quattro profughi in viaggio per l'Europa, con destinazione finale la Francia.
Negli scorsi giorni Yulia ha guidato la sua automobile per migliaia di chilometri, da Kiev alla Romania e quindi attraverso le strade di Ungheria, Austria, Italia. "Qualcuno può aiutarli?" la domanda che circolava in rete mentre Venezia si avvicinava all'orizzonte. "Noi ci siamo", ha fatto sapere il presidente della Comunità ebraica Dario Calimani insieme alla figlia Susanna. E così è stato nel senso più pieno possibile. Un appartamento è stato offerto allo scopo e inoltre si è provveduto a farsi carico di tutta una serie di necessità grandi e piccole. Aria fresca per una famiglia che ha vissuto uno shock profondo.
"Abitiamo in un palazzo nei pressi dell'aeroporto di Kiev. L'incubo si è materializzato alle prime ore del mattino: bombe, esplosioni, elicotteri. Siamo usciti dall'edificio in fretta e furia, con in tasca i documenti di identità e lo stretto indispensabile", racconta Yulia. Dopo aver trascorso una giornata intera dentro la metropolitana la scelta è stata quella di lasciare il Paese nel più breve tempo. In Ucraina è rimasto soltanto il marito: uno dei tanti eroi che si stanno battendo per la libertà e dignità di un popolo. "Non ha voluto specificarmi dove. Io non gli chiedo, lui non mi dice", sottolinea la moglie.
Dietro di sé la galleria di immagini di una nazione devastata. "Quando siamo partiti ai miei figli ho rivolto una raccomandazione: non guardate fuori. L'ho fatto per preservarli da visioni tremende. Qui un braccio, lì una gamba: dalle macerie dei tanti palazzi abbattuti purtroppo spuntava anche questo. Abbiamo pianto per ore".
L'attraversamento del confine con la Romania ha portato un po' di sollievo. Ma l'angoscia resta enorme. Pensando a quel marito che combatte, ma anche ai traumi vissuti da chi è più vulnerabile e farà fatica a lasciarsi una esperienza del genere alle spalle. "Se i miei figli vedono un elicottero stanno male. L'incubo di quelle prime ore di guerra, purtroppo, riaffiora...".
Era una giornata di fine febbraio, neanche un mese fa, quando degli elicotteri rappresentarono lo spartiacque della loro esistenza. Yulia da allora non ha mai smesso di viaggiare. Nel suo cammino, tra tanto dolore, ha trovato anche un po' di solidarietà.
"Questi giorni a Venezia - conclude - li porterò sempre nel mio cuore".
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IL PROGETTO "THESAURUS DI MUSICA EBRAICA ITALIANA ONLINE"
Il patrimonio liturgico ebraico a portata di tutti,
nasce l'archivio digitale nel nome di Leo Levi
Immensa è la ricchezza dei repertori di musica ebraica italiana sedimentatasi nel corso di secoli e generazioni. Una realtà che si presenta estremamente diversificata e che sopravvive oggi in modi e con gradi di completezza che variano anche piuttosto significativamente da una città all’altra. Tutelare questo patrimonio, favorirne la fruizione e condivisione, è la sfida del “Thesaurus di Musica Ebraica Italiana Online”. Un database online di prossima presentazione che offrirà un acceso sistematico alle registrazioni, alle trascrizioni e alle partiture. Valorizzando in questo senso anche gli archivi e le risorse già presenti. Un progetto ambizioso, promosso dal Centro Leo Levi per lo studio del Patrimonio Liturgico Ebraico con il sostegno di prestigiose istituzioni israeliane, americane e italiane.
Il varo ufficiale dell’iniziativa avverrà domenica 27 marzo a Firenze con la partecipazione di rabbini, chazanim e studiosi. Un modo anche per fare memoria di uno straordinario protagonista dell’ebraismo italiano cui questo impegno è dedicato. “È commovente pensare a Leo Levi e alla sua opera di salvataggio compiuta con un piccolo registratore tra le mani, di sinagoga in sinagoga” sottolinea David Meghnagi, vicepresidente del Centro che ne porta il nome. Il Thesausus nasce proprio nel suo solco. Due obiettivi tra i tanti: favorire la consapevolezza generale, ma anche far crescere una nuova generazione di chazanim. A tal proposito, anticipa Meghnagi, “una delle idee è quella di istituire dei percorsi di studio in Israele”. Oltre a ciò ogni anno si andrà a premiare un chazan particolarmente distintosi nei mesi precedenti. Per la prima edizione si è pensato invece di omaggiare tre grandi Maestri che non sono più tra noi: rav Fernando Belgrado, rav Elia Richetti e rav Vittorio Della Rocca. Per Meghnagi un coinvolgimento che prenderà le forme anche di un cd dedicato alla musica liturgica del Nord Africa. Un tema già approfondito nella raccolta Shira Shir che ci introduce a vari momenti di vita ebraico-libica: le gioia della nascita, il dolore per la perdita, i Salmi delle Scale che si recitano nel pomeriggio di Shabbat.
Rav Joseph Levi è stato rabbino capo di Firenze per oltre vent’anni. Leo Levi era suo padre.
“La nostra ambizione – racconta – è far conoscere la tradizione millenaria della musica rituale ebraico-italiana. E al tempo stesso far fiorire e crescere l’ebraismo italiano con le sue tradizioni musicali così belle e particolari”.
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LA PRESENTAZIONE IN SINAGOGA A NAPOLI
Storia degli ebrei, storia del mondo
Tappa a Napoli per “Storia Mondiale degli Ebrei” a cura di Pierre Savy, presentato nella sinagoga di Via Santa Maria a Cappella Vecchia nell’ambito di un’iniziativa della sezione locale dell’Adei Wizo e dell’associazione a Voce Alta, che prevede due incontri per altrettanti volumi sulla storia del popolo ebraico, con il patrocinio della Comunità e in collaborazione con la libreria Laterzagorà. A presentare l’edizione italiana dell’opera gli storici Anna Foa e Giancarlo Lacerenza, che hanno illustrato i criteri seguiti nella cura del testo soffermandosi sugli aspetti particolari della storia degli ebrei italiani che sono stati trattati con maggior dettaglio nel libro (che è pubblicato dalla casa editrice Laterza).
Daniele Coppin
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Ripensare il mondo
Nel migliore dei casi, anche se l’aggressione russa sarà bloccata dalla resistenza ucraina e le mire espansionistiche di Putin saranno fermate, tutto sarà davvero cambiato intorno a noi. Un cambiamento che non può non riguardare anche noi ebrei, in diaspora come in Israele. Dovremo riaggiustare, forse anche profondamente, il nostro modo di vivere e di rapportarci al mondo. Tanto per fare solo l’esempio più evidente di questa necessità di ripensarci, dovremo trovare il modo di reimmaginare la diaspora, guardando al modo in cui un presidente ebreo ha guidato nella resistenza all’aggressore un paese in cui gli ebrei hanno storicamente vissuto come una minoranza, e non senza grandi problemi.
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Oltremare - I dettagli
Forse dico qualcosa di controcorrente, o addirittura rivoluzionario, ma certe volte nella storia è difficile non perdere il senso generale delle cose, e si finisce per guardare troppo i dettagli, soprattutto quelli dolorosi, fastidiosi o antipatici. Ieri sera ero in macchina mentre Zelenski faceva il suo discorso via zoom ai membri della Knesset sparpagliati ciascuno nel suo salotto, studio, ufficio. Fra le commissioni e il traffico, ho ascoltato con attenzione. Mi ha dato francamente fastidio la leggerezza con la quale ha fatto un calderone della storia del Novecento e l’ha scodellata come un uovo strapazzato davanti ai suoi ascoltatori – e cioè credo buona parte di Israele e non solo.
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Storie di Libia - Giulio Hassan / 3
Giulio Hassan ricorda come la cosa peggiore della prigionia fosse il tempo che non passava mai. Spesso non sapeva cosa fare, anche se non aveva perso la fede. A quel tempo facevano processi a tutti gli ex membri del governo. Tra di essi c’era un ex ministro berbero che era stato condannato a dieci anni di carcere. Era avanti con l’età e gli ispirava fiducia. Gli parlò sinceramente dicendogli che un uomo della sua età non poteva scontare una pena così lunga, perché sarebbe morto prima.
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