Yulia e la solidarietà
degli ebrei veneziani
“La prima emozione positiva,
dopo settimane di dolore e angoscia”
“La prima emozione positiva dall’inizio della guerra. Qualcosa che non dimenticherò mai”.
Dopo settimane di angoscia sul volto di Yulia è tornato il sorriso. Merito della Comunità ebraica di Venezia che l’ha ospitata e si è data da fare non soltanto per lei personalmente ma anche per la madre e i due figli di cinque e undici anni che la accompagnano. Quattro profughi in viaggio per l’Europa, con destinazione finale la Francia.
Negli scorsi giorni Yulia ha guidato la sua automobile per migliaia di chilometri, da Kiev alla Romania e quindi attraverso le strade di Ungheria, Austria, Italia. “Qualcuno può aiutarli?” la domanda che circolava in rete mentre Venezia si avvicinava all’orizzonte. “Noi ci siamo”, ha fatto sapere il presidente della Comunità ebraica Dario Calimani insieme alla figlia Susanna. E così è stato nel senso più pieno possibile. Un appartamento è stato offerto allo scopo e inoltre si è provveduto a farsi carico di tutta una serie di necessità grandi e piccole. Aria fresca per una famiglia che ha vissuto uno shock profondo.
“Abitiamo in un palazzo nei pressi dell’aeroporto di Kiev. L’incubo si è materializzato alle prime ore del mattino: bombe, esplosioni, elicotteri. Siamo usciti dall’edificio in fretta e furia, con in tasca i documenti di identità e lo stretto indispensabile”, racconta Yulia. Dopo aver trascorso una giornata intera dentro la metropolitana la scelta è stata quella di lasciare il Paese nel più breve tempo. In Ucraina è rimasto soltanto il marito: uno dei tanti eroi che si stanno battendo per la libertà e dignità di un popolo. “Non ha voluto specificarmi dove. Io non gli chiedo, lui non mi dice”, sottolinea la moglie.
Dietro di sé la galleria di immagini di una nazione devastata. “Quando siamo partiti ai miei figli ho rivolto una raccomandazione: non guardate fuori. L’ho fatto per preservarli da visioni tremende. Qui un braccio, lì una gamba: dalle macerie dei tanti palazzi abbattuti purtroppo spuntava anche questo. Abbiamo pianto per ore”.
L’attraversamento del confine con la Romania ha portato un po’ di sollievo. Ma l’angoscia resta enorme. Pensando a quel marito che combatte, ma anche ai traumi vissuti da chi è più vulnerabile e farà fatica a lasciarsi una esperienza del genere alle spalle. “Se i miei figli vedono un elicottero stanno male. L’incubo di quelle prime ore di guerra, purtroppo, riaffiora…”.
Era una giornata di fine febbraio, neanche un mese fa, quando degli elicotteri rappresentarono lo spartiacque della loro esistenza. Yulia da allora non ha mai smesso di viaggiare. Nel suo cammino, tra tanto dolore, ha trovato anche un po’ di solidarietà.
“Questi giorni a Venezia – conclude – li porterò sempre nel mio cuore”.