IL SUMMIT ISRAELIANO CON USA, EGITTO, EMIRATI, BAHREIN E MAROCCO

Nel Negev per costruire percorsi di pace 
Lo storico vertice nel segno di Ben Gurion

“È nel Negev che la creatività e il vigore pionieristico di Israele saranno messi alla prova”, diceva David Ben Gurion, che scelse il Negev e in particolare il kibbutz Sde Boker come sua ultima casa. Proprio a Sde Boker in queste ore sarà la diplomazia ad essere messa alla prova per un summit dal significato storico: per la prima volta si incontrano in Israele gli alti rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco, accolti dal padrone di casa, il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid. Le minacce poste dall’Iran al Medio Oriente e le divergenze sull’accordo nucleare sono i temi principali in agenda di questo appuntamento, organizzato in un luogo simbolo del sionismo come Sde Boker. “Questi giorni ci ricordano che se vuoi la pace, devi essere in grado di difenderla. La forza militare e diplomatica non è un ostacolo alla pace, è ciò che la garantisce”, ha sottolineano Lapid incontrando a Gerusalemme il capo della diplomazia americana Antony Blinken. Al segretario di Stato Usa il ministro degli Esteri ha ribadito che “la relazione tra i nostri due paesi è indissolubile. Questa è l’amicizia più stretta e l’alleanza più forte che Israele ha”. Un punto di partenza da tenere a mente in un mondo scosso dall’aggressione russa all’Ucraina. Aggressione, ha ribadito Lapid a Blinken, che Israele è impegnata a fermare assieme ai suoi partner internazionali.

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LA RACCOLTA ORGANIZZATA AL MEMORIALE DELLA SHOAH DI MILANO

Dalla parte dell'Ucraina, il momento della solidarietà

"Chi può apra le porte per dare accoglienza o comunque dia il suo contributo per aiutare le persone in fuga dall'Ucraina", aveva spiegato a Pagine Ebraiche il vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Milo Hasbani. Un impegno alla solidarietà che in queste ore vede protagonista Milano e il Memoriale della Shoah. Qui, mondo ebraico e diverse realtà cittadine, tra cui i City Angels, sono impegnati a raccogliere beni di prima necessità per i profughi in fuga dalla guerra (da alimenti non deperibili a prodotti per l'igiene personale). "Dalla parte dell’Ucraina" l’emblematico titolo dell’iniziativa, che andrà avanti fino alle 18.00 di questa sera. 

"È importante continuare a donare. - sottolinea Hasbani - Abbiamo ricevuto da Beteavon (cucina sociale casher gestita dal movimento Chabad-Lubavitch di Milano) due camion pieni di alimenti. E poi sono arrivati molti prodotti medici ma anche pannolini, saranno sicuramente utili".  

 

A GERUSALEMME CON L'ASSOCIAZIONE CHE SI OCCUPA DI DISABILITÀ

Shalva, una maratona speciale

Una presenza speciale ha caratterizzato l’undicesima edizione della Maratona di Gerusalemme.
Al via erano infatti schierati oltre un centinaio di giovani in rappresentanza del centro Shalva, realtà d’eccellenza che da oltre trent’anni è un punto di riferimento nel campo della disabilità e nell’impegno a far sì che nessuno rimanga indietro ma possa comunque dare il proprio contributo alla società. Un inizio pionieristico nel 1990 in un piccolo appartamento e appena sei bambini di cui occuparsi. Ma anche una visione d’insieme che ha permesso a questa istituzione di crescere in modo costante al punto da servire oggi all’incirca duemila famiglie. “Tutte le persone devono avere la possibilità di esprimere il loro potenziale”, il principio guida che si è scelto di applicare.
All’interno di Shalva ciò può essere fatto in molti modi, anche nel segno dello sport e attraverso collaborazioni con realtà di riferimento nazionale che spaziano dal basket al calcio, dal judo al fitness. Non sorprende quindi che sia da sempre tra i partner della Maratona, cui contribuisce anche con l’organizzazione della “Community Run”: un percorso di ottocento metri che ha visto tanti protagonisti anche quest’anno; chi sulle proprie gambe in autonomia e chi invece coadiuvato dallo staff di educatori. Nessuno, nonostante la pioggia battente, ha voluto rinunciare.
A complimentarsi con i suoi ragazzi c’era il rabbino Kalman Samuels, fondatore e presidente del centro insieme a sua moglie Malki. Loro figlio Yossi è diventato cieco a undici mesi. All’età di otto anni, dopo un lungo vuoto comunicativo, è riuscito ad apprendere una forma di interazione attraverso il palmo della mano. Da quel momento i coniugi Samuels hanno consacrato la loro vita a uno scopo: aiutare il maggior numero possibile di famiglie nella loro situazione.

(Nell’immagine: il fondatore e presidente di “Shalva” Kalman Samuels alla partenza)

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L'OMAGGIO DI CASALE MONFERRATO ALLA FOTOGRAFA LISETTA CARMI

Israele, il racconto della complessità

È lungo l’elenco delle buone ragioni per visitare la mostra dedicata a Lisetta Carmi nella sede della Comunità ebraica di Casale Monferrato. Cominciamo dal contesto: ci sono le immagini di un’artista proveniente da una delle più antiche famiglie ebraiche genovesi, che sceglie di ritrarre un periodo cruciale nella storia di Israele, esposte per la prima volta in un ambiente coerente dal punto di vista culturale. C’è però anche il contesto generale di un evento inserito in un festival biennale della fotografia, tanto ambizioso quanto connesso ai luoghi della città in cui è ospitato. Questo MonFest, sotto la direzione artistica di Maria Teresa Cerretelli, vede 12 diverse esibizioni sparse per i capolavori del centro storico. Il raffronto con i Rencontres de la photographie di Arles è immediato: anche qui ci sono nomi importanti, certo, ma soprattutto c’è il genius loci che esalta stile, tecnica e visione di ogni autore. I visitatori si perdono affascinati negli accostamenti tra gli scatti e le sale del Castello, gli affreschi di Palazzo Treville, gli stucchi del Teatro Municipale, le arenarie del nartece della cattedrale. Non poteva mancare alla lista la Casale che da 400 anni si raccoglie attorno alla sinagoga.
La mostra curata da Daria Carmi e Giovanni Battista Martini raccoglie 35 scatti, in gran parte inediti, frutto di due viaggi di Lisetta Carmi in Israele: il primo nel 1962 il secondo nel 1967, dividendoli nei due ambienti dello spazio espositivo.

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IL CASO NEL TORINESE

"Monumento che accosta Shoah e foibe,
un progetto che preoccupa e sconcerta"

Inquietante iniziativa del sindaco del Comune di Montaldo Torinese Sergio Gaiotti che, riferiscono alcuni organi di informazione locali, si è prefisso di ricordare vittime della Shoah e delle foibe in uno stesso monumento da collocare davanti al municipio. Un artigiano sarebbe già stato incaricato di eseguire l’opera.
Ferma, tra gli altri, la condanna della Comunità ebraica di Torino. “L’ipotesi di un monumento che accomuni Shoah e foibe ci lascia sconcertati e profondamente preoccupati”, le parole del suo presidente Dario Disegni. Impossibile infatti equiparare “due tragedie dalle caratteristiche completamente diverse”.

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Speranza e paura
I secoli della modernità – ci ha raccontato anni fa Jean Demuleau nel suo «Paura in Occidente» (il Saggiatore) – si sono venuti svolgendo nella crescente tensione tra speranza e paura. E così accanto alle ostentate sicurezze abbiamo visto mostri terrificanti dappertutto: il diavolo, l’ebreo, la strega, l’eretico, l’avversario ideologico, più genericamente l’«altro».
Davvero questo è un tempo nuovo?
                                                                         David Bidussa
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La mela avvelenata 
Ci sono i fatti e poi le loro rappresentazioni. Gli uni elementi non sono alternativi degli altri. Raffigurare un fatto (così come un oggetto) implica il riprodurlo in sua assenza, dandone cognizione a chi non ha avuto modo di farne esperienza. Le idee che abbiamo su un mondo così grande e variegato da non potere essere acquisito, compreso e rielaborato dalla nostra sola mente, derivano perlopiù dalle immagini e dalle rappresentazioni correnti che ci vengono offerte attraverso il circuito delle comunicazioni di massa.
                                                                          Claudio Vercelli
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