Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui       18 Aprile 2022 - 17 Nissan 5782
L'UCRAINA SOTTO ATTACCO E LA MEMORIA DEI SIMBOLI

Leopoli, la stazione ferita e i racconti di nonno Jakub

Tra le immagini più toccanti del conflitto c’è una stazione affollata, piena stipata di gente che sta provando a mettersi in salvo salendo sul primo treno in partenza. Talvolta senza neanche conoscerne l’itinerario e la destinazione. Tutto pur di allontanarsi da quel contesto precario.
Olek Mincer, attore teatrale e cinematografico, quella stazione la conosce bene. Si tratta dalle “Leopoli-Golovni”, uno dei capolavori dell’art nouveau nei territori dell’ex Galizia un tempo rilucente di vita ebraica. Come già altre in Ucraina l'area in cui sorge è stata colpita in queste ore dai missili russi che hanno distrutto edifici e ucciso persone. 
Olek è nato a Leopoli nel 1957, in quella che era allora Unione Sovietica. Da qui partirono i suoi genitori con lui poco più che in fasce, due anni appena quando scelsero di emigrare a Varsavia. “Un viaggio piuttosto complesso e faticoso”, spiega Olek. “Due famiglie per vagone, con la compagnia ingombrante di mobili ed elettrodomestici di ogni sorta. In Polonia d’altronde molti di quei servizi mancavano. Chi ne aveva la possibilità, e noi eravamo tra i fortunati, cercava di colmare questa lacuna”. La famiglia di Olek era relativamente benestante e non lasciò Leopoli perché perseguitata o perché in pericolo per qualche specifico motivo. “Lo stesso – afferma – le immagini strazianti di queste settimane mi hanno riportato alla memoria quel viaggio, una svolta significativa nella nostra vita”.
Formatosi presso il Teatro Statale Ebraico di Varsavia, Mincer si è poi diplomato presso lo Studio Fersen di Roma e dal 1984 risiede in Italia. In questo momento però mente e cuore sono a Leopoli, la sua Leopoli. “L’ultima volta ci sono stato nove anni fa. Erano in corso lavori di riqualificazione che avevano determinato risultati di una certa importanza: sotto gli intonaci dell’epoca sovietica, per dire, erano riaffiorate scritte sia in polacco che tedesco. Leopoli, il cui centro storico è patrimonio Unesco, mi era apparsa allora in tutto il suo abbagliante splendore. Una città tirata a lucido, bella, intrigante”.


 

Uno dei luoghi del cuore, tra i tanti che elenca, è proprio la stazione ferroviaria. “Un topos dei racconti di mio nonno Jakub, che soleva soffermarsi sul fascino che emanava in ogni sua componente. In particolare sui suoi caffè di chiara impronta mitteleuropea. Caffè così, mi diceva, li trovi soltanto a Vienna”. Forse è per questo che, giunto in Italia, “raramente mi sono sentito a casa come a Trieste”. Quello con Leopoli è, sottolinea ancora, “un legame affettivo molto forte: Leopoli per i leopolini è un po’ come Napoli per i napoletani”. Un rapporto anche viscerale caratterizzato da spazi, luoghi di incontro e frequentazione. Oltre che da una parlata, da un dialetto unico nel suo genere che Mincer definisce “inconfondibile”.
Leopoli è però anche il ricordo di una cancellazione pressoché totale: l’annientamento della sua vivacissima comunità ebraica al tempo della Shoah. La famiglia di Olek fu drammaticamente segnata da quegli eventi, con molti parenti stretti deportati e poi uccisi nei campi di sterminio. Una lacerazione che l’attore leopolino ha in parte elaborato partecipando al film In Darkness della regista polacca Agnieszka Holland. Basato sul libro In The Sewers of Lvov di Robert Marshall e in lizza come miglior pellicola straniera agli Oscar del 2012, racconta una storia di coraggio nelle fogne di una Leopoli sotto occupazione nazista. Quella cioè che ebbe per protagonista il “Giusto tra le nazioni” Leopold Socha, che grazie alla sua conoscenza del sistema fognario locale salvò vari ebrei nascondendoli e assistendoli al suo interno. Un eroismo lungo quattordici, interminabili mesi.
Il film non è stato girato a Leopoli. Ma, a sentire Mincer, è un dettaglio non così rilevante. “Stare dentro a queste fognature, pur finte, pur in tutt’altro contesto come la città tedesca di Lipsia, è stata una esperienza molto forte. Inevitabile pensare a quel che è successo in quegli anni, al fardello di lutti e ferite terribili. È tutta la vita che mi ci confronto”. L’idea è che ci sia ancora tanto da dire al riguardo. Alcuni anni fa, forte di questa consapevolezza, aveva abbozzato un progetto denominato “Il cuore di Leopoli”. Un primo tentativo di scrivere una vera e propria saga familiare. Inizialmente accantonato dopo la stesura di alcuni paragrafi. Ma ora, confessa, “sto seriamente pensando di dargli un seguito”. Forse, conclude, “è giunto il momento”.

(Nelle immagini: la stazione di Leopoli, Olek Mincer sul set del film In Darkness)

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LA PASSIONE DI ISRAELE PER QUESTO PERSONAGGIO IN UNA SUGGESTIVA MOSTRA

Il viaggio di Heidi, dalla baita al kibbutz

Heidi non ha bisogno di presentazioni. La bambina creata dalla scrittrice svizzera Johanna Spyri è uno dei personaggi più amati e longevi della letteratura. I suoi libri hanno venduto 60 milioni di copie, sono stati tradotti in 70 lingue e vantano infiniti adattamenti per il cinema (celebre il film con Shirley Temple del 1937), il teatro e la televisione. Da oltre un secolo le sue avventure alimentano i sogni e l’immaginario di intere generazioni in tutto il mondo. I temi che risuonano in queste pagine – la natura, l’amicizia, l’innocenza degli affetti – non conoscono frontiere né barriere culturali e risuonano con potenza nell’animo dei bambini di tutto il mondo. Heidi è un classico che resiste alle sfide del tempo e Israele non fa eccezione. Anzi, fin dall’immediato dopoguerra si segnala tra i fan più affezionati e appassionati. Questa straordinaria vicenda torna, nei suoi complessi risvolti emotivi e culturali, nella mostra Shadow and Light. Heidi’s success story in Israel – A search for traces realizzata dallo Heidimusem di Kilchberg vicino a Zurigo. In esposizione anche al Museo ebraico di Monaco, la rassegna propone una carrellata delle edizioni in ebraico di Heidi negli ultimi 75 anni e attraverso una serie di materiali affonda lo sguardo nello sviluppo mediatico del personaggio. Un fronte, quest’ultimo, esplorato con originalità dal giovane artista israeliano Niv Fridman in una serie di installazioni fotografiche notevoli. Allestita nel quadro del festival culturale 1700 Jahre jüdisches Leben in Deutschland (1700 anni di vita ebraica in Germania) e curata da Peter Otto Büttner e Peter Polzin, con la supervisione della professoressa Hannah Livnat e la collaborazione di un board scientifico che annovera esperti delle università di Zurigo, Tel Aviv, Colonia, Gerusalemme e del Tel Aviv Museum of Art, la mostra indaga le ragioni per cui una storia all’apparenza così lontana dall’esperienza israeliana, a partire dalla stessa ambientazione, riesce invece a parlare al cuore dei più piccoli.

Heidi ha cinque anni quando sale all’Alpe. Ha perso prima i genitori e poi l’amata nonna. La zia con cui fino allora vive ha trovato lavoro a Francoforte e non può portarla con sé. L’unica casa che la può accogliere è quella del nonno, un vecchio burbero scontroso che da anni vive in solitudine in una baita sul costone di un monte a Dörfli, nel Cantone dei Grigioni. Il resto è una delle storie più celebri e amate della letteratura infantile, quella di Heidi.
Ispirato alla storia vera di Heidi Schwaller, cresciuta nelle Alpi svizzere, Heidi è un personaggio ormai assestato nell’immaginario collettivo. Chi non ha letto i libri, ha visto il film, i cartoni animati o per lo meno le magliette, le tazze, gli album e le figurine.
Un capitolo assai meno noto della diffusione di Heidi è l’immenso successo che l’accompagna in Israele fin dagli anni che precedono la fondazione dello Stato. Il romanzo di Spyri è tradotto per prima volta in ebraico nel 1946. E da allora il riscontro del pubblico non è mai venuto meno, come conferma la traduzione integrale dei libri di Heidi a opera di Hannah Livnat presentata due anni fa.
I classici non conoscono confini e Heidi, sostiene Livnat, è un modello per chiunque. È giusta, buona, vuole fare del mondo un posto migliore. E per questo ancora parla ai lettori di oggi. Non servono montagne, neve e caprette per apprezzare il mondo che ci circonda o aiutare gli altri. A rendere il personaggio così caro ai suoi lettori israeliani entra però in gioco un altro elemento di rara potenza. Ed è che fin dal principio questa storia, pur nella radicale differenza di abitudini e scenari, mostra una strana sintonia con l’esperienza, personale e collettiva, del suo pubblico. Non per caso la parola “orfano”, assente nell’originale di Spyri, compare spesso nelle traduzioni in ebraico, nota Peter Büttner.
L’esperienza traumatica della Shoah, che ha privato tanti bambini dei loro affetti più cari, fa sì che sia facile identificarsi con la piccola Heidi. Non è infatti una coincidenza – sostengono gli organizzatori della mostra – che Max Brod, emigrato a Tel Aviv nel 1939 per sfuggire ai nazisti, abbia regalato i volumi dell’edizione ebraica di Heidi alla figlia della sua segretaria di lunga data Ester Hoffe nel giorno del suo dodicesimo compleanno.

La traiettoria di Heidi è sotto molti aspetti sovrapponibile a quella di tanti bambini ebrei dell’Europa del tempo. E per capirlo basta scorrere la trama. Dopo la morte dei genitori e della nonna, trova la felicità sulle montagne svizzere, dove vive in armonia con la natura, porta le capre al pascolo e fa amicizia con Peter. A otto anni viene però obbligata a trasferirsi a Francoforte. Deve imparare a leggere, scrivere e tenere compagnia a Klara, la figlia debole di salute di una ricca famiglia. Per lei, cresciuta libera nella bellezza delle Alpi, il grigiore della città, i palazzi e le regole sono una prigione da cui sogna solo di scappare. Se non che anche questo nuovo mondo finirà per riservarle molte belle sorprese. Come Heidi i bambini israeliani hanno sperimentato una serie cocente di perdite e lutti, insieme alla solitudine e alle difficoltà che segnano l’ingresso in realtà molto diverse da quella in cui si è nati e cresciuti. Per Heidi, la baita del nonno e poi la casa inospitale che la ospita a Francoforte; un paese nuovo, nel caso del suo pubblico.
È l’arco identitario narrato in tanta letteratura per l’infanzia che solo lo sradicamento, la perdita e i nuovi orizzonti che portano con sé sembra rendano possibile (non è un caso se da Cenerentola a Oliver Twist a Bambi, nei libri per bambini gli orfani abbondano). Sono le zone d’ombra a cui allude il titolo della mostra, a cui fanno però da contrappunto una speranza indomita, il gusto per l’avventura, l’energia, la dolcezza e un profondo amore per la vita.
I libri di Heidi non hanno nulla di cupo. Sono libri a lieto fine ma nessuno viene a salvare la protagonista. In queste pagine non ci sono principi azzurri o facoltosi parenti in attesa nell’ombra. La bambina Heidi ricomincia da sola e lo fa con gioia, coraggio e testarda determinazione. Abbraccia la sua nuova vita, la nuova casa, gli amici, la bellezza che la circonda e rimette insieme i cocci. Come nota Hannah Livnat, è un personaggio in anticipo sui tempi – una femminista ante litteram, sensibile alla natura e agli animali. Ed è il segreto per cui ancora è capace di parlare alle nuove generazioni.
In questo suo percorso, come non leggere in filigrana la traiettoria di Israele? Un paese giovane e colmo di energia, voglia di vivere e ricostruire, che vede la luce all’indomani dell’immensa tragedia della Shoah. E sì, le Alpi sono lontane anni luce dalla Galilea. Ma come non ritrovare nell’amore per il mondo naturale che traspira da ogni pagina di Johanna Spyri quella passione per la terra e per l’ambiente che fin dagli esordi segna l’immaginario israeliano o la mitologia indimenticabile e romantica del kibbutz e della vita nei campi?

Daniela Gross

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IL CASO CHE HA SCOSSO LA FRANCIA

Jeremy Cohen, in stato di fermo
due dei possibili aggressori

Nuovi sviluppi relativi all’episodio che ha portato alla morte di Jeremy Cohen, il giovane ebreo parigino rimasto travolto in febbraio da un tram durante il tentativo di mettersi in salvo da un’aggressione dai contorni ancora da definire (tra le ipotesi prese in considerazione quella di una matrice antisemita). Le autorità hanno individuato due sospetti, di 27 e 23 anni, che avrebbero avuto un ruolo nell’aggressione. Il primo è accusato di “violenza intenzionale in pubblico”. Il secondo di “violenza intenzionale all’origine di un omicidio colposo”. Entrambi sono stati posti in stato di fermo. Sulla vicenda aveva chiesto lumi tra gli altri il Crif, il Consiglio rappresentativo degli ebrei di Francia. “È possibile che si sia davanti a un nuovo crimine antisemita, l’inchiesta ce lo dirà. L’importante è che tutte le luci si accendano su quanto avvenuto”, la richiesta del suo presidente Francis Kalifat. I fatti risalgono a varie settimane fa ma sono diventati di dominio pubblico a inizio aprile, imponendosi anche come uno dei temi degli ultimi giorni della campagna elettorale per le presidenziali.
 

(Nell'immagine: il Tribunale di Bobigny, incaricato del caso)

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Un brivido
Mi arriva su Facebook una foto del 1941 in un’imprecisata città americana. È una marcia pasquale per la pace. Ricordo che gli Stati Uniti entrarono in guerra solo nel dicembre 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour. In prima fila una donna di mezza età con un buffo cappellino che solleva un grande cartello che recita: Hitler has not attacked us, why attack Hitler? Dietro di lei un altro cartello: Why not peace with Hitler? E ancora dietro: Europe for Europeans, America for Americans. 
Nessun commento, solo un brivido.
Anna Foa
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Storie di Libia - Vivienne Roumani Denn
Vivienne Roumani (Bourkoff) Denn, ebrea di Libia. Fu di grande aiuto a chi scrive per far uscire sua zia dal Paese. Vivienne è nata a Bengazi e deve il nome al fatto che, contrariamente alle sorelle nate prima di lei, riuscì a vivere. Viveva insieme ai genitori e ai tre fratelli maggiori nel centro della città, accanto al municipio e vicino al lungomare dove faceva bellissime passeggiate con sua madre. 
David Gerbi
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