Heidi, dalla baita al kibbutz
Heidi non ha bisogno di presentazioni. La bambina creata dalla scrittrice svizzera Johanna Spyri è uno dei personaggi più amati e longevi della letteratura. I suoi libri hanno venduto 60 milioni di copie, sono stati tradotti in 70 lingue e vantano infiniti adattamenti per il cinema (celebre il film con Shirley Temple del 1937), il teatro e la televisione. Da oltre un secolo le sue avventure alimentano i sogni e l’immaginario di intere generazioni in tutto il mondo. I temi che risuonano in queste pagine – la natura, l’amicizia, l’innocenza degli affetti – non conoscono frontiere né barriere culturali e risuonano con potenza nell’animo dei bambini di tutto il mondo. Heidi è un classico che resiste alle sfide del tempo e Israele non fa eccezione. Anzi, fin dall’immediato dopoguerra si segnala tra i fan più affezionati e appassionati. Questa straordinaria vicenda torna, nei suoi complessi risvolti emotivi e culturali, nella mostra Shadow and Light. Heidi’s success story in Israel – A search for traces realizzata dallo Heidimusem di Kilchberg vicino a Zurigo. In esposizione anche al Museo ebraico di Monaco, la rassegna propone una carrellata delle edizioni in ebraico di Heidi negli ultimi 75 anni e attraverso una serie di materiali affonda lo sguardo nello sviluppo mediatico del personaggio. Un fronte, quest’ultimo, esplorato con originalità dal giovane artista israeliano Niv Fridman in una serie di installazioni fotografiche notevoli. Allestita nel quadro del festival culturale 1700 Jahre jüdisches Leben in Deutschland (1700 anni di vita ebraica in Germania) e curata da Peter Otto Büttner e Peter Polzin, con la supervisione della professoressa Hannah Livnat e la collaborazione di un board scientifico che annovera esperti delle università di Zurigo, Tel Aviv, Colonia, Gerusalemme e del Tel Aviv Museum of Art, la mostra indaga le ragioni per cui una storia all’apparenza così lontana dall’esperienza israeliana, a partire dalla stessa ambientazione, riesce invece a parlare al cuore dei più piccoli.
Heidi ha cinque anni quando sale all’Alpe. Ha perso prima i genitori e poi l’amata nonna. La zia con cui fino allora vive ha trovato lavoro a Francoforte e non può portarla con sé. L’unica casa che la può accogliere è quella del nonno, un vecchio burbero scontroso che da anni vive in solitudine in una baita sul costone di un monte a Dörfli, nel Cantone dei Grigioni. Il resto è una delle storie più celebri e amate della letteratura infantile, quella di Heidi.
Ispirato alla storia vera di Heidi Schwaller, cresciuta nelle Alpi svizzere, Heidi è un personaggio ormai assestato nell’immaginario collettivo. Chi non ha letto i libri, ha visto il film, i cartoni animati o per lo meno le magliette, le tazze, gli album e le figurine.
Un capitolo assai meno noto della diffusione di Heidi è l’immenso successo che l’accompagna in Israele fin dagli anni che precedono la fondazione dello Stato. Il romanzo di Spyri è tradotto per prima volta in ebraico nel 1946. E da allora il riscontro del pubblico non è mai venuto meno, come conferma la traduzione integrale dei libri di Heidi a opera di Hannah Livnat presentata due anni fa.
I classici non conoscono confini e Heidi, sostiene Livnat, è un modello per chiunque. È giusta, buona, vuole fare del mondo un posto migliore. E per questo ancora parla ai lettori di oggi. Non servono montagne, neve e caprette per apprezzare il mondo che ci circonda o aiutare gli altri. A rendere il personaggio così caro ai suoi lettori israeliani entra però in gioco un altro elemento di rara potenza. Ed è che fin dal principio questa storia, pur nella radicale differenza di abitudini e scenari, mostra una strana sintonia con l’esperienza, personale e collettiva, del suo pubblico. Non per caso la parola “orfano”, assente nell’originale di Spyri, compare spesso nelle traduzioni in ebraico, nota Peter Büttner.
L’esperienza traumatica della Shoah, che ha privato tanti bambini dei loro affetti più cari, fa sì che sia facile identificarsi con la piccola Heidi. Non è infatti una coincidenza – sostengono gli organizzatori della mostra – che Max Brod, emigrato a Tel Aviv nel 1939 per sfuggire ai nazisti, abbia regalato i volumi dell’edizione ebraica di Heidi alla figlia della sua segretaria di lunga data Ester Hoffe nel giorno del suo dodicesimo compleanno.
La traiettoria di Heidi è sotto molti aspetti sovrapponibile a quella di tanti bambini ebrei dell’Europa del tempo. E per capirlo basta scorrere la trama. Dopo la morte dei genitori e della nonna, trova la felicità sulle montagne svizzere, dove vive in armonia con la natura, porta le capre al pascolo e fa amicizia con Peter. A otto anni viene però obbligata a trasferirsi a Francoforte. Deve imparare a leggere, scrivere e tenere compagnia a Klara, la figlia debole di salute di una ricca famiglia. Per lei, cresciuta libera nella bellezza delle Alpi, il grigiore della città, i palazzi e le regole sono una prigione da cui sogna solo di scappare. Se non che anche questo nuovo mondo finirà per riservarle molte belle sorprese. Come Heidi i bambini israeliani hanno sperimentato una serie cocente di perdite e lutti, insieme alla solitudine e alle difficoltà che segnano l’ingresso in realtà molto diverse da quella in cui si è nati e cresciuti. Per Heidi, la baita del nonno e poi la casa inospitale che la ospita a Francoforte; un paese nuovo, nel caso del suo pubblico.
È l’arco identitario narrato in tanta letteratura per l’infanzia che solo lo sradicamento, la perdita e i nuovi orizzonti che portano con sé sembra rendano possibile (non è un caso se da Cenerentola a Oliver Twist a Bambi, nei libri per bambini gli orfani abbondano). Sono le zone d’ombra a cui allude il titolo della mostra, a cui fanno però da contrappunto una speranza indomita, il gusto per l’avventura, l’energia, la dolcezza e un profondo amore per la vita.
I libri di Heidi non hanno nulla di cupo. Sono libri a lieto fine ma nessuno viene a salvare la protagonista. In queste pagine non ci sono principi azzurri o facoltosi parenti in attesa nell’ombra. La bambina Heidi ricomincia da sola e lo fa con gioia, coraggio e testarda determinazione. Abbraccia la sua nuova vita, la nuova casa, gli amici, la bellezza che la circonda e rimette insieme i cocci. Come nota Hannah Livnat, è un personaggio in anticipo sui tempi – una femminista ante litteram, sensibile alla natura e agli animali. Ed è il segreto per cui ancora è capace di parlare alle nuove generazioni.
In questo suo percorso, come non leggere in filigrana la traiettoria di Israele? Un paese giovane e colmo di energia, voglia di vivere e ricostruire, che vede la luce all’indomani dell’immensa tragedia della Shoah. E sì, le Alpi sono lontane anni luce dalla Galilea. Ma come non ritrovare nell’amore per il mondo naturale che traspira da ogni pagina di Johanna Spyri quella passione per la terra e per l’ambiente che fin dagli esordi segna l’immaginario israeliano o la mitologia indimenticabile e romantica del kibbutz e della vita nei campi?
Daniela Gross
(18 aprile 2022)