DOPO IL TENTATIVO DI CENSURA DEL GOVERNO DI VARSAVIA
Memoria, Israele cancella i viaggi in Polonia
"Un'occasione per ripensarli"
L'aggressione russa dell'Ucraina, oltre ad aver ricompattato l'Europa, sembrava aver riavvicinato Israele e Polonia. Davanti alle necessità dei profughi ucraini i due paesi avevano trovato una strada per collaborare. Per coordinare le operazioni, Gerusalemme aveva fatto tornare a Varsavia il suo ambasciatore. Sei mesi prima era stato richiamato in patria per protestare contro l'approvazione di una legge polacca che limita la restituzione dei beni sottratti alle vittime della Shoah. Una norma che andava a sommarsi ad altre
Con l’acuirsi però delle minacce russe a Kiev, il diplomatico era tornato al suo posto. “Ora ne abbiamo addirittura due da noi. Il ‘nostro’ e quello inviato in Ucraina. - aveva raccontato a Pagine Ebraiche il rabbino capo di Polonia rav Michael Schudrich - È una situazione molto insolita, piena di contraddizioni, come del resto è la nostra storia di ebrei polacchi. Comunque speriamo che questo porti a un futuro diverso”.
La vera svolta però tra i due paesi non c'è stata. Anzi le tensioni sono tornate a farsi sentire negli ultimi giorni con l'annuncio da parte del ministro degli Esteri Yair Lapid della cancellazione dei viaggi d’istruzione in Polonia a cui dovevano partecipare in estate migliaia di studenti delle scuole superiori. Una decisione, ha dichiarato Lapid, dovuta al tentativo del governo polacco di condizionare il programma di studi sulla Shoah delle scuole israeliane. Secondo il quotidiano Haaretz, Varsavia avrebbe avanzato alcune richieste, tra cui non parlare dei casi di collaborazionismo polacco con i nazisti. Una tentativo di manipolazione inaccettabile, ha dichiarato Lapid, e da qui la decisione di cancellare i viaggi.
Dietro però queste iniziative, che da anni portano i giovani israeliani in Polonia, c'è un percorso complesso, spiega a Pagine Ebraiche il giornalista polacco Konstanty Gebert. Membro della Comunità ebraica polacca, spiega che se le ingerenze attuali sono inaccettabili, dall'altra parte i programmi educativi presentati ai ragazzi israeliani in questi viaggi non sono esenti da critiche. “Diversi governi polacchi da sempre hanno espresso dispiacere per i programmi delle visite ad Auschwitz. E bisogna dire legittimamente, perché spesso in queste occasioni la storia viene presentata con una visione molto appiattita della storia”. Gebert porta come esempio una controversia di cui hanno fatto parte anche gli ebrei polacchi, legata alla Marcia dei vivi. Iniziativa di Memoria organizzata nei diversi lager in Polonia, nata nel 1988 e diventata poi un appuntamento internazionale. “Per i primi sei o sette anni gli ebrei polacchi non erano ammessi alla Marcia. Si voleva dare un messaggio chiaro di una Polonia morta per gli ebrei. Ricordo ancora un volantino di una ventina di anni fa che veniva distribuito a chi partecipava alla marcia e recitava in inglese: 'You shall see the local inhabitants. You shall hate them for their part in the atrocity. But you will pity them for their miserable living conditions'. (Vedrete gli abitanti locali. Li odierete per la loro parte nell'atrocità. Ma li compatirete per le loro misere condizioni di vita)”. Secondo Gebert questa frase rappresentava di fatto la filosofia dei programmi scolastici israeliani quando si trattava di rapporti con la Polonia. “I giovani israeliani arrivavano in Polonia, non avevano contatti con i loro coetanei, ebrei e non, imparavano molto poco della nostra storia, visitavano i campi e il messaggio era molto chiaro: ecco l'alternativa a Israele, la morte nei lager”. C'è stata un'evoluzione nel corso del tempo, ma secondo il giornalista molti passi avanti devono ancora essere fatti. Non però quelli proposti dal governo polacco. “Le richieste portate avanti da Varsavia di avere ad esempio diritto di veto sui programmi educativi israeliani sono ovviamente inaccettabili”. E non potevano che essere rispediti al mittente. “Mi sembra poi che da parte polacca tutta questa polemica sia in realtà molto interna e più un fatto di propaganda. - afferma Gebert, con un passato da dissidente contro il regime comunista e membro di Solidarnosc - Stiamo andando verso le elezioni parlamentari (2023) e il partito al potere, Diritto e Giustizia, si sente minacciato. La guerra in Ucraina non ha aumentato il sostegno al suo esecutivo, anzi ne ha evidenziato le contraddizioni. Le proiezioni dicono che il suo governo potrebbe perdere la maggioranza in parlamento”. Per riguadagnare terreno quindi si torna al consolidato uso della retorica nazionalista. “Ogni occasione è buona per Diritto e Giustizia di dimostrare che difendono l'interesse nazionale. E così accade con questa storia dei viaggi israeliani. Del resto non si sono mai perse le elezioni in Polonia perché si è stati troppo duri con gli ebrei”, afferma con un po' di ironia Gebert. Che però aggiunge. “È vero anche il contrario: non si sono mai perse le elezioni israeliane perché si è stati troppo duri con i polacchi. Per questo, con i due paesi prossimi ai seggi, immagino che un compromesso non ci sarà, ma potrebbe essere una cosa buona”. La cancellazione di questi viaggi, afferma, potrebbe essere un'occasione per ripensarli. Un elemento che del resto, scrivono alcuni quotidiani israeliani, ha suggerito in parte anche lo Yad Vashem. “Io sono molto diffidente rispetto a quello che possiamo definire il turismo della Shoah. Ho parlato molte volte con i giovani israeliani che venivano qui e guardavano alla Polonia solo come a un luogo di morte. Bisognerebbe evitare queste manipolazioni emotive. E fare entrare molto più in contatto i ragazzi israeliani con la storia polacca, con quella della sua comunità ebraica, con la ricchezza culturale che ha espresso nel corso dei secoli”, la proposta di chi come Gebert quotidianamente si impegna per mantenere vivo l'ebraismo in Polonia.
Daniel Reichel
(Nell'immagine, Piazza degli Eroi del Ghetto a Cracovia e la simbolica installazione in memoria della comunità ebraica locale)
Era il 1976 quando Saul Bellow si aggiudicava il Premio Nobel per la Letteratura "per la comprensione umana e l'analisi sottile della cultura contemporanea" così significative nei suoi scritti. Due anni dopo analogo riconoscimento sarebbe andato a Isaac Bashevis Singer.
La ciliegina sulla torta ad anni di formidabili successi per la letteratura ebraico-americana. Un periodo d'oro lungo all'incirca tre decenni che ha visto in Bellow un leader, un punto di riferimento ineguagliabile. Maestro tra gli altri anche di un giovane scrittore in rampa di lancio: Philip Roth.
A ripercorrerlo, nell'ambito della rubrica “Incontri con la letteratura americana” del Centro Studi Americani di Roma, la professoressa Elèna Mortara. Già docente di Letteratura Anglo-Americana presso l'Università di Roma Tor Vergata, vincitrice del premio europeo "American Studies Network Book Prize" 2016 e curatrice del saggio monografico su Bellow nel secondo volume dei "Contemporanei. Novecento americano" curato da Elémire Zolla, Mortara ha delineato le tematiche salienti dei suoi libri, il suo percorso di vita, la sua rete di contatti.
(Nell'immagine: Abraham B. Yehoshua, Saul Bellow e Shimon Peres ad Haifa)
La vita di Carla Di Veroli, scomparsa la scorsa estate all’età di 59 anni, è stata caratterizzata da un profondo impegno antifascista e da una serie di iniziative che hanno messo in gioco la sua identità ebraica, il suo vissuto familiare intrecciato al dramma della Shoah, la sua sensibilità di donna combattiva educata al rispetto dei diritti anche dall’esempio della zia: la Testimone Settimia Spizzichino. Sfaccettature evidenziate insieme a molte altre nel corso della serata “I ponti di Carla” organizzata da Fondazione Museo della Shoah e Centro Ebraico il Pitigliani con la partecipazione di numerosi relatori e amici in rappresentanza di quell’associazionismo in cui Carla, senza mai risparmiarsi, ha potuto esprimere la sua militanza civile.
Si apre con un omaggio ad Abraham Yehoshua la puntata di Sorgente di Vita in onda su Rai Tre domenica 19 giugno. Il grande scrittore scomparso di recente è protagonista del documentario “L’ultimo capitolo” del regista Yair Qedar, in cui si racconta la quotidianità di Yehoshua negli ultimi anni, segnati dalla perdita della moglie e da una malattia che lo aveva messo duramente alla prova.
Il lavoro di Qedar, regista di biopic di grandi personalità israeliane, è il ritratto tra pubblico e privato di un autore amatissimo anche in Italia, che nonostante le difficoltà dell’ultimo periodo non aveva perso la sua ironia e il suo sguardo originale sul mondo e sulla società contemporanea.
Il 1° aprile 1925 il rabbino Abraham Itzhak ha-Cohen Kook iniziò il suo discorso nel giorno della fondazione dell’Università Ebraica di Gerusalemme con questa citazione del profeta Isaia:
“Alza intorno gli occhi e vedi: tutte le genti si radunano e vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, e le tue figlie sono portate al loro fianco. Allora sentirai paura, ma subito ti troverai nella contentezza; il tuo cuore s’intimorirà, e presto si allargherà, poiché verso di te si dirigerà una moltitudine da oltre il mare, e a te giungeranno le ricchezze delle nazioni”.
L’ultimo racconto di una parashà colma di episodi e avvenimenti, più o meno positivi, ci narra della punizione inflitta a Miriam – sorella di Moshè – che insieme ad Aharon aveva fatto maldicenza contro suo fratello.
Il Signore la punisce con la tzara’at (malattia che colpiva chi si macchiava di questa grave colpa) e soltanto per intercessione di Moshè sarà guarita. La preghiera che Moshè rivolge a D-o ci sconvolge per la sua povertà di termini: infatti è composta soltanto da cinque monosillabi.
Otto anni è la durata massima del mandato di un Presidente degli Stati Uniti, il tempo massimo che ha a disposizione per fare la Storia; dunque non dovremmo considerarlo un periodo breve. Questa, però, è una magra consolazione per chi, come gli ebrei torinesi, perde dopo otto anni il suo rabbino capo, Rav Ariel Di Porto, che si accinge a tornare a Roma, sua città natale.
"Qui si parla italiano, qui si saluta romanamente..." è il titolo di una mostra che si concluderà in questi giorni dedicata alla storia e alla memoria dei campi di concentramento fascisti di Gonars e Visco, in Friuli, e di Arbe/Rab in Croazia, organizzata dall'ateneo di Udine nel Velario del Palazzo di Toppo Wassemann. I suddetti campi di concentramento fascisti furono creati dal regime a partire dal 1942 per internare i civili e oppositori rastrellati nei territori occupati dall'esercito italiano nell'allora Jugoslavia, ovvero principalmente dalla “Provincia di Lubiana”, ma anche dalla Venezia Giulia e dalle aree limitrofe.