Crimini italiani,
memorie rimosse

“Qui si parla italiano, qui si saluta romanamente…” è il titolo di una mostra che si concluderà in questi giorni dedicata alla storia e alla memoria dei campi di concentramento fascisti di Gonars e Visco, in Friuli, e di Arbe/Rab in Croazia, organizzata dall’ateneo di Udine nel Velario del Palazzo di Toppo Wassemann. I suddetti campi di concentramento fascisti furono creati dal regime a partire dal 1942 per internare i civili e oppositori rastrellati nei territori occupati dall’esercito italiano nell’allora Jugoslavia, ovvero principalmente dalla “Provincia di Lubiana”, ma anche dalla Venezia Giulia e dalle aree limitrofe. Oltre a quelli citati, di campi di internamento istituiti dai fascisti ve ne furono almeno 200 sia in territorio italiano che nei Balcani, dalla primavera del 1942 all’8 settembre 1943 furono qui deportati non meno di 25 mila croati e sloveni. Solo nel campo di concentramento sull’Isola di Arbe/Rab in condizioni disumane e con un tasso di mortalità non dissimile da quello di Buchenwald furono internate tra le 10.000 e le 15.000 persone, comprese donne, bambini e anziani, e di queste tra le 1400 e le 4000 persone persero la vita. Ad Arbe furono internati in un’area apposita anche 3.500 ebrei già in fuga dagli ustascia croati e dai nazisti, in condizioni, secondo gli storici, relativamente migliori rispetto a quelle di sloveni e croati. Quando l’isola dopo l’8 settembre cadde sotto il controllo dei nazisti i 3000 ebrei rimasti furono imbarcati sulla terraferma dai partigiani jugoslavi e trasferiti nelle zone sotto il loro controllo. Oltre 200 di loro si unirono agli stessi partigiani formando il Battaglione Arbe il quale prese parte poi alla guerra di liberazione jugoslava. Un altro centinaio che non riuscì a lasciare l’isola fu deportata in Polonia, e là trovo la morte.
Alessandro Marzo Magno visitando il cimitero del campo di Arbe, scrive nel Leone di Lissa “in questo cimitero, dove riposano centinaia di vittime degli italiani, mai nessun rappresentante ufficiale dello Stato Italiano, nato dalla negazione del regime che quelle vittime ha provocato, è venuto non solo a chiedere scusa, ma nemmeno a osservare un minuto di silenzio”. Parole del 2003 e ad oggi niente è mutato, i crimini italiani sulle popolazioni slave sembrano non trovare spazio nelle celebrazioni dove correttamente vengono ricordate le violenze e le persecuzioni dell’esercito jugoslavo sulle popolazioni italiane. Una memoria dimezzata e rimossa, ai più sconosciuta.

Francesco Moises Bassano