LA COMMOZIONE DI SHARANSKY E DELL'EX RABBINO CAPO
Gorbaciov, Israele e la mano tesa agli ebrei sovietici:
il giorno in cui la cortina di ferro iniziò a cadere

Nell’apprendere della morte di Michail Gorbaciov l’ex rabbino capo di Russia rav Pinchas Goldschmidt, oggi di fatto di esilio in Israele, ha voluto subito chiarire i suoi sentimenti: “Tre milioni di ebrei dell’Unione Sovietica devono a Gorbaciov il proprio grazie per aver aperto i cancelli della cortina di ferro, per (aver permesso) l’emigrazione in Israele e per (aver dato loro) il diritto di vivere secondo la propria fede. Sia benedetta la sua memoria”.
Analisti ed esperti ricordano come la figura di Gorbaciov, l’ultimo presidente dell’Unione Sovietica, a livello internazionale sia sempre stata molto celebrata. In patria invece la sua eredità è molto discussa e controversa. “Agli occhi dei russi Gorbaciov si è inchinato all’Occidente e Putin rappresenta invece una specie di correzione” la sintesi di Evgeni Klauber, esperto di storia russa intervistato dalla radio israeliana 103FM.
Nonostante il Premio Nobel per la pace, l’uomo della perestrojka (ricostruzione) non riuscì a conquistare i propri connazionali. Lo ricorda un episodio raccontato da rav Goldschmidt. “L’ultima volta che sono andato a trovare Mikhail Gorbaciov è stato nel 1996, prima delle elezioni presidenziali in Russia. Mi chiese: ‘Dovrei candidarmi?’. Gli risposi: ‘Sì, ma in Israele, lì sei molto popolare!’”. Una battuta di spirito, ma anche una sintesi della realtà. Seppur anche con il mondo ebraico ci siano stati alcuni punti oscuri.
Dopo la sua nomina alla guida dell’URSS nel 1985, a soli 54 anni, gli ebrei sovietici speravano in un’apertura dell’emigrazione verso Israele. Invece le autorizzazioni inizialmente furono persino ridotte rispetto al passato. Nel 1985 ad esempio a 1140 ebrei fu permesso di fare l’aliyah. L’anno successivo solamente a 914. Seppur un segnale importante arrivò con la liberazione di alcuni celebri refusnik: su tutti Natan Sharansky, poi diventato presidente dell’Agenzia Ebraica. Proprio Sharansky, sul Washington Post, ricorda quel periodo. “Sono stato il primo prigioniero politico a essere rilasciato da Gorbaciov, all’inizio del 1986, e al momento della liberazione mi è stato subito chiesto se volevo ringraziarlo per la mia libertà. Risposi che ero grato a tutti coloro che si erano battuti per la mia liberazione, compresi i compagni ebrei e i leader stranieri, perché capivo che senza la loro lotta non sarebbe successo. All’epoca evitai deliberatamente di ringraziare Gorbaciov perché, con tanti miei compagni dissidenti ancora in prigione e l’emigrazione non ancora consentita, ritenevo che sarebbe stato irresponsabile e persino sleale dargliene atto”. Sharansky racconta che uno dei punti di svolta fu una manifestazione a Washington del 1987 dove 250mila manifestati, riunisti per sostenere gli ebrei sovietici, salutarono il leader russo – in visita negli Usa – al grido di “Lascia andare il nostro popolo!”.
In quel momento, scrive l’ex refusnik, “la cortina di ferro cominciò a cadere”.
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RIFORMULATA L'OFFERTA DI RISARCIMENTO
Monaco '72 e il ricordo della strage:
Germania e familiari verso l'accordo

Sembra in dirittura d’arrivo un accordo tra il governo tedesco e i familiari delle vittime della strage di Settembre Nero a Monaco. A imprimere una svolta positiva la scelta di Berlino di riformulare l’offerta di risarcimento. Un cambio di passo che, se ufficializzato, andrebbe a riconoscere la fondatezza della battaglia – “non economica, ma di principio” – intrapresa dalle mogli, dai figli e dai nipoti degli 11 sportivi israeliani assassinati nel settembre del 1972. Con l’accordo nero su bianco dovrebbe sbloccarsi la situazione più lacerante: la loro partecipazione alla cerimonia in programma a Monaco nel 50esimo anniversario dall’attacco. Superato quest’ostacolo, la speranza della Germania è che la loro presenza non venga a mancare. “Il governo federale – ha fatto sapere il portavoce del ministero dell’Interno – ha deciso di riarticolare le gravi conseguenze subite dai familiari delle vittime in termini immateriali e materiali, attraverso tre pilastri (elaborazione, ricordo, riconoscimento)”. Un’intesa volta ad affermare “il rapporto speciale tra la Germania e lo Stato di Israele” e a creare “il punto di partenza per una nuova e vivace cultura della memoria”.
(Nell’immagine: il ricordo delle vittime di Settembre Nero ai Giochi di Tokyo)
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UN FESTIVAL TRA MUSICA E TEATRO
Cultura yiddish, Merano in festa

“Più belle di Merano non ce ne sono” sosteneva Stefan Zweig, il grande scrittore viennese che nel suo libro più celebre e drammatico – Il mondo di ieri – avrebbe ripercorso gloria e dissoluzione dell’Europa davanti all’avanzata del nazifascismo. Ma quelli, per lui, erano ancora tempi di esplorazione. E nulla, nel suo vagare per le strade del continente, sembrava appagarlo più di quel panorama. Uno dei numerosi esponenti della migliore cultura del primo Novecento a frequentare la cittadina sulle rive del Passirio per soggiorni di ristoro sia fisico che mentale. Come Franz Kafka, tra gli altri, che vi giunse nella primavera del 1920. Dalla sua residenza, tormentata da una tubercolosi, che era anche il motivo per cui aveva lasciato Praga, sarebbero scaturite le famose lettere a Milena Jesenská. Le prime Kafka le scrisse alla pensione Ottoburg a Maia Bassa.
Due esempi di come Merano, senza scavare neanche troppo, sia stata e continui ad essere una realtà disseminata di memorie ebraiche intrecciate a quella Mitteleuropa di cui fu – per decenni, anche in virtù della sua rete di strutture termali d’eccellenza – una delle perle. Città d’incontri con un respiro orientato verso un ebraismo non solo viennese o praghese, ma anche più profondamente orientale: da Varsavia a Cracovia, fino ai territori mitici e tormentati della Galizia. Non è certo un caso che rabbini da tutto l’Est Europa giungano ancora oggi in pellegrinaggio per onorare la memoria di alcuni Maestri sepolti nel cimitero cittadino. Una tradizione che non sembra avere eguali nell’Italia ebraica. Si riallaccia anche a queste suggestioni il “piccolo festival della cultura yiddish” organizzato dal 4 al 7 settembre prossimi dall’Accademia di Merano con la collaborazione, tra gli altri, della Comunità ebraica locale. Al centro, attraverso un itinerario fatto di concerti, incontri e workshop, le vibrazioni di un patrimonio inestinguibile di quel mondo: la musica klezmer.
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Ticketless - Riccardo Bonavita e "gli spettri dell'altro"
 Questa settimana vorrei ricordare un amico che non c’è più. Mi è tornato in mente vedendo spuntare sui giornali il nome di Giovanni Papini, tanto da far pensare a un vero revival dell’Omo Selvatico e del suo popolare Dizionario. È appena uscita una raccolta dei suoi racconti, recensita sul Foglio di sabato scorso. Il fascino della toscanità anti-moderna sembra goda di buona stampa, durante questa campagna elettorale. Fuori e dentro la Toscana, vicino e lontano da Piombino, lo spettro di Papini vive una seconda giovinezza. Riccardo era nato nel 1968 ed è prematuramente scomparso nel 2005. Dei nati nei tardi anni Sessanta che sul finire degli anni Novanta iniziavano ad occuparsi di razzismo e antisemitismo era il più promettente. Il giudizio credo fosse condiviso da chi gli è stato più vicino di me e ha contribuito poi a raccoglierne gli scritti (“Spettri dell’altro. Letteratura e razzismo nell’Italia contemporanea”, il Mulino, 2009).
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Le quattro bestie
 Abbiamo trattato, nella scorsa puntata, della questione della derivazione dell’allegoria dantesca tratteggiata nel primo Canto dell’Inferno (laddove il poeta narra di come il suo cammino verso il colle, illuminato dal sole, sia stato ostacolato da tre fiere: una lonza, un leone e una lupa) dal simbolismo del settimo capitolo del libro di Daniele, ove si descrive (3-7) una visione notturna del profeta, nella quale egli sarebbe stato minacciato da quattro orribili bestie: una simile a un leone, un’altra simile a un orso, una terza simile a un leopardo e una quarta, spaventosa e terribile, non assimilabile a nessun animale conosciuto, con “denti di ferro” e “dieci corna”.
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